Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16383 del 14/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16383 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PUCCIO GIANFRANCO nato il 21/09/1973 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 04/07/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTE
sentita la relazione svolta dal Consigliere ADET TONI NOVIK;
lette/serrefte le conclusioni del PG ZL\\°–

Data Udienza: 14/03/2018

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata il 4 luglio 2017, depositata il successivo 10 luglio, il Tribunale di sorveglianza di Trieste ha rigettato il reclamo del detenuto
Puccio Gianfranco avverso la decisione del magistrato di sorveglianza di Udine
che, in esito agli accertamenti compiuti, aveva escluso che la detenzione sofferta
presso la casa circondariale di Palermo Pagliarelli e di Tolmezzo si fosse svolta in
condizioni inumane e rigettato la richiesta di riconoscimento dei rimedi risarcitori

2. Il Tribunale di sorveglianza, all’esito della ricognizione degli arresti della
Corte costituzionale e di quella sovranazionale, con particolare richiamo alla sentenza 12 marzo 2015 della Corte europea nella causa Mursic c/Croazia ed alla
sentenza Torreggiani, ha condiviso la decisione del primo giudice osservando:
– in base alle informazioni fornite dalla casa circondariale di Palermo, Puccio
nel periodo di detenzione nella cella aveva usufruito di uno spazio netto di 3,32
metri quadrati e l’attività trattamentale (relativamente ai servizi generali, alle
docce, alla ricreazione, alle ore d’aria, al supporto psicologico e psichiatrico) era
adeguata;
– durante la detenzione a Tolmezzo, nel periodo in cui la cella era stata occupata da tre persone -si trattava di tre limitati periodi tra il febbraio 2000 e 12
maggio 2013-, Puccio aveva avuto a disposizione una superficie di oltre 3,25 metri quadrati che, detratto l’ingombro costituito dagli arredi fissi si riduceva ad uno
spazio vivibile individuale oscillante tra 3,79 metri quadrati, quando gli occupanti
della cella erano due, e 2,52 metri quadrati, quando gli occupanti erano tre. In
quest’ultimo caso, tenuto conto della complessiva offerta trattamentale (il detenuto aveva conseguito un diploma, fruito di palestre, di 4 ore d’aria, di socialità,
della possibilità di lettura e scrittura personale, dell’accesso al campo sportivo,
partecipato a manifestazioni ed eventi vari); i pretesi difetti di illuminazione e di
mancanza di un locale per non fumatori erano generici e non era stato indicato il
pregiudizio personale subito; bagni e docce erano adeguati.

3. In data 22 luglio 2017, Puccio ha presentato personalmente ricorso, con
allegata documentazione, deducendo la violazione dell’art. 35-ter Ord. pen. e la
inosservanza della decisione di annullamento senza rinvio emessa da questa Corte di cassazione 1’8 settembre 2016 n. 40899/2016. Osserva che:
– in base agli stessi calcoli effettuati dal Tribunale di sorveglianza dal 2012
all’agosto 2013 aveva usufruito di uno spazio vivibile al di sotto dei 3 metri quadrati;
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formulata ai sensi dell’art. 35- ter Ord. pen. in relazione all’art. 3 Corte EDU.

- dall’agosto del 2013 al 13 settembre 2016 aveva condiviso la cella, con altro detenuto: stante la presenza di un letto a castello a due piani, lo spazio relativo doveva essere detratto;
– la presenza di ulteriori elementi di trattamento inumano costituiti dalle ridotte dimensioni del bagno; dall’inadeguato posizionamento delle luci; dalla sala
della socialità frequentata promiscuamente da fumatori e da non fumatori, lo
spazio vivibile doveva essere di 4 metri quadrati per detenuto;
– la Corte di cassazione con la sentenza richiamata aveva riconosciuto fon-

In data 24 gennaio 2018, Puccio ha depositato presso l’ufficio matricola del
carcere una memoria ripetitiva delle originarie doglianze.

4. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema di
cassazione, nella sua requisitoria in atti, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente,
la Corte di cassazione nella sentenza emessa 1’8 settembre 2016 n. 40899/2016,
non ha riconosciuto la fondatezza delle doglianze di Puccio, ma ha soltanto censurato il modello procedimentale seguito dal magistrato di sorveglianza, che aveva emesso una decisione di merito al di fuori del contraddittorio tra le parti.
Da qui l’annullamento senza rinvio e la trasmissione degli atti al predetto magistrato « perché provveda alla trattazione della richiesta nel contraddittorio delle
parti, ai sensi dell’art. 35-bis, comma 1, L. 26 luglio 1975, n.354».

3. Nel merito, il ricorso è manifestamente infondato per la sua genericità,
essendo stato omesso il confronto con la ampia e dettagliata motivazione
dell’ordinanza impugnata.
3.1. Questa Corte ha affermato che, in materia di spazi intramurali, la legge
non ha inteso stabilire precisi standard metrici di superficie, ne’ indici di densità/affollamento della popolazione reclusa. Trattasi di principio che deve essere
riaffermato, ma che va correlato sia con la norma di carattere generale posta
dall’art. 6 Ord. pen., secondo cui i locali di soggiorno e di pernottamento dei detenuti devono essere « di ampiezza sufficiente »; sia con il disposto di matrice
convenzionale di cui all’art. 3 C.E.D.U. che sancisce il divieto di pene e/o di trattamenti inumani o degradanti; sia, soprattutto, con il modulo di etero integrazione del precetto normativo, introdotto dall’art. 35-ter, comma 1, Ord. pen., che,
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date le doglianze del ricorrente.

ai fini della valutazione del pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), Ord.
pen. – conseguenza della violazione della succitata norma convenzionale – vincola il giudice nazionale alla interpretazione della medesima, offerta dalla Corte
EDU, e, pertanto, in subiecta materia dalla nota sentenza dell’8 gennaio 2013,
nel caso Torreggiani c. Italia, la quale è stata pronunciata in esito alla applicazione della procedura della sentenza pilota ai sensi dell’art. 61 del Regolamento della suddetta Corte.
3.2. La decisione evidenzia che l’art. 3 della Convenzione pone a carico delle

sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che
le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno
stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di
sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche
della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente ».
3.3. Nei suoi contenuti ulteriori, la sentenza ha ritenuto che sussiste una
violazione automatica dell’articolo 3 della Convenzione qualora una persona sia
reclusa in uno spazio inferiore ai tre metri quadrati, mentre ove il detenuto abbia
a disposizione uno spazio compreso tra i tre e i quattro metri quadrati, la violazione deve essere valutata considerando le concrete condizioni detentive, quali la
possibilità di utilizzare servizi igienici in modo riservato ovvero la presenza di un
bagno attiguo alla cella, l’aerazione disponibile, l’accesso alla luce e all’aria naturali, la qualità del riscaldamento, il rispetto delle esigenze sanitarie di base, nonché la possibilità che l’internato partecipi ad attività culturali e ricreative, venga
ammesso al lavoro, a corsi di istruzione e a colloqui, oltre che trascorra un congruo numero di ore al giorno fuori dalla camera detentiva. Comunque ha ribadito che « quando il sovraffollamento carcerario attinge un certo livello, la mancanza di spazi in un istituto penitenziario può costituire elemento centrale da
prendere in considerazione nell’apprezzamento della conformità della situazione
data all’articolo 3 della Convenzione (vedere, in questo senso, Karalevidius
c. Lituanie, n. 53254/99, 7 aprile 2005) ».
3.4. Nella causa Ananyev e altri c. Russia, n. 42525/07 e 60800/08, la Corte
ha definito i criteri da considerare per decidere se vi sia stata violazione
dell’articolo 3 C.E.D.U. a causa della mancanza di spazio personale. In particolare, la Corte deve tenere conto dei tre seguenti elementi: a) ogni detenuto deve
disporre di un posto letto personale nella cella; b) ogni detenuto deve disporre di
una superficie pari ad almeno tre metri quadrati; e e) la superficie totale della
cella deve essere tale da permettere ai detenuti di muoversi liberamente tra i
mobili. L’assenza di uno degli elementi di cui sopra produce di per sé una forte
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autorità un « obbligo positivo, che consiste nell’assicurare che ogni prigioniero

presunzione che le condizioni di detenzione abbiano costituito un trattamento
degradante e abbiano violato l’articolo 3 CEDU (si veda Ananyev e altri c. Russia,
cit., § 148, 10 gennaio 2012; si veda, altresì, Olszewski c. Polonia, n. 21880/03,
§ 98, 2 aprile 2013).
3.5. Con la decisione del 20 ottobre 2016 della Corte EDU, Grande Camera
nel procedimento Mursic contro Croazia, ampiamente citata nell’ordinanza impugnata, nonché con l’ulteriore sentenza “pilota” della Corte EDU del 25 aprile
2017, Rezmives ed altri c. Romania, premesso che oggetto di valutazione sono

caso di sovraffollamento grave, la mancanza di spazio in cella costituisce l’elemento centrale di cui tenere conto per stabilire se tali condizioni siano “degradanti” nel senso inteso dall’art. 3 della Convenzione medesima ed ha confermato
che « una superficie calpestabile di tre metri quadrati per ogni detenuto in una
cella collettiva », deve rimanere la soglia minima pertinente ai fini della suddetta
valutazione, al di sotto della quale sorge una presunzione di violazione della disposizione di cui all’art. 3, confutabile, tuttavia, con la dimostrazione della sussistenza di altri aspetti del regime restrittivo che, alla luce delle globali condizioni
della detenzione e della sua durata, siano in grado di compensare, in maniera
adeguata, la mancanza di spazio personale, come, ad esempio, il grado di libertà
di circolazione del ristretto e l’offerta di attività all’esterno della cella nonché le
buone condizioni complessive dell’istituto e l’assenza di altri aspetti negativi del
trattamento in rapporto a condizioni igieniche e servizi forniti. Come rileva Sez.
1, n. 41211 del 26/05/2017 – dep. 11/09/2017, Gobbi, Rv. 271087, «Assume
pertanto specifico rilievo, preliminare ad ogni statuizione circa la sussistenza o
meno del trattamento inumano o degradante invocato dal detenuto, l’individuazione dei criteri e delle modalità di computo dello spazio minimo individuale,
prodromico, come detto, alla valutazione delle più generali condizioni di detenzione dello stesso. Anche in relazione a tale aspetto la giurisprudenza di legittimità, con un orientamento sostanzialmente unanime, ha chiarito che i tre metri
quadrati – al di sotto dei quali, se non emergono i diversi e significativi aspetti
“compensativi” di cui si è detto, deve ritenersi la violazione dell’art. 3 CEDUvanno intesi come spazio utile al fine di garantire il movimento del soggetto recluso nello spazio detentivo, il che esclude di poter inglobare nel calcolo dello
stesso lo spazio occupato dai servizi igienici, destinati a funzioni diverse da quelle correlate al movimento e, in ragione dell’ingombro che ne deriva, degli arredi
fissi, ivi compreso il letto a castello (Sez.1, 19/12/2013, n. 5728/2014, Berni,
rv.257924; Sez.1, 9/9/2016, n.52819, Sciuto, rv.268231; Sez.1, 17/11/2016,
n.12338/17, Agretti; Sez. 1 Sez. 1, 17/11/2016, n.13124/17, ‘ Morello, rv.
269514; Sez. 1, 16/5/2017, n. 39245, Congiu; Sez. F., 17/8/2017, n. 39207,
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“le globali condizioni di detenzione” del condannato, la Corte ha ribadito che, in

Gongola). In relazione a tale ultimo aspetto la Corte, ha sottolineato, da un lato
che il letto a castello, di prassi utilizzato per consentire l’alloggio di più detenuti
nella stessa camera, presenta un peso tale da non poter essere spostato ed è
quindi idoneo a restringere, al pari degli armadi appoggiati o infissi stabilmente
al suolo, lo spazio, all’interno della camera detentiva e a costituire un ingombro
e, dall’altro, che, dovendosi intendere la porzione di spazio individuale minimo
come superficie funzionale alla libertà di movimento del recluso, già di per sé
fortemente limitata dall’esperienza segregativa, non può essere considerata su-

occupata da tale tipo di letto (di norma non compatibile neanche con una seduta
eretta) destinata, invece, esclusivamente a finalità di riposo (Sez.1, 17/11/2016,
n.13124/17, Morello, rv.269514). La giurisprudenza di legittimità, pertanto, è
unanime nel ritenere che l’indicazione di una superficie di tre metri quadrati per
ciascun detenuto in cella collettiva- tale, per la sua esiguità, da costituire soglia
minima di riferimento nella individuazione di uno spazio vitale- deve poter consentire al detenuto di muoversi nello spazio a lui riservato e la ratio decidendí di
tale opzione interpretativa è conforme ai più generali principi espressi dalla giurisprudenza convenzionale che, a prescindere dalle peculiarità proprie del singolo
ricorso, chiarisce, anch’essa, che il riferimento dei tre metri quadrati è relativo
alla superficie calpestabile e che per spazio minimo in cella collettiva va inteso lo
spazio in cui il soggetto detenuto abbia la possibilità di muoversi(Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic c. Croazia; Grande Camera, 16/12/2016, Klaufia ed
altri c. Italia) ».

4. Adito dalla doglianza del detenuto, di sottoposizione a trattamento inumano o degradante, per essere stato ristretto nel carcere di Tolmezzo in ambienti carcerari di ampiezza non in linea con i requisiti minimi della abitabilità intramuraria fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, il giudice del reclamo è
stato chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della carcerazione in
relazione ai parametri legali sopra richiamati, alla stregua dei canoni e degli
standard giurisprudenziali, e lo scrutinio compiuto è sindacabile sotto il profilo
della inosservanza e erronea applicazione della legge.
Tale vizio è insussistente nel caso in esame.
Il Giudice a quo, ha dato conto che il detenuto, in base ai dati forniti
dall’Amministrazione Penitenziaria, ricavati dalla documentazione ufficiale, aveva
a disposizione uno spazio vivibile, detratto lo spazio occupato dal letto a castello
e dalle bi lancette, oscillante tra 3,79 metri quadrati di superficie utile (quando la
cella era occupata da due persone) e 2,52 metri quadrati (quando in tre limitati
periodi gli occupanti erano stati in tre). In quest’ultimo caso, tuttavia, ricorreva6

perficie “utile” alla integrazione della quota di spazio minimo individuale, quella

no vari elementi compensativi, nei termini indicati al punto sub 2 del “fatto”, che
escludevano la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti. Nessun
elemento in contrario si evince dalle relazioni allegate al ricorso: sia quella del 26
aprile 2010, relativa ad una visita sui luoghi di lavoro del Coordinamento Triveneto della UIL, sia quella del 27 marzo 2015 della UILPA Penitenziari, riguardano
genericamente le condizioni di lavoro del personale, e sono irrilevanti ai fini che
qui rilevano; inoltre, lo stesso ricorso sugli specifici periodi di detenzione è gene-

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2018.

rico e non confuta la dettagliata ricostruzione del Tribunale.

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