Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16369 del 18/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16369 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARINKOVIC ROBERTO nato il 04/06/1972 a TORINO

avverso il decreto del 12/04/2017 della CORTE APPELLO di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO;
lette/se ftt-it-e le conclusioni del PG epk‹.)11- . eQ 340

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Data Udienza: 18/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino, Sezione Misure di Prevenzione, con
decreto del 12/04/17, in parziale riforma del decreto emesso in data
11/01/17 dal Tribunale di Torino, Sezione Misure di Prevenzione, nei
confronti di Marinkovic Roberto, con cui era applicata la misura della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel

disposto dell’art. 8 d. Igs. n. 159 del 2011 alla luce anche delle pronunce
della Corte Edu, limitato il divieto di partecipare alle sole riunioni in luogo
pubblico per le quali deve essere dato preavviso alle pubbliche autorità ed
eliminato le prescrizioni di “non dare ragione a sospetti” e di “non
trattenersi abitualmente in bar od osterie o altri locali del genere”,
confermando nel resto.

2.

Marinkovic propone, tramite il proprio difensore, ricorso per

cassazione.
2.1. La difesa deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 1 e
4 d. Igs. n. 159 del 2011, 6, comma 3 lett. a) Cedu e 666, comma 5 cod.
proc. pen.. Il difensore si duole dell’ illogicità della motivazione del
decreto impugnato, avendo la Corte territoriale ritenuto, da un lato, che
la proposta di aggravamento della misura di prevenzione personale possa
essere qualificata come una nuova proposta di misura e, quindi, che
corretto sia il decreto del Tribunale applicativo della misura preventiva,
dall’altro, che il decreto emesso in primo grado sia stato emesso nel
rispetto del principio del contraddittorio e presenti i requisiti di legge con
particolare riferimento all’inquadramento del proposto in una specifica
categoria di pericolosità sociale con carattere di attualità. Secondo la
difesa, invece, rappresenta un’eclatante violazione dei principi affermati
dalla nota pronuncia della Grande Chambre della Cedu, De Tommaso
contro Italia.
Quanto al rispetto del principio del contraddittorio, rileva la difesa
che il diritto al contraddittorio deve essere garantito in ogni grado e fase
del giudizio e che tale diritto va rispettato anche nel procedimento di
prevenzione. Il che, secondo il difensore, non è avvenuto nel caso di
specie, essendosi tutto il procedimento in primo grado incentrato sulla
richiesta di aggravamento della misura ed essendo piuttosto giunta a
sorpresa la decisione del Tribunale, con effetto pregiudizievole per il
ricorrente che non ha potuto esplicitare in quella sede il pieno
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comune di residenza, per la durata di un anno, ha, in conformità del

contraddittorio sulle ragioni poste a fondamento della “richiesta” della
Procura.
Il difensore rileva che l’assenza del contraddittorio non è superata
dal fatto che la difesa abbia potuto proporre specifici motivi di appello sul
punto, adeguandosi alla ritenuta qualificazione della proposta di modifica
come nuova proposta. Invero, sottolinea come, dopo la sentenza
Drassich della Corte Edu, si sia venuto esplicitando il diritto sancito

modo dettagliato della natura della accusa elevata a proprio carico; e
come di detta sentenza e dei principi dalla stessa affermati non tengano
conto le pronunce di legittimità citate dal decreto impugnato, secondo cui
la possibilità dell’appello compenserebbe l’ assenza di contraddittorio sulla
diversa qualificazione in primo grado, sembrando tracciare, per il
procedimento di prevenzione, la diversa regola di un contraddittorio non
esteso a tutti i gradi di giudizio. Né alcun pregio, ai fini della salvaguardia
del contraddittorio, deve darsi, secondo la difesa, all’osservazione
dell’ordinanza impugnata secondo la quale nell’avviso di fissazione
dell’udienza per discutere della richiesta prevenzionale erano
perfettamente indicati i presupposti per l’irrogazione della misura, ossia il
genere di pericolosità ed il tipo di misura. E ciò a maggior ragione dopo la
sentenza De Tommaso, che ha affermato che le previsioni degli artt. 1, 3
e 5 I. n. 1423/1956 (oggi sostituita dal d. Igs. n. 159/2011) difettano di
precisione e prevedibilità, sia nell’indicazione delle categorie dei soggetti
sottoponibili a misura di prevenzione personale che nella descrizione del
contenuto precettivo delle misure di prevenzione e connesse prescrizioni.
Il difensore censura il decreto impugnato per avere ritenuto indicativi
della pericolosità generica del Marinkovic elementi che non presentano il
carattere dell’attualità e che non sono idonei ad inquadrare il proposto in
una delle specifiche categorie previste dagli artt. 1 e 4 del d. Igs. n.
159/2011, quali a) l’applicazione di misura di prevenzione risalente al
2012, b) i precedenti penali, tutti risalenti, c) la falsificazione della carta
d’identità, d) il rinvenimento presso l’abitazione del suddetto di un
valigetta contenente banconote false, circostanze queste ultime ancora
una volta risalenti. La difesa si duole, inoltre, che nessuna motivazione si
rinvenga sui traffici illeciti cui il ricorrente sarebbe ancora oggi dedito e
che il fatto che con la precedente misura non sia stato consentito al
Marinkovic di lavorare venga utilizzato a riprova della circostanza che
viva di proventi illeciti.

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dall’art. 6, comma 3 lett. a) Cedu, di essere ogni persona informata in

2.2. In via subordinata la difesa chiede che venga considerata
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1 e 4 d. Igs. n. 159 del 2011. Preso atto, invero,
che la Corte Edu ha espressamente dichiarato che il contenuto precettivo
degli artt. 1, 3 e 5 della I. n. 1423 del 1956 (le cui disposizioni oggi sono
confluite nel d. Igs. 159/2011) viola l’art. 2 del prot. addizionale al n. 4
per difetto di precisione e prevedibilità, si invita questa Corte a sollevare

articoli e l’art. 117 Cost. in relazione alle disposizioni Cedu in ultimo
menzionate.
3. Con successiva memoria di replica ai sensi dell’ art. 611 cod. proc.
pen. la difesa a) torna sul pregiudizio al corretto contraddittorio delle
parti determinato dalla diversa qualificazione della proposta di
aggravamento, b) evidenzia come ulteriore oggetto di censura,
diversamente da quanto rilevato dal Procuratore generale presso questa
sede nella sua requisitoria scritta, non sia la nnera tenuta della
motivazione, ma la violazione di legge, con riferimento agli artt. 1 e 4 d.
Igs. 159/2011, difettando nel caso in esame i requisiti dell’ abitualità e
dell’attualità dei traffici delittuosi di cui a detti articoli e, quindi, i
presupposti per l’applicazione nei confronti del Marinkovic di una nuova
misura di prevenzione personale, c) insiste sull’annullamento del decreto
impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2.

Va, invero, premesso che l’assetto nornnativo in tema di

sindacabilità della motivazione dei provvedimenti emessi in materia di
misure di prevenzione – personali e patrimoniali – è rimasto ancorato al
profilo della «assenza» di motivazione, posto che il Giudice delle leggi ha
di recente dichiarato la infondatezza (sentenza numero 106 del 15 aprile
2015) della questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata sul tema – dalla V Sezione Penale di questa Corte di legittimità in data 22
luglio 2014).
Resta fermo, pertanto, il criterio regolatore secondo cui il ricorso per
cassazione in tema di decisioni emesse in sede di prevenzione non
ricomprende – in modo specifico – il vizio di motivazione (nel senso della
illogicità manifesta e della contraddittorietà), ma la sola violazione di

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la suddetta questione di legittimità costituzionale per contrasto tra detti

legge (art. 4 comma 11 ‘legge n. 1423 del 1956/ art. 10 comma 3 d.Lgs.
n. 159 del 2011).
Da ciò, per costante orientamento di questa Corte, deriva che è
sindacabile la sola «mancanza» del percorso giustificativo della decisione,
nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e logicità (motivazione apparente) o di un testo
del tutto inidoneo a far comprendere l’itinerario logico seguito dal giudice

3. Nel caso in esame le doglianze esposte dal ricorrente e – ancor
prima, l’esame del provvedimento impugnato – non evidenziano profili di
vera e propria «apparenza» motivazionale, anzi il contesto espressivo
rappresenta con sufficiente chiarezza i necessari passaggi logici dell’iter
dimostrativo dell’attuale pericolosità sociale del Marinkovic.
La Corte

a qua

ha riconosciuto che la misura di prevenzione

personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza applicata con
decreto del 17/05/12 doveva considerarsi perenta al momento della
deliberazione del decreto gravato, ma ha ritenuto : – che legittimamente
il Tribunale aveva applicato la misura di prevenzione personale avendo
diversamente qualificato – come nuova richiesta di misura – la richiesta di
aggravamento della misura preventiva di cui si è detto; – che le censure
circa l’adozione a sorpresa di tale provvedimento, in violazione del
principio del contraddittorio, da garantire come riconosciuto dalla
giurisprudenza di legittimità puntualmente citata, sono infondate, sia
perché la diversa qualificazione è stata compiuta dal Tribunale, per cui il
proposto aveva la possibilità di rappresentare le sue ragioni, di legittimità
e di merito, dinanzi alla Corte di appello, sia perché nell’avviso di
fissazione dell’udienza dell’Il gennaio 2017 innanzi al Tribunale erano
indicati i presupposti per l’irrogazione della misura; – che le condizioni per
l’applicazione della disposta misura erano da confermare, pur con gli
adattamenti, quanto alle prescrizioni, di cui sopra si è detto, conseguenti
ai rilievi fatti dalla Cedu con la nota sentenza De Tommaso contro Italia
del 23/02/2017.
Quanto in particolare alli attualità della pericolosità sociale del
proposto, la Corte territoriale, sulla scia del Tribunale, dopo avere
sottolineato che il decreto applicativo della misura perenta basava il
giudizio di pericolosità del Marinkovic, oltre che sui numerosissimi
precedenti penali e di polizia, su una serie di episodi criminosi aventi ad
oggetto truffe perpetrate con la tecnica del “rip deal” (operazione di

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(tra le altre, Sez. I 26.2.2009, Rv. 242887).

cambio fraudolenta realizzata offrendo in cambio di banconote genuine
delle banconote contraffatte) consumate ai danni di potenziali acquirenti
di immobili, che avevano visto il suddetto fattivamente coinvolto in veste
di promotore ed organizzatore, di cui due ultimi esitati in una sentenza di
condanna del Tribunale di Torino del 2014, evidenzia come il proposto,
del tutto impermeabile a detta ultima condanna e alla funzione
preventiva della misura di prevenzione eseguita nel 2013, nel 2016 si sia

rinvenute nella sua disponibilità, come da esito di perquisizione del
3.5.2016, che non aveva altro utilizzo se non quello di commettere truffe
o furti con la suddetta tecnica. Sottolinea, quindi, come sia “proprio il
preciso e univoco collegamento logico tra detto elemento e il passato
criminale del Marinkovic, quale sopra delineato, a dimostrare la sua
concreta, attuale ed elevata pericolosità, evidente essendo che l’accertato
possesso di oggetti esclusivamente finalizzati alla commissione di quel
particolare tipo di crimini in cui il proposto si è specializzato dimostra
come ancora in epoca attuale egli sia dedito alla realizzazione del
medesimo genere di reati”.
Il decreto impugnato rileva come, non potendo essere messo in
dubbio che ancora oggi il Marinkovic sia sprovvisto di fonti di reddito
alternative, in quanto come ammesso dalla sua stessa difesa privo di
qualsivoglia attività lecita foriera di mezzi di sussistenza, lo stesso sia
abitualmente dedito a traffici illeciti e tragga i propri guadagni da attività
delittuose dello stesso genere di quelle per cui è già stato sanzionato,
continuando peraltro ad abitare una villa singola di ampia metratura con
giardino e dovendo mantenere in vita se stesso, la moglie e i figli.
Evidenzia detto decreto come cprrettamente il Tribunale, a riprova
dell’attitudine del proposto alla perpetrazione di condotte fraudolente,
abbia valorizzato il fatto accertato con sentenza del Tribunale di Torino
del 13/01/2015, avente ad oggetto una condotta di falsificazione
documentale, elemento non valorizzato nel primo decreto.
Il giudizio espresso dalla Corte territoriale, quindi, non è in alcun
modo generico e dà conto della permanenza di dati sintomatici della
pericolosità sino ad epoca prossima alla proposta.
A fronte di dette argonnentazioni, scevre da vizi logici e giuridici, le
doglianze difensive risultano manifestamente infondate.
Quanto alla lamentata violazione del principio secondo cui nel
procedimento di prevenzione deve essere garantito all’interessato il

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procurato materiale, costituito da numerosissime banconote false

rispetto del principio del contraddittorio anche in ordine alla diversa
qualificazione giuridica della domanda operata

ex officio dall’autorità

giudiziaria il ricorso invoca i principi della sentenza Drassich
impropriamente. E ciò per la ragione, giustamente rilevata dalla Corte di
appello ed assorbente rispetto all’ulteriore garanzia relativa al contenuto
informativo – sia circa il tipo di pericolosità indicata in quella comune sia
circa il tipo di misura – dell’avviso di fissazione dell’udienza, che tali

qualificazione giuridica sia fatta da un provvedimento impugnabile (si
veda sul punto Sez. 2, n. 12612 del 04/03/2015 – dep. 25/03/2015, Bu e
altro, Rv. 262778, secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e
sentenza, il rispetto del diritto al contraddittorio è assicurato anche
quando il giudice di appello provveda alla riqualificazione del fatto
direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in
quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa
proponendo ricorso per cassazione : fattispecie nella quale il giudice di
appello riqualificava l’originaria imputazione ex art. 11 del D.Lgs. 27
settembre 1991, n. 313 nel reato di cui all’art. 515 cod. pen.).
Quanto alle censure relative alla conferma delle condizioni
riconosciute dal Tribunale come legittimanti l’applicazione della misura, il
ricorso, in modo inammissibile, si appunta sulla tenuta della motivazione
e non deduce specifiche violazioni di legge.
Infine, quanto all’invocata questione di legittimità costituzionale degli
artt. 1 e 4 del d. Igs. n. 158/2011, in cui sono confluite le disposizioni
normative sopra richiamate della legge n. 1423 del 1956, la stessa è
manifestamente infondata, come già affermato da questa Corte.
Si vedano, di seguito, le argomentazioni, pienamente condivise, della
sentenza n. 43446 della Sez. VI del 15/06/2017 – dep. 21/09/2017,
Cristodaro e altri, Rv. 271220, proprio in punto di costituzionalità delle
suddette norme con riferimento alla sentenza della Corte E.D.U.

De

Tommaso pubblicata il 23.2.2017.
« 5.2. Il Collegio condivide le già intervenute declaratorie di
manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
sistema normativo previsto in materia di misure di prevenzione, per
contrasto con gli artt. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea e 6 e 7 della Convenzione EDU, poiché il giudizio di pericolosità,
in un’ottica costituzionalmente orientata, si fonda sull’oggettiva
valutazione di fatti sintomatici collegati ad elementi certi e non su meri

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principi non sono applicabili quando, come nella specie, la diversa

sospetti, senza alcuna inversione dell’onere della prova a carico del
proposto, essendo incentrato sul meccanismo delle presunzioni in
presenza di indizi, i quali devono essere comunque provati dalla pubblica
accusa,rimanendo a carico dell’interessato soltanto un onere di
allegazione per smentirne l’efficacia probatoria (Sez. 2, n. 26235 del
04/06/2015, Friolo, Rv. 264386). E’ stato osservato che “nel tempo, lo
sforzo degli interpreti si è gradualmente concentrato nell’effettuare

maggiormente sospettate di essere in contrasto con i valori costituzionali.
Ci si riferisce, in particolare, a quella giurisprudenza secondo la quale il
giudizio di pericolosità deve fondarsi sull’oggettiva valutazione di fatti sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del soggetto accertati in modo da escludere valutazioni meramente soggettive ed
incontrollabili da parte dell’autorità proponente: quindi, fatti certi (Cass.
6613/2008 riv.239358) e non sospetti, così còme, invece, riteneva una
ormai datata e non più condivisibile giurisprudenza (Cass. 487/1990 riv
183673)”. Nell’ambito di tale evoluzione giurisprudenziale è stato
osservato che dai più recenti arresti di legittimità appare, inoltre,
possibile desumere le linee guida per un’interpretazione delle categorie di
pericolosità semplice coerente con le indicazioni provenienti dalla
sentenza De Tommaso. Quanto agli “elementi di fatto”, in particolare, le
sentenze Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271 e Sez.
1, n. 31209 del 24/03/2015, Scagliarini, Rv. 264321 offrono, infatti,
un’analisi dettagliata delle modalità e dei termini con cui il giudice della
prevenzione può attingere alle acquisizioni probatorie del procedimento
penale, delimitando, sostanzialmente, l’ambito del suo potere
discrezionale. E’, inoltre, possibile, ricostruire il “contenuto” delle
fattispecie di pericolosità previste dall’art. 1, lett. a) e b), d. Igs. n. 159
del 2011, con riferimento alla realizzazione abituale o, comunque, non
episodica di delitti fonte di illeciti arricchimenti, nonché, per la sola ipotesi
di cui alla lett. b), con riferimento alla successiva destinazione dei
proventi derivanti da tali attività per il mantenimento del proposto.
5.3. Tanto premesso, va tenuto conto che la Corte europea non
interpreta il diritto nazionale, ma prende atto dell’applicazione che ne ha
fatta il giudice interno nel caso specifico, confrontandone il risultato con
le esigenze di tutela dei diritti della Convenzione.
Nel caso sottoposto alla Corte di Strasburgo, si trattava di
procedimento di merito in materia di misura di prevenzione personale

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interpretazioni costituzionalmente orientate di quelle norme

fondata sulla pericolosità generica del proposto ai sensi dell’art. 1 nn. 1)
e 2) I. n. 1423/56 affermata dal Giudice di primo grado e negata – con
riguardo alla attualità – da quello di secondo grado che ha annullato la
misura di prevenzione applicata. Di quel procedimento appaiono rilevanti
le peculiari connotazioni del caso deciso, in cui il Tribunale aveva fondato
la propria decisione affermando l’esistenza di tendenze criminali “attuali”
pur senza attribuire al proposto alcun comportamento specifico o di

“occupazione stabile e lecita” e che la sua vita era caratterizzata dalla
stabile frequentazione di criminali locali di primo piano e dalla
commissione di reati. La Corte di Strasburgo ha condivisibilmente rilevato
che il Tribunale “ha basato il suo ragionamento sull’assunto dell’esistenza
di “tendenze criminali”, criterio che la Corte costituzionale aveva già
considerato insufficiente – nella sua sentenza n. 177 del 1980 – per
definire una categoria di soggetti cui potevano essere applicate le misura
di prevenzione”. Il caso deciso dal giudice di merito (contro la sentenza
d’appello non era stato proposto ricorso per cassazione) risultava dunque
espressione di un orientamento superato dal diritto vivente in tema di
pericolosità sociale – sia generica che qualificata – secondo il quale
l’accertamento dei presupposti va desunta da elementi di fatto, vale a
dire da circostanze obiettivamente identificabili, controllabili, con
esclusione di elementi privi di riscontri concreti, quali meri sospetti,
illazioni e congetture.
Orientamento del tutto estraneo alla decisione oggi all’esame di
questa Corte, la quale al contrario si fonda sulla accertata condotta di vita
dei proposti, ritenuti vivere abitualmente con i proventi di attività
delittuose specificamente individuate. In altri termini, il caso oggi in
esame – con la sua correlazione tra proventi e delitti individuati – sfugge
al giudizio di indeterminatezza dei presupposti di pericolosità che ha
fondato il giudizio della Corte europea nel caso De Tommaso.
Ne consegue che le valutazioni e le affermazioni che si rinvengono in
tale sentenza non coprono l’oggetto del presente giudizio rimesso a
questa Corte e le osservazioni dei ricorrenti non risultano pertanto
pertinenti».
Ed altrettanto può dirsi per il caso in esame, considerata la
determinatezza dei presupposti di pericolosità nei termini sopra
specificati. Sul punto – e nel senso sempre di una lettura
costituzionalmente orientata, anche alla luce della suddetta pronuncia

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rilevanza penale, nonché sul fatto che il predetto non aveva una

Cedu, degli artt. 1 e 4 del d. Igs. n. 159 del 2011 – si veda anche Sez. 1,
n. 54119 del 14/06/2017 – dep. 30/11/2017, Sottile, Rv. 271543,
secondo cui in tema di misure di prevenzione, l’attribuzione al proposto
della condizione di “pericolosità” richiede il preliminare e attuale
inquadramento del soggetto in una delle categorie criminologiche
tipizzate negli artt. 1 e 4 del D.Lgs. 6 settembre 2011,n. 159, che
descrivono sia la pericolosità generica, che quella specifica, cui può

probabili future condotte della persona in chiave di offesa ai beni tutelati
(in motivazione, la Corte ha affermato che il giudizio di attualità della
pericolosità sociale non si basa esclusivamente sull’ordinaria prognosi di
probabile e concreta reiterabilità di qualsivoglia condotta illecita, come
previsto in via generale dall’art. 203 cod. pen., ma presuppone la
precedente inscrizione del soggetto in una delle categorie crinninologiche
tipizzate dal legislatore, richiedendo, pertanto, l’accertamento di tale
specifica inclinazione del soggetto).
4. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al
versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo
determinare in euro duemila, alla luce dei principi affermati dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P. Q.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2018.

seguire la “fase prognostica in senso stretto”, ossia la valutazione delle

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