Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1635 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1635 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorsi) proposto da Sbardella Andrea nato a Roma 29/7/1975 avverso
la sentenza del g iudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma in
data 7/6/2012;
visti gli atti, il provvedimento impu g nato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal consi g liere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
lette le conclusioni del RG. che ha chiesto il ri getto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Sbardella Andrea ricorre avverso la sentenza, in data 7/6/2012, del
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con la q uale, g li è
stata applicata la pena, concordata tra le parti, ex art. 444 cod. proc. pen.,
di anni uno di reclusione ed € 1.000,00 di multa, per i reati a lui ascritti,
ritenuta la continuazione con i reati di cui alla sentenza del Giudice per
l’udienza preliminare del Tribunale di Roma del 11/1/2006 irrevocabile il
1/2/2006, chiedendone l’annullamento in relazione all’applicazione della
pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, della

Data Udienza: 12/12/2012

t.

sospensione dall’esercizio della potestà di genitore durante la pena e
dell’interdizione legale per la durata della pena nonché della condanna al
pagamento delle spese processuali. Con motivi aggiunti depositati in
cancelleria il 29/10/2012 e con ulteriore memoria depositata in data
16/11/2012 insisteva per raccoglimento del ricorso con particolare
riferimento all’eliminazione delle pene accessorie.

3. Il ricorso è fondato solo con riferimento all’applicazione delle pene
accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, della sospensione
dall’esercizio della potestà di genitore durante la pena e dell’interdizione
legale per la durata della pena irrogate in conseguenza della sentenza di
applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. Difatti dalla
lettura della sentenza impugnata risulta che il giudice ha applicato le
suddette pene accessorie, avendo irrogato, complessivamente, una pena
superiore a cinque anni di reclusione, in ciò considerando la pena finale
applicata, tenendo conto anche dell’aumento per la continuazione.
Viceversa è noto che, sulla base dell’orientamento consolidato e costante di
questa Corte, al quale ritiene di dovere aderire il Collegio, in caso di
patteggiamento, ai fini dell’irrogazione della pena accessorie, nell’ipotesi di
riconosciuta continuazione fra più reati, deve tenersi conto, nella
determinazione in concreto della pena, di quella individuata per il reato più
grave, e quindi dell’incidenza delle circostanze attenuanti e del
bilanciamento eventualmente operato con le circostanza aggravanti, oltre
che della diminuente per il rito speciale (sez. 1 n. 27700 del 26/6/2007, Rv.
237118; sez. 1 n. 12894 del 6/3/2009, Rv. 243045; sez. 6 n. 22508 del
24/5/2011, Rv. 250500). Non si pone in contrasto con tale costante
giurisprudenza il precedente citato nella sentenza impugnata che da un lato
riconosce, con affermazione non pertinente rispetto al caso di specie, che il
limite di due anni di pena detentiva entro il quale, in caso di pena
patteggiata, è interdetta l’applicazione delle pene accessorie ed in
particolare di quelle previste nell’art. 12 d. Igs. 10 marzo 2000 n. 74, in
tema di reati concernenti le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, deve
intendersi riferito, in caso di più reati avvinti dal vincolo della
continuazione, alla pena unica finale complessivamente applicata; e da un

CONSIDERATO IN DIRITTO

altro, rifacendosi alla sopra riportata giurisprudenza e con perfetta
aderenza al caso di specie, riconosce che, ai fini dell’applicazione delle pene
accessorie, in caso di condanna per reati in continuazione, deve farsi
riferimento alla pena base e non alla pena complessiva, quale risultante
dall’aumento ex art. 81 cpv. cod. pen. (sez. 5 n. 35148 del 7/7/2010, Rv.
248162).
Pertanto, nel caso di specie, prescindendo dall’aumento per la
quella di cui alla sentenza del Tribunale di Roma del 11/1/2006, applicata la
diminuente per la scelta del rito, risulta essere inferiore a tre anni e ciò
impedisce l’applicazione delle pena accessorie dell’interdizione dai pubblici
uffici, della sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori e
dell’interdizione legale per la durata della pena, che, di conseguenza,
devono essere eliminate, difettando i presupposti previsti dal codice penale
per la loro applicazione. La sentenza impugnata va, quindi, annullata senza
rinvio limitatamente all’irrogazione delle suddette pene accessorie.
Quanto, invece, alla condanna al pagamento delle spese processuali
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Difatti, in relazione a tale
specifica fattispecie, come già affermato da questa Corte con decisione
condivisa dal Collegio (sez. 5 n. 35148 del 7/7/2010, Rv. 248162), per i fini
di cui all’art. 445 comma 1 cod. proc. pen., deve tenersi conto non del solo
aumento di pena applicato sull’accordo delle parti, ai sensi dell’art. 81 cpv.
cod. pen., sulla condanna già inflitta per reati in precedenza giudicati, ma
dell’intero risultato del calcolo conseguente alla sommatoria con la pena
base. In tal senso deve ritenersi che il parametro della pena irrogata non
superiore a due anni di pena detentiva, fissato dall’art. 445 comma 1 cod.
proc. pen. come ostativo alla condanna al pagamento delle spese del
procedimento, si riferisca alla pena unica finale complessivamente irrogata,
quale risultante all’esito di tutti gli aumenti per la continuazione così come
determinati sulla base dell’accordo intervenuto fra le parti.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione
delle pene accessorie, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.

3

continuazione, la pena irrogata per il reato più grave, da individuarsi in

Così deciso, il 12 dicembre 2012

liere estensore

Il Pesj nte

Il C

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