Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16340 del 03/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16340 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CHIRICO GIUSEPPE nato il 09/06/1960 a REGGIO CALABRIA
nel procedimento a carico di quest’ultimo

avverso l’ordinanza del 20/06/2016 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 03/10/2017

Letta la requisitoria scritta del dott. Massimo Galli, sostituto procuratore
generale della Repubblica presso questa Corte, con cui ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ordinanza in data 20 giugno 2016 il Tribunale di Reggio Calabria in
funzione di giudice del riesame confermava il provvedimento con cui il Giudice per le
indagini preliminari aveva disposto nei confronti di Chirico Giuseppe il sequestro

Riteneva sussistente un quadro di gravità indiziaria relativamente ai delitti di cui:
– all’art. 416 bis cod. pen. (capo A) relativo alla partecipazione del Chirico
stesso all’associazione di tipo mafioso denominata ndrangheta, nella sua qualità di
imprenditore che, nel settore della grande distribuzione alimentare, godeva del
costante appoggio della cosca Tegano e della ramificazione della cosca Condello,
operante nel quartiere di Gallico, appoggio attraverso cui ampliava i propri interessi e
si infiltrava nel settore delle aste immobiliari;
– all’art. 629 comma 2 cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con
mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203 (capo D) poiché agendo quale consorziato del
Consorzio dello Stretto, avvalendosi della forza

ndranghetística,

costringeva,

unitamente ai concorrenti, i coniugi Idotta-Fiore a sottoscrivere l’atto di modifica soci
e titolari di diritti su azioni e quote dell’indicato consorzio;
– all’art. 648 cod. pen. (capo G) relativo alla ricezione di beni d’impresa
derivanti dal delitto di bancarotta fraudolenta;
– all’art. 629 comma 2 cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con
mod. nella L. 12 luglio 1991, n. 203 (capo H) poiché avvalendosi della forza
ndranghetistica, unitamente ai concorrenti, costringeva Latella Brunella, nel contesto
delle procedure esecutive in danno del Cacciola, a non partecipare alla procedura
stessa al fine di rilevare i locali della Doc Market s.r.I.;
– all’art. 629 cod. pen. (capo I) poiché costringeva i dipendenti del market
Conad a rinunciare a una quota della retribuzione che era loro corrisposta e che
formalmente figurava in busta paga;
– all’art. 353 cod. pen. e 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella
L. 12 luglio 1991, n. 203, perché turbava il regolare svolgimento delle gare tramite
collusioni che prevedevano l’astensione dalle procedure d’incanto per rilevare rami
d’azienda, finalizzato ad ottenere come corrispettivo l’ingresso nel consorzio la Perla
dello stretto.
1.1. Il Tribunale spiegava che i fatti s’inscrivevano nel locale contesto del
Centro Commerciale Perla dello Stretto di Villa San Giovanni ove operava il Chirico
imprenditore commerciale, fortemente interessato all’acquisizione degli immobili
all’interno del centro stesso, con l’appoggio di Paolo Romeo e Saraceno Natale.
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preventivo, il 20/5/2016, dei beni analiticamente indicati nel decreto relativo.

L’imprenditore che risultava in condizione di collusione con la locale ndrangheta era
diventato parte dell’associazione, beneficiando della relativa forza di intimidazione e
crescendo commercialmente attraverso la relativa intermediazione.
Si riteneva, in definitiva, che la libera disponibilità dei beni potesse agevolare la
reiterazione di delitti analoghi a quelli per i quali si procedeva e che, da altro lato, si
trattasse di beni che costituivano prodotto profitto o prezzo dei reati stessi, oggetto
di confisca obbligatoria.

lamenta la violazione di legge e degli artt. 321, 240, 416 bis comma 7 cod. pen. 125
cod. proc. pen. e 292 cod. proc. pen.
L’ordinanza aveva in particolare confuso l’essere il titolare di una società
indagato per appartenenza ad associazione mafiosa, con altra e diversa questione
dell’essere la società stessa strumento servente alla struttura associativa.
Il provvedimento impugnato era completamente carente di motivazione.
Emergeva dalle intercettazioni che i supermercati appartenevano alla famiglia Chirico
ed erano nella disponibilità del Chirico stesso. Le intercettazioni in particolare tra
Saraceno Natale e Fontana Silvia attestavano l’estraneità del medesimo Chirico ai
fatti. La Fontana si interrogava sulle disponibilità economiche del ricorrente e
attestava di non sapere che fosse collegato alla ndrangheta, oltre a replicare il
Saraceno che il denaro proveniva dal supermercato che permetteva di realizzare la
somma di 50.000 euro in tre giorni.
Lo stesso dialogo Marra-Romeo dimostrava che il Chirico fosse indicato come
imprenditore autonomo e come non fosse stato raggiunto alcun accordo sulla Perla
dello Stretto. Tanto che il Marra aveva prospettato al Romeo di rappresentare al
Chirico di abbandonare Conad e di fare un accordo con Frascati. L’ordinanza non
affrontava il rapporto tra il reato e l’azienda. Aveva dato conto che i rapporti con
Romeo fossero iniziati solo nel 2013 e circa trenta anni dopo la nascita dell’azienda
del medesimo Chirico.
3. Il ricorso è inammissibile. Questa Corte ha avuto modo di osservare che il
ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o
probatorio è ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione si devono far
rientrare sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della
motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento del tutto mancante ovvero privo dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e ragionevolezza che lo rendono inidoneo a rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 5, sentenza n. 43068 del 13/10/2009 Cc.
(dep.11/11/2009) Rv. 245093, Bosi).
3.1. Nel caso di specie non ricorrono le condizioni indicate.
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2. Ricorre per cassazione Chirico Giuseppe per mezzo del difensore di fiducia e

Il giudice a quo ha dato conto con motivazione adeguata della sussistenza del

fumus commissi delicti e ha esaminato le singole contestazioni ascritte al Chirico
stesso, in funzione dell’intervento in rem. In questa logica sono stati richiamati gli
esiti delle investigazioni documentali, delle intercettazioni e delle dichiarazioni dei
soggetti informati sulle vicende, che hanno rivelato gli interessi della ndrangheta e
del medesimo Chirico nel settore della grande distribuzione alimentare. Costui, in
particolare, dopo la cessazione dell’operatività del gruppo GDM si era rivelato

sottratti alla procedura fallimentare e strumentali all’esercizio commerciale da
realizzare nel consorzio Perla dello Stretto.
Era emersa attraverso la denuncia di Latella Brunella la pressione da costei
subita in ordine agli immobili messi all’asta, pressione che, in definitiva, giungeva a
nome del Chirico, poi attinto da titolo cautelare per la partecipazione alla cosca

Tegano. Ancora si erano acquisiti più elementi sulla rinuncia alle procedure di gara da
parte di più concorrenti potenzialmente interessati. Si trattava di iniziative volte a
favorire, appunto, un soggetto specifico e che risultavano idonee e indicative dello
scopo anzidetto che si manifestava allorquando i beni entravano in possesso del
Chirico stesso, con la sua società So.R.Al. s.a.s.
In questo contesto il titolo si è trattenuto anche sui rapporti con il Romeo, sul
suo ruolo di intermediazione, finalizzato al mantenimento degli equilibri tra i vari
gruppi e sull’iniziale aspetto critico del rapporto stesso avviatosi nel 2013. Pur non
percependosi, invero, in quella congiuntura un clima amichevole tra i due soggetti
(dato ritratto dalle conversazioni intercettate) se ne seguiva l’evolvere in senso
positivo e, soprattutto, si appurava il consolidarsi di un legame con il Saraceno
stesso, commercialista dei Miceli, che a loro volta avevano acquisito spazi
commerciali nel centro.
Ancora oltre agli episodi sul comportamento tipico verso i lavoratori cui erano
sottratte quote di retribuzione che figuravano in busta paga si è soffermato il
provvedimento sul delitto della turbativa di cui all’art. 353 cod. pen. delitto che
finiva per favorire anche il medesimo ricorrente che, attraverso un patto mediato
dal Romeo e dal Marra, entrava in una composizione di interessi economici tra le
cosche contribuendo alla creazione di quell’assetto ecoreerhico-imprenditoriale che
induceva tale Belvedere al commento captato il 14/7/2015, allorquando esclamava
dicendo che per La Perla dello Stretto era tutto in mano alla ndrangheta. In questo
scenario e nel contesto probatorio delineato in termini di

fumus il tribunale ha

ritenuto esistenti i presupposti del sequestro con una motivazione immune da
censure che non risulta, per altro verso, scalfita dalle critiche contenute in ricorso.
Attraverso l’impugnazione si tende, infatti, ad ottenere una diversa valutazione dei
risultati dimostrativi che sono stati correttamente vagliati dal giudice di merito e che
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chiaramente interessato all’acquisizione, con l’intermediazione del Marcianò, dei beni,

non risultano suscettibili di diversa ponderazione in sede di legittimità, e, soprattutto,
nello scrutinio del tema patrimoniale dedotto.
Si annota correttamente come ricorra il profilo di correlazione tra i beni e i
delitti ascritti e come in particolare le realtà aziendali siano in diretta connessione
con il fatto associativo, risultando la partecipazione del Chirico fondata proprio sul
ruolo imprenditoriale svolto, avvalendosi delle imprese a lui facenti capo. In questa
logica le aziende risultano aver consolidato la posizione di mercato e , soprattutto,

struttura e concorrente in essa con la conseguenza che l’impresa diviene strumento
di attuazione del programma associativo e risulta confiscabile ex art 416 bis comma
7 cod. pen.
Egualmente coerenti sono le considerazioni svolte sul collegamento tra beni e
rischio di recidiva.
In realtà le condotte poste in essere appaiono intimamente collegate al
patrimonio aziendale e alla finalità imprenditoriale perseguita, attraverso l’apporto
dell’intimidazione e della struttura associativa. L’impresa beneficia di condotte illecite
che sarebbero esposte a reiterazione là dove l’imprenditore stesso avesse la libera
disponibilità dei beni per sé o nell’interesse di terzi a costui collegati.
La motivazione risulta, pertanto, corretta e non si realizza alcuna confusione tra
ruolo associativo dell’imprenditore e possibile carattere autonomo dei beni.
Contrariamente nella specifica vicenda si annota come il compendio aziendale evochi
il concetto di impresa mafia che si consolida e cresce imprenditorialmente attraverso
il contributo dell’associazione cui aderisce l’imprenditore stesso che, in un rapporto di
cointeressenza, si avvale della forza del gruppo stesso, che diventa motore esecutivo
dell’attività commerciale. L’origine e l’eventuale genesi lecita della struttura aziendale
risultano, pertanto, ininfluenti alla luce degli eventi postumi (Sez. 6, n. 6766 del
24/01/2014 Cc. (dep. 12/02/2014 ) Rv. 259073) avendo dato conto il giudice
territoriale dei presupposti legittimanti l’intervento cautelare reale. In particolare il
sequestro di un’azienda amministrata da un soggetto indagato del delitto di
partecipazione ad associazione di tipo mafioso, postula la dimostrazione di una
correlazione, specifica e concreta, tra la gestione dell’impresa alla quale
appartengono i beni da sequestrare e le attività riconducibili all’ipotizzato sodalizio
criminale, non essendo sufficiente, di per sé, il riferimento alla sola circostanza che il
soggetto eserciti le funzioni di amministrazione della società. Nella specie si è avuto
modo di anticipare come i rapporti tra il Chirico e i diversi esponenti della criminalità
organizzata locale ne abbiano descritto il tipico ruolo di imprenditore colluso rispetto
alla cui posizione si legittima l’intervento in rem.
Deduzioni di puro fatto sono contenute nelle critiche residue del ricorso. Ciò
vale sia per la genesi dell’azienda che risalirebbe a circa trent’anni prima del
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aver beneficiato di un appoggio costante che rende l’imprenditore organico alla

sequestro, aspetto del resto irrilevante, per quanto già detto e per i contributi
storicamente recenti alla struttura aziendale, sia per la titolarità delle strutture in
capo alla famiglia Chirico e non al solo Chirico Giuseppe. Sul punto basta annotare
che costui risulta l’imprenditore che si avvale dei compendi aziendali e che dispone
dei beni determinandone indistinto e complessivo accrescimento.
Quanto ai commenti ritratti dalle intercettazioni si tratta di valutazioni
atomistiche su singoli brani estratti dai colloqui, proposti in termini parcellizzati al

degenerano nella pura congettura personale e che, dall’altro, risultano per ciò solo e
per metodo inammissibili in sede di ricorso per cassazione.
4. Alla stregua di quanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
2000 alla cassa delle ammende, non ricorrendo ipotesi di assenza di colpa nella
proposizione del mezzo di impugnazione, che possa esonerare dalla sanzione di cui
all’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente /

giudice di legittimità. Con la conseguenza che fondano critiche, da un lato, che

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