Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16335 del 20/04/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16335 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Casano Salvatore, nato a Gela il 23/06/1972

avverso l’ordinanza del 18/02/2016 del Tribunale di sorveglianza di Sassari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Enrico Delehaye, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado e di una somma alla
cassa delle ammende.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 febbraio 2016, depositata in pari data, il Tribunale
di sorveglianza di Sassari rigettava il reclamo proposto, ai sensi dell’art.

35-ter

Ord. pen. da Casano Salvatore, in atto detenuto presso la Casa di reclusione di
Oristano, in espiazione della pena di cui al provvedimento di cumulo del 9
settembre 2008 della Procura generale della Repubblica presso la Corte di

Data Udienza: 20/04/2017

appello di Caltanissetta, avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza
di Nuoro, che aveva accolto parzialmente il reclamo, avanzato dallo stesso per
violazione dell’art. 3 CEDU con riferimento ai periodi di restrizione negli istituti di
Milano San Vittore, Caltanissetta, Trapani, Caltagirone, Agrigento, Ragusa,
Velletri, Augusta, Spoleto, Milano Opera, Novara, L’Aquila e Nuovo,
riconoscendogli una riduzione della pena pari a cinquantuno giorni e un
risarcimento forfettario di settantadue euro.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che;

l’istituto di Trapani, che, cessato nel 1992, era antecedente al titolo in
esecuzione per il quale la pena decorreva dal 31 ottobre 1993;
– non era ravvisabile la dedotta detenzione inumana con riguardo ai periodi
detentivi presso gli istituti di Novara, Caltagirone, Nuoro, Opera e Spoleto, avuto
riguardo ai documenti ufficiali, acquisiti al fascicolo, dagli stessi inviati;
– non erano valutabili il periodo detentivo di tre giorni presso il carcere di
Milano San Vittore, in quanto inferiore al limite minimo di quindici giorni previsto
dall’art. 35-ter Ord. pen., né quello (dal 15 gennaio 1994 al 19 maggio 1995)
presso il carcere dì Agrigento, che, secondo la segnalazione pervenuta da parte
della Direzione della Casa circondariale, era dismesso da circa venti anni, e non
rientrava «nei doveri, né nelle possibilità materiali […] l’accertamento e la
verifica di quanto richiesto». Neppure il reclamante aveva allegato elementi
fattuali in ordine alla sua detenzione nella indicata struttura;
– non era condivisibile la deduzione difensiva circa la insufficienza delle
informazioni relative ai periodi di detenzione presso il carcere di Augusta, mentre
quelli risultanti dalla lista movimenti erano stati interamente valutati nel
provvedimento reclamato;
– non era accoglibile il reclamo con riguardo ai periodi detentivi presso il
carcere di Caltanissetta, indicati nella istanza originaria e non valutati nel
provvedimento reclamato, perché antecedenti alcuni al periodo di decorrenza
della pena e non riferiti al titolo in esecuzione, inferiori altri ai quindici giorni, e
insussistente per i residui la violazione dell’art. 3 CEDU.

2. Avverso detta ordinanza ricorreva per cassazione, con atto personale,
l’interessato Casano deducendo violazione di legge, con riferimento agli artt. 35ter, 69, comma 6, lett. b) Ord. pen. e 3 CEDU, per il mancato riconoscimento del
trattamento inumano e degradante subito nei vari istituti in cui era stato
detenuto.
Secondo il ricorrente, che richiamava le informazioni trasmesse a mezzo
suoi manoscritti al Tribunale di sorveglianza puntualizzando i periodi detentivi e

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– non poteva essere oggetto di valutazione il periodo detentivo presso

fornendo alcuni elementi utili, il Tribunale, che aveva omesso di darne conto, era
incorso in errori materiali e nel merito.
Egli, che nella istanza aveva sicuramente fatto riferimento al carcere di
Torino non considerato, aveva sottolineato che il presofferto del 1991 e 1992
presso il Carcere di Trapani e presso il carcere di Caltanissetta faceva parte del
provvedimento di cumulo del 9 settembre 2008, senza che il suo passaggio in
altre carceri potesse escludere la valutazione del pregiudizio già subito e da lui
spiegato, illustrando la situazione carceraria, con rogatoria in data 11 febbraio

Anche con riguardo ai periodi detentivi presso il carcere di Novara, in regime
differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., e presso quello di Caltagirone, in regime
detentivo comune, il Tribunale, peraltro confondendo i periodi, non aveva
considerato le condizioni carcerarie, pur segnalate, senza dar conto delle
informative, da lui stesso richieste e presumibilmente pervenute allo stesso
Tribunale.
Il Tribunale neppure aveva fatto menzione del maggior numero dei detenuti
presenti nelle celle nel tempo rispetto a quelli considerati nel provvedimento del
Magistrato di sorveglianza e delle condizioni delle stesse con riferimento
all’istituto di Nuoro; né aveva reso conto, con riguardo agli istituti di Opera e
Spoleto, dei criteri seguiti per il calcolo della metratura delle celle rispetto ai loro
occupanti, peraltro diversa da quella riferita nel primo provvedimento; aveva
escluso i tre giorni di detenzione presso il carcere di Milano San Vittore, neppure
richiesti, incorrendo in ulteriore errore; non aveva considerato che,
relativamente al periodo passato presso il carcere di Agrigento San Vito aveva
fornito coerenti informazioni relative alla estensione delle celle e al numero degli
occupanti; non aveva correttamente apprezzato lo stato delle celle del carcere di
Caltanissetta non dissimile da quello delle celle dell’istituto di Ragusa per il quale
la sua istanza era stata accolta.

3.

Con requisitoria scritta, depositata il 25 ottobre 2016 il Sostituto

Procuratore generale chiedeva dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

4.

Con note con motivi aggiunti, recanti la data del 16 marzo 2017,

pervenute il 30 marzo 2017, il ricorrente, insistendo nell’accoglimento del
ricorso, esplicava ulteriormente le ragioni, riferite a ciascuno degli istituti oggetto
della richiesta, che ne giustificavano l’accoglimento, anche richiamando i suoi
interventi presso l’Amministrazione penitenziaria per far pervenire note
informative al Tribunale decidente e la documentazione da lui stesso depositata.

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2016.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

2. Si rileva in diritto che l’art. 35-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. Ord.
pen.), inserito dall’art. 1, comma 1, d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito con
modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117, ha introdotto nell’ordinamento
specifici «rimedi risarcitori», conseguenti alla violazione dell’art. 3 Convenzione

(CEDU), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nei confronti
di soggetti detenuti e internati che abbiano subito il pregiudizio di cui all’art. 69,
comma 6, lett. b) Ord. pen., come sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. i) d.l. 23
dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio
2014, n. 10, consentendo loro di ottenere una riduzione della pena ancora da
espiare, ovvero una somma di denaro commisurata alla protrazione della
esecuzione carceraria della pena detentiva nelle condizioni non conformi con le
prescrizioni convenzionali.
2.1. Questa Corte, che, con pertinenti principi di diritto, ha fissato i
parametri interpretativi della innovata disciplina normativa, dandone una
coerente lettura in linea con la legislazione e la giurisprudenza sovranazionale,
ha affermato, con diversi arresti (tra le altre, Sez. 1, n. 876 del 16/07/2015,
dep. 2016, Ruffolo, Rv. 265586; Sez. 1, n. 38801 del 19/07/2016, Commisso,
Rv. 268118; Sez. 1, n. 9658 del 19/10/2016, dep. 2017, De Michele, Rv.
269308), che, in materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art.
3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, l’attualità del pregiudizio
non è condizione di accoglibiltà della domanda di contenuto riparatorio rivolta,
perdurando la detenzione, al magistrato di sorveglianza, avuto riguardo alla
natura atipica, con carattere prevalentemente indennitario, della ridetta istanzareclamo, che suppone come condizione sufficiente il solo stato di detenzione,
senza che il richiamo contenuto nell’art. 35-ter Ord. pen. al pregiudizio di cui
all’art. 69, comma 6, lett. b) Ord. pen., ai fini della riduzione della pena, vada
riferito al presupposto della necessaria attualità del pregiudizio medesimo.
Né tale condiviso principio contrasta con quello della irretroattività della
legge penale, in quanto la nuova disciplina non ha creato un diritto soggettivo in
precedenza inesistente, dovendo farsi, al contrario, diretto riferimento alla CEDU,
il cui art. 3 sancisce il diritto del detenuto a espiare la pena detentiva senza
trattamenti inumani e degradanti, fonte resa esecutiva in Italia con la legge di
ratifica 4 agosto 1955, n. 848, che ha esteso e rafforzato la previsione peraltro
già contenuta nell’art. 27 Cost. e consentito di riconoscere quale illecito civile la

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europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

sua violazione (tra le altre, Sez. 1, n. 43722 del 11/06/2015, Salierno, n.nn.;
Sez. 1, n. 46966 del 16/07/2015, Koleci, Rv. 265973; Sez. 1, n. 876 del
16/07/2015, citata; Sez. 1, n. 13125 del 17/11/2016, dep. 2017, Zindato, n.m.)
Tali argomenti, peraltro, sono coerenti con quelli affermati dalle Sezioni
Unite civili (Sez. U, n. 28507 del 23/12/2005, Rv. 586701), che, con riferimento
alla equa riparazione per la irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 2
legge n. 89 del 2001, hanno affermato che la fonte attributiva del relativo diritto
non va ravvisata nella sola normativa nazionale, poiché il fatto costitutivo del

nell’art. 6 CEDU, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 848 del 1955,
e, pertanto, di immediata rilevanza nell’ordinamento interno, e hanno fatto
discendere da tale premessa la conseguenza che il diritto all’equa riparazione del
pregiudizio per irragionevole durata del processo, verificatosi prima della entrata
in vigore della citata legge n. 89 del 2001, deve essere riconosciuto dal giudice
nazionale anche in favore degli eredi della parte del giudizio instaurato in un
momento antecedente e di durata eccessiva, tranne che la domanda risarcitoria
non sia stata già proposta alla Corte di Strasburgo e dichiarata ricevibile (Sez. 1,
n. 13125 del 17/11/2016, citata).
2.4. A tali rilievi in diritto consegue che deve ritenersi valutabile da parte
della magistratura di sorveglianza una domanda tesa a ottenere il ristoro, ai
sensi dell’art. 35-ter Ord. pen., di lamentati pregiudizi pregressi rispetto alla data
del 26 giugno 2014 e relativi a tutto il periodo di carcerazione, sempre che il
soggetto all’atto della proposizione della stessa domanda si trovi in condizione di
detenzione, dovendo, quindi rapportarsi l’attualità allo

status di detenuto in

espiazione pena, e la domanda abbia a oggetto la prospettata violazione -da
parte dell’Amministrazione penitenziaria- delle regole di comportamento derivanti
dal generale divieto di sottoporre il soggetto detenuto a trattamenti inumani o
degradanti.
2.5. Sussiste, pertanto, nella specie un primo profilo di illegittimità
dell’ordinanza con riguardo alla esclusa valutabilità, in costanza di detenzione,
dei periodi detentivi pregressi al titolo in esecuzione.
Né l’art. 35-ter Ord. pen. richiede, come sostenuto nell’ordinanza, che la
detenzione non sia precedente a quella della decorrenza della pena stabilita nel
provvedimento di cumulo in espiazione.
La deroga di cui al terzo comma, neppure richiamata, attiene peraltro alla
ipotesi in cui il pregiudizio sia stato subito in stato di custodia cautelare in
carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare, la cui
ricorrenza, opposta dal ricorrente che ha allegato il provvedimento di cumulo,
non risulta verificata.

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diritto da questa riconosciuto coincide con la violazione della norma contenuta

3. Un ulteriore profilo di illegittimità dell’ordinanza, denunciato dal
ricorrente, attiene al mancato apprezzamento nell’ordinanza impugnata delle
informazioni e dei chiarimenti offerti con dichiarazioni rese a mezzo rogatoria al
magistrato di sorveglianza ovvero a mezzo manoscritti esplicativi, richiamati nel
ricorso e ulteriormente enunciati nelle note con motivi aggiunti.
3.1. Si osserva che questa Corte ha più volte affermato che l’omessa
valutazione di ragioni difensive da parte del giudice cui sono rivolte, «siano esse

un intervento orale», non può essere fatta valere in sede di gravame come causa
di nullità del provvedimento impugnato, in quanto non espressamente
comminata dalla legge, ma può influire sulla congruità e correttezza logicogiuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui
ambito le stesse ragioni siano state espresse (tra le altre, Sez. 6, n. 18453
del 28/02/2012, Cataldo, Rv. 252713; Sez. 6, n. 269 del 05/11/2013, dep. 2014,
Cattafi, Rv. 258456; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 2016, Graziano,
Rv. 267561).
3.2. Non emerge dalla motivazione dell’ordinanza che il Tribunale, che pur
ha dato atto della rogatoria pervenuta in data 11 febbraio 2016, si sia fatto
carico di correlarsi con i suoi contenuti e di dare congruente risposta alle
prospettazioni pertinenti ai periodi detentivi, alle condizioni carcerarie e al
numero dei detenuti, dedotte come nella stessa enunciate, risultando al contrario
ripetuti riferimenti nell’ordinanza alla sola istanza originaria che, se delimita il
petitum e la causa petendi, non preclude la illustrazione da parte dell’istante
delle ragioni alla stessa collegate.
Né si è esplicitato nell’ordinanza, in riferimento alla richiesta relativa al
periodo detentivo presso la struttura penitenziaria di Agrigento San Vito, in quali
termini la stessa sia stata formulata per essere stata giudicata inidonea a
consentire i necessari accertamenti, poiché, per giurisprudenza pacifica (tra le
altre, Sez. 1, n.47480 del 16/07/2015, Manfra, Rv. 265468; Sez. 1, n. 876 del
16/07/2015, dep. 2016, Ruffolo, Rv. 265855), in tema di reclamo ai sensi degli
artt.

35-ter

Ord. pen., la natura essenzialmente compensativa, più che

risarcitoria in senso stretto, dell’azione finalizzata a ottenere una riparazione
effettiva delle violazioni dell’art. 3 CEDU esclude che la domanda debba essere
corredata dalla indicazione precisa e completa degli elementi che si pongono a
fondamento della stessa, essendo sufficiente l’indicazione dei periodi di
detenzione, degli istituti di pena e delle specifiche condizioni detentive, in
relazione ai quali l’interessato deduce un trattamento penitenziario subito in
violazione dell’art. 3 CEDU.

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espresse in un motivo di impugnazione, in una memoria scritta o nell’ambito di

4. L’ordinanza impugnata merita censura anche sotto altro profilo.
Il rigetto del reclamo è stato giustificato dalla insussistenza dei presupposti
fattuali del lamentato trattamento inumano e degradante alla stregua delle
informazioni trasmesse dagli istituti presso i quali il ricorrente è stato o è
ristretto, annotandosi gli esiti delle verifiche, contestate nel ricorso sia nella
rispondenza al vero dei dati metrici valorizzati, sia nei criteri di calcolo seguiti
quanto agli spazi individualmente disponibili e a quelli occupati e al diverso
,kre
La genericità dei riferimenti dell’ordinanza, astratta Org?stessa indicazione

dei criteri di valutazione adottati circa le condizioni detentive patite dal
ricorrente, non rende suscettibile di concreta verifica la valutazione svolta, che,
secondo ribaditi principi deve procedere, effettuando il computo dello spazio
minimo individuale, fruibile per ciascun occupante una cella collettiva, mediante
detrazione dalla superficie della camera detentiva dell’area destinata ai servizi
igienici e dello spazio occupato dagli arredi fissi e dal letto, e apprezzando,
inoltre, qualora dovesse risultare la disponibilità di un’area di estensione inferiore
all’indicato spazio, le altre condizioni in cui si è svolta la detenzione ed eventuali
parametri compensativi, come la permanenza all’esterno della cella e la sua
protrazione oraria (tra le altre, Sez. 1, n. 52819 del 09/09/2016, Sciuto
Rv. 268231; Sez. 1, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017, Morello, Rv. 269514;
Sez. 2, n. 11980 del 10/03/2017, Mocanu, Rv. 269407).

5. L’ordinanza deve essere, pertanto, annullata.
Tale annullamento va disposto con rinvio al Tribunale di sorveglianza di
Sassari, che procederà a nuovo esame, in piena libertà di giudizio, ma con
motivazione completa e coerente con i principi di diritto richiamati e i rilievi
formulati.

P.Q.M

.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
sorveglianza di Sassari.
Così deciso il 20/04/2017
Il Consigliere estensore
Angela Tardio

numero dei codetenuti nel tempo.

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