Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16334 del 12/01/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16334 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PERNICE MARIA ANTONIETTA N. IL 01/10/1960
avverso la sentenza n. 625/2013 CORTE APPELLO di POTENZA, del
02/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 12/01/2016

RITENUTO IN FATTO
– che l’imputata .MARIA ANTONIETTA PERNICE, in atti generalizzata, ricorre contro la
sentenza indicata in epigrafe (che ne ha confermato la condanna riportata in primo grado per
i reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p. alla pena ritenuta di giustizia dal primo giudice),
lamentando violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’affermazione di
responsabilità, alla sussistenza degli elementi costitutivi dei reati ipotizzati, al diniego delle

– che, all’odierna udienza camerale, celebrata ex artt. 610, comma 1, e 611, comma 1,
c.p.p., il collegio ha preso atto della regolarità degli avvisi di rito, ed all’esito ha deciso come
da dispositivo in atti;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di specificità in
tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in
appello e già non accolte: Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED
Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n.
256133), del tutto assertivo e, comunque, manifestamente infondato, ‘a fronte dei rilievi con i
quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti,
logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato
l’affermazione di responsabilità in ordine ai reati ritenuti valorizzando l’accertata – e neanche
negata – disponibilità della merce contraffatta in sequestro, esposta per la vendita, della quale
non giustificava la provenienza. In tal modo, la Corte di appello si è correttamente
conformata – quanto alla qualificazione giuridica dei fatti accertati – al consolidato
orientamento di questa Corte di legittimità (da ultimo, Sez. V, sentenza n. 5260 dell’Il
dicembre 2013, dep. 3 febbraio 2014, CED Cass. n. 258722), per la quale integra il delitto di
cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto
senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione =„ considerato che l’art.
474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione
dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni
distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la
circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo,
per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi
l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di
vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno. Si è
anche chiarito (Sez. II, sentenza n. 12452 del 4 marzo 2008, CED Cass. n. 239745) che il
delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e quello di commercio di prodotti con segni falsi
(art. 474 cod. pen.) possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono

attenuanti generiche;

condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un
rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita
del legislatore;
– che il motivo inerente al diniego delle circostanze attenuanti generiche è del tutto
generico, non indicando gli elementi asseritamente non valorizzati dalla Corte di appello: non
sono, infatti, specificate le «precipue circostanza personali>> che si assume invocate con
l’atto di appello, né è ammissibile un ricorso che faccia rinvio per relationem all’atto di appello

valutazione, da parte del giudice dell’• –

i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa
, delle censure articolate con il relativo atto di

gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire
l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il
sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica»: Sez. III, n. 35964 del
4.9.2015, CED Cass. n. 264879);
– che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare d’ufficio la prescrizione
del reato eventualmente maturata prima della sentenza di appello, ma non rilevata né
eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso (Sezioni Unite, sentenza n. 12602 del 25 marzo
2016);
– che non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione
eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale
inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazone «non consente il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.>>

(Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22

novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del ricorso era dovuta
alla manifesta infondatezza dei motivi, e la
successivamente alla data della sentenza impugnata con il

del reato era maturata
; conformi, Sez. un.,

sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601
del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400);
– che la declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché apparendo evidente che ella ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità
per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186), e tenuto conto della rilevante entità di detta
colpa – della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di san one
pecuniaria;

(«È inammissibile il riwrs,-) per

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 12 gennaio 2016
Il Presidente

Il comp nente estensore

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