Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16332 del 20/03/2018


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Penale Ord. Sez. 1 Num. 16332 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: VANNUCCI MARCO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MARILLO CIRO nato il 06/11/1969 a MILANO

avverso la sentenza del 07/03/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata.

Data Udienza: 20/03/2018

RIENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 7 marzo 2017 la Corte di appello di Milano ha
confermato la sentenza emessa, a definizione di procedimento svoltosi nelle forme
del giudizio abbreviato, dal Tribunale di Milano il 12 settembre 2016 recante
condanna di Ciro Marillo alla pena di otto mesi di reclusione per avere costui,
sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel

3 febbraio 2012, violato tale obbligo facendosi trovare il 13 agosto 2016 all’interno
del Centro commerciale “Fiordaliso”, sito nel territorio del Comune di Rozzano (art.
75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011).
A fondamento di tale decisione ed in risposta a specifico motivo di impugnazione,
la sentenza afferma che: con decreto del 3 febbraio 2012 Marillo venne dal
Tribunale di Milano assoggettato alla misura della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano per la durata di anni due;
l’esecuzione di tale misura di prevenzione venne sospesa il 18 gennaio 2013 a
seguito di un cumulo delle pene, con applicazione della misura di sicurezza della
libertà vigilata per due anni; l’imputato venne quindi ammesso al beneficio
dell’affidamento terapeutico presso un centro diurno e tale misura alternativa alla
detenzione si concluse con esito positivo; il 30 settembre 2015 il Tribunale di
sorveglianza accertò la pericolosità sociale di Marillo e lo sottopose per un altro anno
alla misura della libertà vigilata; il 4 agosto 2016 l’imputato venne formalmente
informato dell’interruzione della misura di sicurezza in ragione della concomitante
applicazione della misura di prevenzione, lo stesso giorno notificatagli, con
conseguente sottoscrizione del verbale di sottoposizione agli obblighi dal decreto del
2012 imposti; è certamente vero che quando l’esecuzione di misura di prevenzione
personale resta sospesa in ragione dello stato di detenzione del destinatario il
giudice che quel provvedimento ha adottato debba, anche d’ufficio, valutare la
persistenza della pericolosità sociale della persona nel momento di esecuzione della
misura; è però altrettanto vero che nel mese di settembre del 2015 la pericolosità
sociale dell’imputato era stata ritenuta sussistente dal Tribunale di sorveglianza, a
nulla, quindi, rilevando l’esito favorevole dell’affidamento in prova quale misura
alternativa alla detenzione ed «osservandosi inoltre che eventuali questioni circa la
sua persistenza dovevano semmai essere sottoposte all’a.g. che aveva emesso il
provvedimento in esecuzione»; sussisteva quindi il reato oggetto di imputazione.

2.

Per la cassazione di tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso (atto

sottoscritto dal difensore, avvocato Vincenzo Sergio Vitale) denunciando erronea

Comune di Milano per anni due, in forza di decreto emesso dal Tribunale di Milano il

applicazione dell’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e contraddittorietà della
motivazione quanto alla valutazione della pericolosità sociale.
Ad avviso del ricorrente: l’efficacia della misura di prevenzione nei suoi confronti
emessa il 3 febbraio 2012 era stata sospesa, essendo egli detenuto in espiazione di
pena; dopo la cessazione dell’esecuzione della pena nessuna valutazione della
attualità della sua pericolosità sociale era stata fatta, al momento dell’esecuzione
della misura di prevenzione (primi giorni del mese di agosto 2016), dal Tribunale di

obbligo di soggiorno, in violazione quindi dell’art. 15 del d.lgs. n. 159 del 2011 nel
testo risultante dall’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del
2013; la sentenza impugnata, pur riconoscendo tale assenza di nuova valutazione
ad opera del giudice della prevenzione, in violazione di legge ritiene sufficiente che
la stessa venne compiuta dal Tribunale di sorveglianza (giudice diverso da quello
che aveva emesso il provvedimento di prevenzione) al momento dell’applicazione
della libertà vigilata nel mese di settembre 2015, e cioè un anno prima
dell’applicazione della misura di prevenzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Dall’accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, non contestato, risulta
che: con decreto emesso il 3 febbraio 2012 il Tribunale di Milano, sezione misure di
prevenzione, assoggettò il ricorrente a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza
con obbligo di soggiorno nel Comune di Milano per la durata di anni due;
l’esecuzione di tale misura di prevenzione venne sospesa il 18 gennaio 2013 per
effetto di esecuzione di pena detentiva; il 4 agosto 2016 (dopo più di quattro anni
dall’emanazione del decreto e dopo più di tre anni dalla sospensione della sua
efficacia esecutiva) riprese l’esecuzione della misura di prevenzione mediante nuova
notificazione del decreto e sottoscrizione da parte del suo destinatario del verbale di
sottoposizione agli obblighi con lo stesso provvedimento imposti; non risulta che,
nel periodo compreso fra il 18 gennaio 2013 e il 4 agosto 2016, il giudice della
prevenzione abbia rivalutato il presupposto (pericolosità sociale) del ricorrente.
La sentenza impugnata afferma che vi è stato, dopo nuova notificazione del
decreto del febbraio 2012 al termine del periodo detentivo, inadempimento del
ricorrente all’obbligo di soggiorno in Milano, con conseguente sussistenza del delitto
previsto dall’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto: il 30 settembre
2015 il magistrato di sorveglianza, in sede di proroga della misura di sicurezza della
libertà vigilata, ebbe ad accertare la persistente pericolosità sociale del ricorrente; in
ogni caso, ogni questione relativa alla persistenza della pericolosità quale

2

Milano che il 3 febbraio 2012 aveva disposto la misura di prevenzione personale con

presupposto della perdurante efficacia esecutiva della misura di prevenzione
avrebbe dovuto dal ricorrente essere sottoposta al giudice della prevenzione.

2. Il ricorrente deduce invece, in sostanza, che al momento del fatto a lui
contestato l’efficacia esecutiva del decreto del 3 febbraio 2012 doveva ritenersi ex
lege ancora sospesa, non avendo il giudice della prevenzione adottato alcuna
decisione di conferma della misura di prevenzione fondata sull’attualità della sua

dell’esecuzione del decreto menzionato; con conseguente non sussistenza del reato
di inadempimento ad obbligo contenuto in decreto la cui efficacia esecutiva era
ancora sospesa.

3. Nel presente giudizio di legittimità è in discussione,

quindi, ai fini della

configurabilità del delitto previsto dall’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011,
l’interpretazione del contenuto precettivo dell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 159 del
2015 per come risultante dall’addizione ad esso apportata dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 291 del 2011.
Tale disposizione prevede, per quanto qui interessa, che il tempo trascorso in
custodia cautelare seguita da condanna o in espiazione di pena detentiva non è
computato nella durata dell’obbligo di soggiorno.
Di tale disposizione è stata, dalla citata sentenza n. 291 del 2011, affermata
l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui
l’esecuzione di misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di
detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, il giudice che
ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la
persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione
della misura; con la precisazione che tale ulteriore valutazione può dal giudice
essere «ragionevolmente omessa a fronte della brevità del periodo di differimento
dell’esecuzione della misura di prevenzione».

4. Premesso che nel caso di specie, in ragione del consistente lasso temporale
trascorso fra emissione della misura di prevenzione e momento in cui cessò il
differimento dell’esecuzione della stessa determinato della detenzione del sottoposto
alla misura stessa, non sussiste il presupposto, indicato dalla citata sentenza del
giudice delle leggi, per l’omissione della ulteriore valutazione di pericolosità, si
riscontra oggettivo contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla
interpretazione da dare alla norma sopra indicata (per come risultante dall’addizione
recata dalla sentenza della Corte costituzionale) e alla conseguente sussistenza del
reato previsto dall’art. 75 d. Igs. n. 159 del 2011, quando – dopo formale

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pericolosità sociale al momento della cessazione del periodo di differimento

notificazione della ripresa vigenza della misura di prevenzione e concomitante
sottoscrizione del verbale di sottoposizione ad opera del sottoposto – al momento
della commissione da parte della persona sottoposta a misura di prevenzione
personale di fatti astrattamente costituenti reato da violazione di obblighi o
prescrizioni imposti con il decreto che la misura ha disposto, manchi – prima della
commissione di tali fatti – ulteriore valutazione della pericolosità di tale soggetto da
parte del giudice della prevenzione al termine del periodo di sospensione

consistente durata.

5. Secondo Sez. 1, n. 6878 del 05/12/2014, dep. 2015, Villani, Rv. 262311, in
ipotesi di sottoposto a misura di prevenzione ai sensi della legge n. 1423 del 1956
ovvero del d.lgs. n. 159 de 2011, il quale, successivamente all’adozione della
misura, sia assoggettato a misura cautelare personale ovvero alla espiazione di
pena detentiva per un apprezzabile periodo temporale potenzialmente idoneo ad
incidere sullo stato di pericolosità in precedenza delibato, la misura stessa deve
considerarsi sospesa nella sua efficacia fino a quando il giudice della prevenzione
non ne valuti nuovamente l’attualità alla luce di quanto desumibile in favore del

dell’efficacia esecutiva del decreto impositivo della misura derivata da detenzione di

sottoposto dalla esperienza di carcerazione patita; con la conseguenza che, fino a t, ZL
quando tale nuova valutazione non venga effettuata dal giudice della prevenzione,
anche alla luce del comportamento tenuto nel corso dell’esecuzione della pena, non
può considerarsi sussistente il reato di cui all’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del
2011 (ovvero quello di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956), dal
momento che tale illecito consiste nell’inadempimento ad obblighi e prescrizioni la
cui esecuzione è sospesa.
La stessa regola di interpretazione è adottata da Sez. 1, n. 22547 del
08/01/2015, Di Rocco, Rv. 263575 e da Sez. 5, n. 33345 del 13/06/2016,
Cartanese, Rv. 268046.
Corollario di tale interpretazione è che, nel caso di sospensione dell’efficacia
esecutiva di decreto dispositivo di misura di prevenzione personale conseguente a
detenzione, per un significativo periodo, della persona alla stessa assoggettata, il
giudice chiamato a conoscere, nel merito e in via cautelare, della sussistenza di
reato di violazione di obblighi derivanti da tale misura «deve verificare se la
valutazione di attualità della pericolosità sociale sia stata o meno compiuta
dall’autorità giudiziaria competente, costituendo essa presupposto di legittimità
dell’esecuzione del provvedimento di prevenzione, rimasto sospeso, come tale
incidente sul rilievo penale delle violazioni contestate» (così Cass. Sez. 1, n. 48686
del 29/09/2015, Mancuso, Rv. 265665).

In buona sostanza, secondo tale opzione ermeneutica, la valutazione di attualità
della pericolosità sociale del destinatario della misura in questione, compiuta dal
giudice della prevenzione al termine del periodo di differimento di esecuzione della
misura stessa determinato da detenzione di durata tale da incidere su tale stato,
costituisce presupposto di sussistenza per tale persona dei reati previsti dall’art. 75
del d.lgs. n. 159 del 2011.

del 09/03/2017, Greco, Rv. 270655, che, pur ribadendo la doverosità della
rinnovazione dell’esame della pericolosità sociale dopo detenzione di lunga durata
«allorquando all’esito della detenzione stessa emergano profili o dati di fatto
specifici, potenzialmente idonei ad incidere sullo stato di pericolosità sociale
precedentemente delibato in senso positivo», evidenzia, da un lato, che il nuovo
esame della pericolosità sociale dopo lunga detenzione di destinatario di misura di
prevenzione, é rimesso alla competenza funzionale «del giudice della misura stessa»
e, dall’altro, che non può affermarsi che la mancanza di tale rivalutazione equivalga,
però, «ad automatica inesistenza (originaria o sopravvenuta) del titolo genetico o
che tenga luogo d’una sua sospensione ex lege.

Il presupposto di pericolosità

sociale, condizione strutturale essenziale della misura, che trae genesi dal titolo
originario, continua ad esistere, perché adottato nel concorso delle condizioni
legittimanti ed all’esito della verifica giurisdizionale e ciò finché il giudice
funzionalmente competente non provveda ad operare una rivalutazione di segno
contrario».
Segue non dissimile ordine di concetti Sez. 1, n. 29197 del 09/05/2017,
Iamonte, non massimata, secondo cui, ricorrendo nel caso concreto gli estremi della
fattispecie legale determinata dalla citata sentenza additiva della Corte
costituzionale, dal mancato accertamento officioso del giudice della prevenzione
della pericolosità di persona sottoposta a misura di prevenzione, dopo la cessazione
di consistente periodo di detenzione, non deriva ex se la perdurante sospensione
dell’esecuzione della misura stessa; con la conseguenza che, «ai fini della
rivalutazione della pericolosità sociale, deve escludersi ogni forma di automatismo
decisorio – favorevole o sfavorevole al prevenuto – non potendosi prescindere dalla
valutazione delle emergenze del caso concreto».
La conseguenza è che nell’ipotesi in cui la persona destinataria della misura di
prevenzione non abbia dopo la sua scarcerazione «attivato alcun percorso finalizzato
al suo reinserimento sociale, tale da fare ritenere venuto meno o comunque
attenuato il giudizio di pericolosità posto a fondamento della misura presupposta»,
ovvero non abbia dedotto «di avere goduto in carcere di benefici o misure che
consentissero una valutazione incidentale di possibile risocializzazione e, dunque, la

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6. A tale orientamento si contrappone quello, enunciato da Cass. Sez. 1, n. 2790

plausibilità di una rivalutazione della sua posizione», il giudice della cognizione, di
merito o cautelare, che debba accertare la sussistenza dei reati previsti dall’art. 75
d.lgs. n. 159 del 2011, ben potrebbe affermare, in via incidentale, la persistenza
della pericolosità sociale dell’imputato (o dell’indagato) sulla base di numerose e
reiterate (nel caso concreto per quasi un triennio) violazioni degli obblighi imposti
con la misura di prevenzione da costui commesse dopo la scarcerazione.

Sez. 1, n. 11619 del 3/10/2017, dep. 2018, non massimata, che, sostanzialmente,
parrebbero rimettere la valutazione incidentale sulla persistente pericolosità sociale
– e quindi sulla efficacia della risottoposizione alla misura di prevenzione dopo un
periodo di detenzione – al giudice di merito che procede in ordine alla contestata
violazione degli obblighi inerenti detta misura.
E a quest’ultima linea interpretativa si rifà evidentemente il provvedimento
impugnato.
8. Alla luce del riscontrato contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione
sottoposta a questa Corte dal ricorrente con l’unico motivo posto a fondamento del
richiesto annullamento della sentenza impugnata, si impone l’intervento regolatore
delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., sulla seguente questione di
diritto:
” Se sia configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza
speciale, previsto dall’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti di
soggetto destinatario di misura di sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata
sospesa per effetto di detenzione di consistente durata, anche qualora al momento
della risotto posizione alla misura non si sia proceduto di ufficio ad una rivalutazione
dell’attualità e persistenza della sua pericolosità sociale ad opera del giudice della
prevenzione, in base ai principi affermati da Corte cost. n. 291 del 2013, e tale
rivalutazione non sia stata dallo stesso sollecitata”.
P.Q.M.

Visto l’art. 618 cod. proc. pen., rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma il 20 marzo 2018.

7. Posizione intermedia sembrano assumere, quindi, alcune decisioni, tra cui

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