Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16325 del 18/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16325 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ALCAMO VINCENZO nato il 30/06/1986 a MAZARA DEL VALLO

avverso la sentenza del 12/10/2016 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI
LEO
che ha concluso per
Il P.G. chiede il rigetto del ricorso.
Udito2ifénsore

Data Udienza: 18/01/2018

RILEVATO IN FATTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha
confermato la sentenza del Tribunale di Marsala, che dichiarava Alcamo Vincenzo
responsabile in ordine ai reati di tentata violenza privata e violazione delle
prescrizioni connesse alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di
P.S. con obbligo di soggiorno, e, riconosciuto il concorso formale tra i reati
ascritti, lo condannava alla pena di anni uno e mesi due di reclusione.
Avverso tale sentenza l’ Alcamo propone ricorso, tramite il proprio

difensore, per cassazione. Coi primi due motivi deduce violazione dell’ art. 610
cod. pen. e vizio di motivazione, rilevando che l’imputato non commetteva
alcuna violenza o minaccia nei confronti della Erbini, ma si limitava a presentarsi
presso la abitazione di quest’ultima per prelevare la nonna ritenendola non
adeguatamente assistita dalla medesima, e che la Corte di appello, a fronte delle
censure difensive sul punto, si è riportata pedissequamente alle motivazioni del
Tribunale, determinando un difetto di motivazione. Col terzo motivo la difesa
lamenta l’ omessa pronuncia sul quinto motivo di appello inerente al mancato
riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati in esame e quelli di cui
alla sentenza di condanna prodotta in primo grado. Si duole che la Corte abbia
ritenuto la rinuncia a tale motivo per il solo fatto che la difesa, la quale intendeva
produrre altra sentenza e quindi ampliare la richiesta di continuazione in appello,
avesse poi rinunciato a tale produzione e a tale ulteriore richiesta di estensione
del vincolo della continuazione (ma non al motivo di ricorso). Il difensore insiste,
quindi, per l’annullamento della sentenza impugnata con o senza rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito saranno specificati.
1.1.

Infondati sono i primi due motivi di impugnazione.

Invero, diversamente da quanto lamentato dalla difesa, la sentenza
impugnata non si limita a recepire le argomentazioni del primo Giudice, ma si
riporta all’ assunto di quest’ultimo sulla ravvisabilità degli estremi della tentata
violenza privata nel comportamento dell’ imputato, il quale “a fronte del rifiuto
apertamente manifestato dalla Erbini – che non intendeva consentire all’Alcamo
di accedere all’interno della propria abitazione – cercò di indurla con intimidazioni
a farlo entrare ugualmente dentro casa, minacciando in particolare di sfondare la
porta d’ingresso”, non riuscendo “tuttavia nel suo intento per la resistenza
opposta dalla Erbini e per l’intervento dei familiari della medesima (in particolare
del genero)”. Ed evidenzia come, a fronte di dette argomentazioni e dell’esame
2

2.

dettagliato operato dalla sentenza di primo grado delle prove testimoniali, che
“non lascia margini di dubbio in ordine alla colpevolezza dell’imputato”,
l’appellante non fornisca “una diversa lettura di quelle emergenze probatorie,
sulla cui scorta si potrebbe pervenire all’invocata assoluzione”.
Tale essendo la motivazione della sentenza impugnata in ordine al delitto di
tentata violenza privata, il ricorrente in questa sede si limita a confutarla e ad
individuare una finalità della sua azione, che di per sé non consente di
escluderne le violente modalità come argomentate in modo non manifestamente

1.2. Fondate, invece, sono le doglianze circa la determinazione della pena
ed il mancato esame della richiesta di continuazione.
Quanto al primo profilo, va, in primo luogo, osservato che la sentenza
impugnata dev’essere annullata senza rinvio in ordine al capo b)
dell’imputazione.
Invero, il reato di cui all’art. 75, comma 2 d. Igs. n. 159/2011, contestato al
summenzionato capo, non è configurabile nel caso di specie, nel quale oggetto di
addebito è il fatto che l’imputato “contravveniva alla prescrizione…che ordinava
di vivere onestamente rispettando le leggi”.
Le Sezioni Unite di quésta Corte, con sentenza n. 40076 del 27/04/2017 dep. 05/09/2017, Paterno’, Rv. 270496, preso atto che la Grande Camera della
Corte Edu con pronuncia del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, ha rilevato
la carenza di chiarezza e precisione delle prescrizioni di “vivere onestamente e
rispettare le leggi”, previste dall’art. 5, I. n. 1423 del 1956, oggi art. 8, comma
4, d. Igs. n. 159 del 2011, hanno affrontato il tema dei possibili effetti sulla
previsione incriminatrice di cui all’art. 75, d. Igs. n. 159 del 2011 di tale
decisione. Hanno, dunque, riconosciuto in via interpretativa che, poiché la
disposizione in esame, come già accadeva con la previgente di cui all’art. 9 I. n.
1423/56, ripete “per relationem” la descrizione dei doveri e delle prescrizioni
imposte con il provvedimento applicativo della misura di prevenzione personale
in conformità alla disciplina della misura stessa, che consente di imporre al
soggetto socialmente pericoloso, sia obblighi specifici, che prescrizioni
generaliste ed indeterminate nel loro contenuto, quali l’osservanza della legge ed
il vivere in modo onesto, la medesima carenza di precisione e chiarezza è
riscontrabile anche nel precetto di cui all’art. 75 d. Igs. n. 159 del 2011.
Pertanto, l’infrazione di tali prescrizioni può rilevare eventualmente in sede di
esecuzione del provvedimento prevenzionale ai fini dell’aggravamento della
misura, ma non integra una fattispecie autonoma di reato.

illogico.

Da detto annullamento consegue il rinvio alla Corte di appello di Palermo per
la rideterminazione della pena, essendosi partiti nel computo della medesima
dalla pena base per la fattispecie dichiarata in questa sede insussistente.
Fondata è, altresì, la doglianza sul mancato esame della richiesta di
continuazione dei reati per cui si procede e, in particolare – venuta meno l’altra
fattispecie – del delitto di tentata violenza privata, con i reati di cui alla sentenza
della Corte di appello di Palermo del 5.12.2012, prodotta nel giudizio di primo
grado. Invero, come evidenziato dal ricorrente, lo stesso non aveva rinunciato al

primo Giudice, come argomentato dalla Corte a pag. 4 (“la rinuncia espressa
all’odierna udienza in ordine alla richiesta di riapertura dell’istruzione
dibattimentale per l’acquisizione della sentenza definitiva alla quale l’appellante
si riporta nel motivo di gravame concernente l’applicazione dell’istituto della
continuazione, comporta automaticamente anche la rinuncia del relativo motivo
d’impugnazione”), ma solo alla produzione di un’ulteriore sentenza – rispetto a
quella già prodotta in primo grado, come emergente dalla trascrizione delle
conclusioni per l’imputato in quella sede – e quindi all’estensione anche ai reati
giudicati con la medesima del vincolo invocato.
Con la conseguenza che la lacuna motivazionale in ordine al motivo di
impugnazione impone il rinvio anche per l’esame della richiesta di continuazione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, relativamente al reato di cui al
capo b) perché il fatto non sussiste, e rinvia alla Corte di appello di Palermo per
la rideterminazione della pena e l’esame della richiesta di continuazione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2018.

motivo di appello sul mancato riconoscimento della continuazione da parte del

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