Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16325 del 06/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16325 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONE MICHELE N. IL 12/09/1974
avverso l’ordinanza n. 4970/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
08/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
legElsentite le conclusioni del PG Dott. 9,o6eac. 1 55-k32-,a3

esu- 4.91,

A

Data Udienza: 06/03/2013

RITENUTO IN FATTO
Barone Michele ricorre per Cassazione contro l’ordinanza in data 11 ottobre 2012 del Tribunale
per il riesame di Napoli, con la quale è stato rigettato l’appello proposto dall’indagato, avverso
l’ordinanza del 15 giugno 2012 con cui la Corte d’appello di Napoli disponeva la sospensione
dei termini di custodia cautelare per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio, ai sensi
dell’articolo 304, comma 2, c.p.p., attesa la complessità del dibattimento.
A sostegno del ricorso è dedotto un motivo, con riferimento a violazione di legge e difetto di

però in tre autonome censure:
a)

In primo luogo l’ordinanza impugnata sarebbe stata emessa in violazione del

contraddittorio, perché la Corte di merito non avrebbe dato la parola alle parti prima del
deliberato;
b) in secondo luogo l’ordinanza sarebbe motivata con formule di stile, sganciate dalla
sussistenza dei fatti e/o elementi oggettivi in base ai quali poter prolungare tempi di
carcerazione preventiva, limitandosi a richiamare il reato di cui all’articolo 416 bis c.p. e la
doppia difesa di quasi tutti gli imputati;
c) infine non sarebbe stata consentita la partecipazione dell’imputato all’udienza attraverso
videoconferenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La Corte ritiene il ricorso inammissibile per mancanza di specificità dei motivi.
L’atto di impugnazione non rispetta il requisito di cui all’art. 581 c.p.p., lett. c), secondo il
quale devono essere enunciati nell’atto di impugnazione “i motivi, con l’indicazione specifica

delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”. Tale norma ha
l’evidente significato di imporre al titolare del diritto di impugnazione di individuare i capi e i
punti dell’atto impugnato che si intende sottoporre a censura e di esprimere un vaglio critico in
ordine a ciascuno di essi formulando argomentazioni che espongano critiche analitiche (e, in
definitiva, le ragioni del dissenso rispetto alle motivazioni del provvedimento impugnato) le
quali siano capaci di contrastare quelle in esso contenute al fine di dimostrare che il
ragionamento del giudice è carente o errato.
A tali regole si sottrae l’impugnazione redatta personalmente dal Barone, il quale non ha
esplicitato critiche specifiche in ordine al provvedimento del Tribunale di Napoli, ma ha
sottoposto al giudice della impugnazione uno scritto che riproduce anche graficamente l’atto di
appello proposto dal difensore, cosi ripetendo gli argomenti giuridici versati nel giudizio di
appello, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato, pur facendo
precedere tale parte dello scritto enunciativo della propria tesi (il quale ribadisce quanto già
esposto per sostenere l’ipotesi accusatoria) da tre righe nelle quali si premette che il Tribunale
di Napoli 12 sez. penale ha rigettato l’appello proposto dalla difesa ex art. 304, comma 2,
c. p. p..

2

motivazione in ordine all’art. 304, comma 2 , c.p.p. ed erronea applicazione di legge, articolato

L’ordinanza del Tribunale di Napoli dava pienamente conto sia della palese infondatezza della
prima censura, risultando dal verbale di udienza l’opposizione della difesa prima della lettura
dell’ordinanza, sia della completa e dettagliata motivazione del provvedimento, che richiamava
in dettaglio le gravissime e molteplici imputazioni; il numero elevato dei motivi di appello da
esaminare; le altrettanto numerose fonti di prova, tra cui intercettazioni telefoniche,
accertamenti di polizia giudiziari a e le dichiarazioni di 42 collaboratori di giustizia; l’allocazione
dei detenuti in diversi istituti di pena, spesso distanti, alcuni dei quali in regime di 41 bis o.p.;
il rischio di impegni concomitanti degli imputati, attesa la caratura criminale di alcuni di essi;

caso che poteva ritenersi “un caso di scuola paradigmatico” del procedimento che il legislatore
aveva in mente, allorchè ha codificato la previsione dell’art. 304, comma 2, c.p.p..
Come più volte affermato da questa Corte, è inammissibile il ricorso fondato su motivi che si
risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi
dalla Corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti,
in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di
ricorso (Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708; Sez. 6, n. 22445
dell’8/05/2009, Rv. 244181).
Alle due censure proposte in sede di appello, poi , il ricorrente ha aggiunto in forma grafica
diversa (scrittura a mano a stampatello) un terzo profilo di censura, relativo alla mancata
partecipazione dell’imputato all’udienza fissata dinanzi alla Corte d’Appello attraverso
videoconferenza, che deve a sua volta deve ritenersi inammissibile sia per l’assoluta genericità,
sia perché rappresenta una censura nuova, non dedotta in appello e dunque inammissibile a
norma dell’art. 606, comma 3, c.p.p..
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro.1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2013 .

tutti elementi che consentivano di affermare la particolare complessità del dibattimento in un

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