Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16317 del 03/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16317 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
CASTIELLO SALVATORE nato il 17/12/1979 a TORRE DEL GRECO
MARRAZZO GENNARO nato il 07/07/1962 a TORRE DEL GRECO

avverso la sentenza del 02/02/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY
che ha concluso

kriit

Il P.G. conclude per l’inammissibilità del ricorso del Castiello e per il rigetto di
quello del Marrazzo.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato TRONCONE PASQUALE del foro di NAPOLI in difesa di
MARRAZZO GENNARO che conclude chiedendo l’accoglimento dei motiv’

Data Udienza: 03/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 2 febbraio – 2 maggio 2016, la
Corte di appello di Napoli ha riformato, quanto alla sola posizione di Domenico
Vitiello, la sentenza emessa in data 12 gennaio 2015 dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Napoli che aveva giudicato, con il rito abbreviato,
Salvatore Castiello, Gennaro Marrazzo e Domenico Vitiello, imputati, in concorso,
dei seguenti reati:

d.l. n. 152 del 1991, per avere detenuto e portato in luogo pubblico una pistola
di tipo e calibro non identificati (capo A);
– reato di cui all’art. 703 cod. pen., per avere esploso il Vitiello, su istigazione
degli altri, colpi con la suddetta pistola in luogo pubblico (capo B);
– reato di cui agli artt. 336 cod. pen. e 7 d.l. n. 152 del 1991, per avere, nelle
qualità suddette, usato violenza indirizzando sette colpi di pistola contro
l’autovettura Chrysler Voyager di Ludovico Abagnale, responsabile dell’UOV del
Distretto ASL Napoli 3, al fine di costringere il suddetto pubblico ufficiale a
compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio omettendo altri controlli
sull’impresa agricola “La Fattoria” di cui Gennaro Marrazzo era legale
rappresentante, o comunque ad effettuare i controlli con esito favorevole (capo
C);
– reato di cui all’art. 635, comma secondo, cod. pen. e 7 d.l. n. 152 del 1991,
per avere, con la suddetta condotta, danneggiato il veicolo suindicato, con
particolare riferimento alla tappezzeria ed al cruscotto (capo D);
– con l’aggravante per il reati sub A), C) e D), di averé commesso il fatto con
modalità mafiose consistite nell’esplosione di colpi dì arma da fuoco all’interno di
un pubblico ufficio, ai danni di un veicolo di un pubblico ufficiale, appartenendo il
Castiello, a cui il Marrazzo aveva affidato l’incarico, ed il Vitiello, a cui l’incarico
era stato delegato, alla cosca camorristica dei Falanga; fatti accertati in Torre del
Greco, il 24 settembre 2012.
1.1. Il primo giudice aveva ritenuto tutti gli imputati responsabili dei reati
loro ascritti, riuniti in continuazione, e, riconosciute le circostanze attenuanti
generiche al solo Vitiello, computata per tutti la diminuente del rito, aveva
condannato il Marrazzo alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 2.000,00
di multa, il Castiello alla pena di anni quattro, mesi quattro di reclusione ed euro
2.000,00 di multa e il Vitiello alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed euro
1.000,00 di multa, oltre pene accessorie e condanna ,degli imputati al
risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, con provvisionale di euro
2.000,00 in favore della parte civile Ludovico Abagnale.

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– reato di cui agli artt. 10, 12, 14 legge n. 895 del 1967, 61, n. 2, cod. pen., e 7

1.2. La sentenza di appello, confermata quella impugnata quanto alle
posizioni del Castiello e del Marrazzo, riconosciuta in ordine alla sola posizione
del Vitiello la circostanza attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, ha
ridotto la pena a quest’ultimo inflitta a quella di anni due, mesi uno, giorni dieci
di reclusione ed euro 600,00 di multa.
1.3. A ragione della decisione emessa i giudici di entrambi i gradi di merito
hanno ricostruito in modo conforme gli accadimenti che il 24 settembre 2012
avevano determinato l’esplosione dei sette colpi di pistola all’indirizzo del veicolo

dell’UOV del Distretto ASL 3 di Napoli, di cui l’Abagnale era responsabile,
ricostruendo il clima di minacce pregresso messo in essere da Gennaro Marrazzo,
in relazione ai controlli di istituto, di natura obbligatoria, promossi dall’Abagnale
sull’attività dell’impresa agricola gestita dallo stesso Marrazzo e poi indicando le
prove che li avevano condotti a individuare negli imputati i responsabili dei reati
contestati in relazione al suddetto episodio, con riferimento, fra l’altro: alla
rilevazione dei Carabinieri di Napoli di aver visto un motociclo Liberty 200 di
colore grigio scuro condotto da un giovane senza casco allontanarsi dal luogo del
fatto in coincidenza con il suo accadimento; al contributo dichiarativo dello
stesso Domenico Vitiello, che aveva confessato di essere stato l’autore
dell’azione compiuta su un motociclo Liberty su incarico datogli da Tore
“Sciordino” (ossia Salvatore Castiello) di sparare all’auto del veterinario che
aveva fatto chiudere il locale “La Fattoria” del cui proprietario Tore era molto
amico; ai riscontri di polizia effettuati con riferimento al suddetto motoveicolo;
alle dichiarazioni collaborative di Aniello Pompeo e delle sue sorelle Rosa e
Barbara Pompeo, di Marco Palomba, di Salvatore Gaudino; alle intercettazioni
telefoniche, asseverative dal rapporto di amicizia fra il Castiello ed il Marrazzo;
alle ulteriori dichiarazioni inerenti alla posizione del Castiello rese da altri
collaboratori.

dell’Abagnale nel momento in cui lo stesso era parcheggiato presso la sede

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore del Marrazzo
chiedendone l’annullamento e adducendo a sostegno quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta mancanza ed illogicità della
motivazione in ordine alla verifica di attendibilità delle fonti di prova dichiarativa.
La sentenza impugnata, in particolare, aveva mancato di analizzare
l’effettiva valenza dei riscontri estrinseci alle dichiarazioni del Vitiello, oltre che
compiere un’adeguata verifica dell’attendibilità intrinseca di quest’ultimo, non
considerando il fatto che il Vitiello, ottenuti i vantaggi della collaborazione, ne
aveva abbandonato il percorso.
Le stesse dichiarazioni di Barbara Pompeo e di Marco Palomba non erano

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state verificate con il dovuto rigore: era infatti emerso che l’esercizio “La
Fattoria” non era un ristorante, ma un’azienda agricola, dal momento che per
problemi di ordine esclusivamente urbanistico l’attività di ristorazione non era
stata avviata, mentre poi ) dal 2003 in poi i nessun provvedimento di chiusura per
ragioni igienico-sanitarie era stato emesso dall’UOV di Torre del Greco: e tanto
bastava a rendere assolutamente inattendibile la versione addotta dal Vitiello.
Né i giudici di merito si erano avveduti della genericità dei contributi di
Aniello Pompeo e Rosa Pompeo i quali avevano dato atto di non conoscere il

Pompeo erano tali da far sorgere forti dubbi sulla credibilità della dichiarante,
avendo ella fatto riferimento alla conoscenza dell’atto intimidatorio da parte di
altro soggetto, Domenico Gaudino, fatto escluso dagli altri dichiaranti.
Quanto alle dichiarazioni di Marco Palomba, esse si discostavano non poco
dalle dichiarazioni del Vitiello circa il ruolo avuto nella vicenda dal suddetto
Gaudino, ruolo asserito dal Palomba, fonte de relato, ma escluso dal Vitiello,
fonte diretta.
Circa le intercettazioni telefoniche, in effetti, una soltanto atteneva a
contatto fra le utenze del Castiello e del Marrazzo e riguardava un mero rapporto
commerciale di compravendita di animali, non altro.
Pertanto, le dichiarazioni dei suddetti soggetti ed il tessuto intercettivo non
potevano costituire riscontro esterno in senso proprio, mancando il carattere
individualizzante di esso: tale riscontro, infatti, avrebbe dovuto collegarsi
necessariamente ai fatti riferiti dal chiamante, senza alcuna nota di circolarità in
ordine alla sua provenienza. Nessun elemento che fosse esterno alla
dichiarazioni del collaboratore, avesse carattere specifico ed obiettivamente certo
ed investisse momenti essenziali del fatto e l’addebitabilità dello stesso al
Marrazzo era stato acquisito, con conseguente illogicità della motivazione, la
quale aveva raggiunto il convincimento della colpevolezza del Marrazzo senza
esporre l’evenienza di un quadro effettivamente giustificativo di tale conclusione.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge per l’applicazione
alla presente fattispecie dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991.
Era infatti interpretazione consolidata quella secondo cui l’aggravante in
parola doveva manifestarsi all’interno di una cornice fattuale di ambientazione
mafiosa, con carattere di contiguità a favore dell’organizzazione.
Anche il comportamento intimidatorio doveva essere connesso al vincolo
associativo ed alle condizioni di omertà e di assoggettamento che ne derivavano.
Per conferire alla condotta intimidatoria quella connotazione specifica a cui
l’ordinamento ricollegava l’operatività della circostanza aggravante sarebbe
occorso quindi un percorso logico di ricostruzione del fatto dimostrativo del

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movente alla base del fatto in questione, mentre le dichiarazioni di Barbara

riferimento, seppur indiretto, della condotta stessa al circuito associativo che
costituiva la cornice fisiologica in cui essa era maturata: tale percorso la Corte
territoriale non aveva seguito, omettendo di individuare quale fosse la minaccia
dotata di quella specifica valenza intimidatrice e riconducibile ai sodalizi criminali
operanti sul territorio, così da corroborare l’accusa di “mafiosità” della pretesa,
non essendo affiorate minacce esplicite o tramite delinquenti del Marrazzo
all’Abagnale ed essendo anzi emerso che il Marrazzo aveva minacciato di adire la
giustizia per gli abusi che riteneva stesse perpetrando il sanitario zelante.

i concorrenti di quella aggravante che pure era scaturita dal modo d’essere di
uno degli autori, ossia il Vitiello: il Marrazzo, in particolare, era innegabilmente
fuori da qualsiasi vincolo con consorterie criminali.
2.3. Con il terzo motivo si prospetta violazione di legge in relazione all’art.
635, secondo comma, cod. pen., a seguito dell’entrata in vigore del d. Igs. n. 7
del 2016.
L’ipptesi originaria in contestazione probabilmente aveva ad oggetto il fatto
di cui al primo comma dell’art. 635 cod. pen., ossia il danneggiamento semplice,
con erronea indicazione del capoverso: pertanto con l’entrata in vigore del d. Igs.
n 7 del 2016, l’imputato avrebbe dovuto essere mandato assolto da questo
reato. Diversamente opinando si violava il canone di legalità stabilito dall’art. 2
cod. pen., finendo per trattarsi, senza adeguata contestazione, il fatto in quello
regolato dall’attuale primo comma, già capoverso, della norma che costituiva
però un fatto nuovo e diverso rispetto a quello contestato.
2.4. Con il quarto motivo sono prospettati violazione di legge, in relazione
all’art. 62-bis cod. pen., e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche. L’approdo negativo era stato giustificato
dalla Corte di appello in modo apodittico, con riferimento alla gravità del fatto, ai
precedenti penali ed all’adesione alle logiche mafiose: tutti elementi che
potevano essere oggetto di argomentazione riferita alla posizione del Castiello,
non a quella del Marrazzo, che era lontano dagli ambienti della criminalità
organizzata, svolgeva il lavoro di operaio ed aveva un solo precedente penale
per abusi edilizi. L’assimilazione di due posizioni così diverse aveva determinato
la violazione da parte dei giudici di merito dell’obbligo di motivazione sul punto,
anche in ordine alla gravità del fatto, parametro in concreto non suffragato dalle
citate fonti di prova.

3. Salvatore Castiello ha impugnato la sentenza di appello e ha addotto a
supporto dell’istanza del relativo annullamento due motivi.
3.1. Con il primo motivo vengono dedotti violazione dell’art. 597 cod. proc.

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Andava del pari censurata l’avvenuta trasmissione sul piano oggettivo a tutti

pen. e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale emesso la decisione
senza tener conto delle questioni poste con i motivi di appello limitandosi a
condividere in via generica le ragioni esposte dal Tribunale.
3.2. Con il secondo motivo si lamenta erronea applicazione degli artt. 133 e
62-bis cod. pen. e viene anche dedotto vizio di motivazione sul punto.
I giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere al ricorrente le attenuanti
generiche nella l’oro massima estensione e contenere la pena nei minimi edittali.

dal Marrazzo, essendo infondati tutti i motivi in cui essa si sostanziava, ivi
incluso quello relativo al reato di danneggiamento, già contestato fin dal principio
nella forma aggravata, nonché la declaratoria di inammissibilità del ricorso del
Castiello, per la manifesta infondatezza e genericità degli inerenti motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ritiene che l’impugnazione del Marrazzo sia infondata e vada
rigettata e che quella proposta dal Castiello sia inammissibile.
Va puntualizzato in via generale che per tutti i reati, ivi incluso quello
contravvenzionale, il termine di prescrizione non è spirato al momento della
presente decisione. Infatti, collocata la consumazione dei reati, ivi incluso quello
di cui al capo B) alla data del 24 settembre 2012, si registrano, dall’esame degli
atti, tre sospensioni del decorso dei termini di prescrizione: in primo luogo, si è
avuto il rinvio dell’udienza preliminare dall’Il novembre 2014 al 12 gennaio
2015, su istanza della difesa dell’imputato Castiello; poi, nel corso del giudizio di
appello, si sono avuti due differimenti del processo, dall’8 ottobre 2015 al 21
dicembre 2015 e, poi, a seguire, dal 21 dicembre 2015 al 2 febbraio 2016,
entrambi ad istanza della difesa dell’imputato Castiello.
Il complesso di tali differimenti, con le conseguenti sospensioni dei termini di
prescrizione, nei limiti e per gli effetti di cui agli att. 159 e 161 cod. pen., ha
determinato per entrambi gli imputati la fissazione della scadenza del tempo
necessario a prescrivere, anche in ordine al reato contravvenzionale ex art. 703
cod. pen., in epoca successiva alla data della presente decisione.

2. Per lo scrutinio delle doglianze formulate dal Marrazzo. giova in premessa
rilevare che la sentenza di secondo grado, aderendo alla ricostruzione del fatto
compiuta dal Tribunale, ha analizzato le critiche mosse, per quanto qui rileva,
dalle difese del Marrazzo e del Castiello, ritenendo alfine attendibili le
dichiarazioni del Vitiello e non sussistente la distonia narrativa fra queste

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4. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dell’impugnazione proposta

dichiarazioni e quelle rese dagli altri propalanti lamentata dagli appellanti, anche
con riguardo alla richiesta di “aiuto” che il proprietario della Fattoria aveva fatta
al Castiello, soffermandosi in particolare sui contributi di Barbara Pompeo e di
Marco Palomba per il riscontro fornito dagli stessi alla chiamata in correità del
Vitiello nei riguardi del Marrazzo, oltre all’analisi del rapporto di amicizia fra il
Marrazzo ed il Castiello emergente dalle captazioni.
2.1. La prima doglianza – la cui ammissibile delibazione va immediatamente
depurata dalla parte relativa alle incursioni che il ricorrente compie nelle

nella parte in cui deduce la confusione da parte del Vitiello dell’attività esercitata
dal Marrazzo nell’impresa “La Fattoria”, scaturigine della vicenda sfociata nella
progressione criminale censurata.
I giudici di appello hanno spiegato, con motivazione congrua e non illogica,
che non poteva pretendersi l’esatta conoscenza da parte del dichiarante del
modo di strutturarsi delle aziende del Marrazzo, tanto più che il riferimento al
“ristorante” era stato coniugato dal collaboratore con la precisazione che
nell’azienda “ci sono anche degli animali”, anche perché la stessa difesa aveva
chiarito che nell’impresa del Marrazzo all’allevamento era affiancata l’attività di
cucina e somministrazione ai clienti delle carni degli animali ivi allevati. Pari
rilievo deve svolgersi con riguardo alla verifica delle affermazioni degli altri
dichiaranti presi in esame.
Circa, poi, la deduzione secondo cui i problemi della struttura erano stati di
ordine esclusivamente urbanistico e che dal 2003 in poi nessun provvedimento di
chiusura per ragioni igienico-sanitarie era stato emesso dall’UOV di Torre del
Greco, nella motivazione della sentenza impugnata si rinvengono, invece,
argomentazioni che, non idoneamente confutate, appaiono adeguate a
sorreggere la valutazione compiuta, anche sull’argomento, in tema di
attendibilità intrinseca dei dichiaranti.
E’ stato, infatti, accertato mediante verifiche di polizia giudiziaria che negli
ultimi anni l’azienda Marrazzo è stata interessata da ben 20 controlli ordinari di
natura sanitaria, per cui corretta era l’affermazione che i funzionari ASL avevano
sottoposto la struttura a pressanti controlli: in tal senso, anche se non
riscontranti la formale chiusura, andavano intese le indicazioni date dal
dichiarante. Ed è stata segnalata anche la conferma indiretta di tali indicazioni
costituita dalla denuncia per minacce messe in essere dallo stesso Marrazzo
sporta da Ludovico Abagnale in data 8 febbraio 2010, minacce determinate dal
mancato rilascio da parte del funzionario di un’autorizzazione relativa all’azienda
per la quale non sussistevano i presupposti, oltre alla grave minaccia indirizzata
dal Marrazzo sempre nei confronti dell’Abagnale in tempo successivo ai fatti

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valutazioni di fatto, non deducibili in sede di legittimità – non risulta fondata

oggetto di processo (in occasione del controllo del 20 marzo 2014).
Contrariamente alle prospettazioni formulate dal ricorrente, i giudici di
appello hanno fornito congrua motivazione pure in ordine alle ragioni che hanno
imposto di annettere attendibilità alle dichiarazioni di Barbara Pompeo ed a
quelle di Marco Palomba, analiticamente e correttamente valutate (il fatto che le
stesse abbiano riferito dell’aiuto richiesto dal Marrazzo anche al Gaudino, la
prima, e dell’indicazione data dallo stesso Gaudino, il secondo, è stato
considerato in modo persuasivo non rilevare decisivamente nell’economia del

del Marrazzo e del Castiello ai reati).
Quanto alla critica della valutazione dei risultati delle captazioni, essa,
siccome è risultata protesa a selezionare le intercettazioni dotate di significato
probatorio, va per ciò solo disattesa, in quanto, secondo principio consolidato e
da ribadirsi ulteriormente, in materia di intercettazioni, costituisce questione di
fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e
la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può
essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità
ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U, n.
22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016,
D’Andrea, Rv. 268389).
In definitiva, il ragionamento svolto dalla Corte territoriale onde pervenire
all’accertamento del contributo causale volontario e consapevole fornito dal
Marrazzo, quale istigatore, alla realizzazione della fattispecie criminosa ascritta a
lui ed al Castiello si fonda su motivazione congrua e logica, tale da resistere alle
censure svolte dal suddetto ricorrente.
2.2. in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7
d.l. n. 152 del 1991, contestata dal Marrazzo con il secondo motivo della sua
impugnazione, i giudici di appello hanno fornito valutazione (conforme
all’approdo di primo grado) in senso affermativo, in relazione all’inserzione del
Castiello, al pari del Vitiello, nel circuito della criminalità organizzata della zona
ed alle peculiari modalità dell’atto intimidatorio, nel quadro della richiesta fatta
dal Marrazzo ad un esponente della criminalità organizzata affinché venisse
impartita una lezione di corrispondente rilievo criminale al funzionario pubblico,
al fine di indurlo, per il futuro, a desistere da ulteriori ed incisivi controlli e
favorire il rilascio in suo favore delle autorizzazioni amministrative a cui aspirava.
Si è, in sostanza, rilevata la tipicità delle modalità mafiose dell’atto
intimidatorio, da ricollegare, non tanto alla natura ed alle caratteristiche dell’atto
violento in sé considerato, quanto al metodo utilizzato, nel senso che la violenza
con cui esso è stato compiuto è risultata concretamente collegata alla forza

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complessivo narrato dei dichiaranti, riferito in modo specifico alla partecipazione

intimidatrice del vincolo associativo, da considerarsi anche in relazione alla
situazione ambientale specificamente accertata dai giudici di merito ed
all’esplosione di ben sette colpi di arma da fuoco all’indirizzo del veicolo di
proprietà del funzionario destinatario dell’atto intimidatorio, azione messa in
essere in pieno giorno ed all’interno della struttura pubblica.
Tali indici sono stati considerati in modo argomentato come altamente
sintomatici del contesto cerimoniale protagonista dell’azione stessa – nel, senso
che delinquenti isolati ed estranei alla criminalità organizzata operante, con forza

quel tipo di condotta – e del conseguente spessore minatorio del messaggio
inviato alla vittima: essi, quindi, sono stati reputati assolutamente convenzionali
e riconosciuti, secondo regole tipizzate, come espressivi della modalità
camorristica del metodo adottato.
A fronte della complessiva e dettagliata disamina desumibile dalle due
sentenze di merito, non coglie nel segno la censura secondo cui era mancato il
percorso logico di ricostruzione del fatto dimostrativo del riferimento, anche
indiretto, della condotta stessa al circuito associativo: la sentenza impugnata,
anche con il richiamo alle argomentazioni spese nella decisione di primo grado,
ha invero specificamente motivato sul punto dell’ascrivibilità – sulla scorta delle
corrispondenti complessive modalità, fortemente tipizzate – dell’azione delittuosa
alla matrice associativa criminale, considerata l’azione concretamente collocata
nella situazione ambientale in cui essa era stata compiuta.
Del resto, come ha rettamente osservato la Corte di merito, ai fini della
configurabilità della circostanza aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso,
prevista dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. dalla legge n. 203 del 1991, non
occorre che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per
delinquere, bensì è necessario e sufficiente che la violenza o la minaccia
richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza
intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo (Sez. 6, n. 39795 del
29/05/2017, Cuomo, Rv. 271120, in motivazione; Sez. 2, n. 16053 del
25/03/2015, Campanella, Rv. 263525).
E, anche non obliterando sul punto l’indirizzo più rigoroso secondo cui la
configurabilità della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 cit. sempre nella
forma del metodo mafioso, è subordinata – pur quando il delitto si consuma in
territori dove è notoria la presenza di associazioni criminali di cui all’art. 416-bis
cod. pen. – alla sussistenza nel caso concreto di condotte specificamente
evocative della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo, senza poter
desumere la relativa evenienza dalle mere caratteristiche soggettive di chi
agisce, anche in concorso con altri (così Sez. 5, n. 42818 del 19/06/2014,

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soverchiante e sopraffattrice, nella zona non avrebbero ordinariamente compiuto

Savarese, Rv. 261761; v. pure Sez. 6, n. 31405 del 07/06/2017, Costantino, Rv.
270572), le considerazioni che precedono confermano in modo tranquillante e
senza necessità di ulteriori approfondimenti che i giudici di merito hanno
effettuato, con motivazione adeguata e logica e con esito positivo, la verifica
delle suddette condizioni legittimanti l’accertamento dell’indicata aggravante
speciale.
Né – a parte ogni altra considerazione sulla dedotta evenienza del disposto
di cui all’art. 59 cod. pen. in relazione al ruolo giocato dal Marrazzo – può in ogni

l’uso del metodo mafioso si contraddistingue per il carattere oggettivo, derivando
quella specifica forma della circostanza aggravante di cui all’art. 7 cit. dalle
modalità di realizzazione dell’azione criminosa (Sez. 6, n. 29816 del 29/03/2017,
Gioffré, Rv. 270602; Sez. 3, n. 36364 del 20/5/2015, Mancuso, n. m.).
2.3. Infondato si appalesa anche il terzo motivo, in ordine alla natura non
aggravata del danneggiamento contestato sub D) e ritenuto sussistente dalla
Corte territoriale.
La natura aggravata del reato di cui all’art. 635 cod. pen. (fin dal libello
introduttivo contestato con riferimento al secondo comma della disposizione) ha
fatto sì che rettamente i giudici di merito non abbiano ritenuto, in ordine ad
esso, l’aboliti° criminis che ha riguardato il solo danneggiamento semplice,
inerente alla fattispecie basica configurata dall’originario primo comma della
disposizione e trasformato in illecito civile dal d.lgs. n. n. 7 del 2016.
Invero, dall’articolazione del fatto è emerso con evidenza che l’automobile
dell’Abagnale, ubicata nel parcheggio dell’UOV del Distretto ASL di competenza,
bene oggetto del danneggiamento, era esposta alla pubblica fede (Sez. 2, n. 561
del 09/12/2008, dep. 2009, Bacconi, Rv. 242716; in ambito parallelo v. Sez. 2,
n. 45311 del 20/09/2017, Bacci, n. m.): perciò la fattispecie scrutinata non è
rientrata nella sfera dell’abrogazione, al di là dell’ulteriore evenienza
dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 (implicante una
minaccia di carattere qualificato in quanto innervata sull’impiego del metodo
mafioso) pure ritenuta.
2.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo dell’impugnazione del
Marrazzo, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche.
Sul punto la doglianza trascura di considerare che il giudice di primo grado è
pervenuto alla negazione delle circostanze attenuanti ex art.

62-bis cod. pen.

valutando svariati elementi ostativi: l’assoluta gravità dei fatti, l’aggressività e
mafia violenza dei comportamenti serbati, la natura della spinta a delinquere nel
caso in esame che ha indotto il Marrazzo a ricorrere alla criminalità organizzata,

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caso contestarsi la comunicabilità della circostanza aggravante in questione:

elementi che, poi, la Corte di appello, pur trattando il punto in via congiunta alla
posizione del Castiello, ha richiamati ed approfonditi, ribadendo che non era
meritevole delle attenuanti in parola chi aveva precedenti penali (sia pure
sporadici, come ha rilevato il ricorrente) e comunque aveva dato mostra di
essere contiguo alle consorterie criminali e di aderire alle logiche mafiose per
risolvere i suoi problemi imprenditoriali.
In definitiva, i giudici di merito hanno adeguatamente giustificato la
negazione delle suddette circostanze attenuanti enunciando compiutamente i

impugnata, la deduzione del ricorrente di mancato apprezzamento degli indici a
lui favorevoli non può delibarsi ammissibilmente, giacché, nel motivare il diniego
delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale
valutazione (Sez. 1, n. 44852 del 27/04/2017, Marongiu, n. m.; Sez. 3, n. 28535
del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Tale assunto è coerente con il principio, che
pure merita di essere tenuto fermo, secondo cui la ratio dell’art. 62-bis cod. pen.
non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola
deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di
preponderante rilevanza ritenuti ostativi al riconoscimento delle corrispondenti
attenuanti (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).
2.5. Corollario di questi rilievi è il rigetto del ricorso proposto dal Marrazzo,
con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.,
al pagamento delle spese del procedimento.

3. In ordine all’impugnazione proposta dal Castiello, essa – per quanto
concerne entrambi i motivi che la compongono, tesi rispettivamente a
contrastare l’evenienza della responsabilità del ricorrente ed il trattamento
sanzionatorio a lui applicato dai giudici di merito – è affetta da genericità in guisa
tale da determinarne l’inammissibilità.
3.1. La prima doglianza rimprovera in modo del tutto aspecifico ai giudici di
appello di non avere considerato i motivi di gravame articolati dal Castiello in
punto di accertamento della propria responsabilità, senza fornire alcun dettaglio
idoneo ad isolare la censura a suo tempo articolata, così da consentire la verifica
della dedotta omissione di esame da parte della Corte territoriale.
Sul tema si deve ribadire il principio secondo cui è inammissibile il ricorso
per cassazione i cui motivi rinviino genericamente alle censure articolate
nel precedente atto di gravame senza indicarne il contenuto, in quanto il ricorso

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fattori preclusivi: ed, a fronte della congrua motivazione fornita dalla sentenza

deve rispettare i necessari requisiti di specificità stabiliti dall’art. 581, lett. c),
cod. proc. pen., dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione
delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica, al fine di
consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e
sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 43569 del 14/06/2016,
Illuminato, n. m.; Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, Rv.
258962).
3.2. Circa la doglianza inerente al mancato riconoscimento delle circostanze

giudici di merito, osservato che il rilievo nella sentenza impugnata (anche con
richiamo della prima decisione) degli elementi ostativi al riconoscimento delle
circostanze di cui all’art.

62-bis cod. pen. è stato adeguato (con riferimento

all’assoluta gravità dei fatti, all’aggressività e violenza dei comportamenti posti in
essere, la pluralità delle condotte, all’atteggiamento scarsamente collaborativo,
ai precedenti penali), deve prendersi atto che il ricorrente ne ha contestato la
concludenza sulla scorta di un lamento meramente confutativo, senza nemmeno
tentare di disarticolare il costrutto argomentativo della sentenza di merito.
3.3. Deriva da queste considerazioni l’inammissibilità del ricorso proposto
dal Castiello.
Dall’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i
profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186
del 2000) – di una somma alla cassa delle ammende nella misura che, in ragione
del contenuto dei motivi dedotti, si stima equo determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Castiello Salvatore; Rigetta il ricorso di
Marrazzo Gennaro; Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
Castiello anche al versamento della somma di euro duemila in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso il 3 ottobre 2017

E• I TA
IN CANCELLERIA
12 APR 2018

attenuanti generiche ed all’entità della pena conseguentemente inflittagli dai

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