Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16291 del 22/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16291 Anno 2018
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Scarano Nicola, nato a Taranto il 21/09/1988

avverso la sentenza del 03/04/2017 della Corte d’appello di Lecce – sez. dist. di
Taranto

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 aprile 2017, la Corte d’appello di Lecce – sezione
distaccata di Taranto – ha confermato la sentenza in primo grado emessa nei
confronti di Nicola Scarano, con cui, all’esito del giudizio abbreviato, lo stesso era
stato condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990,
n. 309 alla pena di mesi dieci e giorni 20 di reclusione e 3.000 Euro di multa.

2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore

necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc.
pen.

3. In particolare, con unico, articolato, motivo si deduce il vizio di
motivazione della sentenza impugnata e violazione di legge nella parte in cui,
con mere congetture e illogiche argomentazioni, e senza confrontarsi con le
doglianze rassegnate nell’atto di appello, la Corte territoriale ha ritenuto che la
sostanza fatta oggetto della consulenza tecnica tossicologica fosse quella
sequestrata all’imputato, pur essendo diversa per morfologia (sostanza vegetale
verdastra sfusa costituita principalmente da inflorescenze anziché palline
compresse), peso (gr. 92,60 anziché gr. 85) e contenitore. Ci si duole, inoltre,
del fatto che sia stata ritenuta la destinazione della sostanza allo spaccio pur in
assenza di elementi di prova oggettivi, univoci e significativi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato con condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
Va premesso che non possono essere utilizzati per la decisione i
documenti non contenuti nel fascicolo processuale e per la prima volta allegati al
ricorso per cassazione, posto che nel giudizio di legittimità non possono essere
prodotti nuovi documenti attinenti al merito della regiudicanda, ad eccezione di
quelli che l’interessato non sia stato in condizione di esibire nei precedenti gradi
di giudizio e dai quali può derivare l’applicazione del ius superveniens, di cause
estintive o di disposizioni più favorevoli (Sez. 3, n. 27417 del 01/04/2014. C.,
Rv. 259188; Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Casamonica e aa., Rv. 257541).
Tra l’altro, nel giudizio abbreviato non condizionato nella specie prescelto – in cui
l’imputato rinuncia all’esercizio del diritto alla prova – nessun documento può
essere prodotto, né nella fase di merito (salvo che sia disposta d’ufficio la

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dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente

rinnovazione dell’istruzione in grado d’appello ai sensi dell’art. 603, comma 3,
cod. proc. pen.), né, a fortiori, nel giudizio di legittimità.

2. Per altro verso, giova ricordare che in tema di giudizio abbreviato,
anche alla luce delle modifiche introdotte negli artt. 438 e 442 cod. proc. pen.
dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, va affermata la piena utilizzabilità di tutti
gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, atteso che l’imputato, con
la richiesta di definizione del giudizio allo stato degli atti, acconsente alla
utilizzazione di atti aventi valenza probatoria assunti non in contraddittorio (Sez.

4, n. 21707 del 16/01/2004, Casassa e aa., Rv. 228568). E dagli atti processuali
allegati al ricorso e sottoposti alla valutazione del Collegio – verbale di sequestro
del 17 settembre 2013 e relazione tecnica del 25 settembre 2013 – si ricava che
l’analisi tossicologica è stata effettuata sul reperto sequestrato a Scarano Nicola,
trasmesso al laboratorio di analisi il giorno successivo a quello del sequestro.
Avendo accettato di essere giudicato allo stato degli atti, l’imputato non
può dunque contestare quanto dagli stessi chiaramente risulta, vale a dire che le
analisi sono state effettuate sulla sostanza al medesimo sequestrata. Né può
contestare – come in ricorso invece si fa – la violazione delle procedure di
conservazione e mantenimento dei reperti di cui agli artt. 259 ss. cod. proc.
pen., essendo del pari incontroverso il principio secondo cui nel giudizio
abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le
inutilizzabilità c.d. patologiche, con la conseguenza che l’irritualità
dell’acquisizione dell’atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle
parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine
compiuti senza rispetto delle forme di rito (Sez. 5, n. 46406 del 06/06/2012,
Paludi e a., Rv. 254081).

3. In ogni caso, osserva il Collegio che, nel respingere l’eccezione secondo
cui la sostanza analizzata non sarebbe stata quella sequestrata all’imputato, la
Corte territoriale ha rilevato che: al di là del fatto che il reperto fu trasmesso dai
Carabinieri al laboratorio del LASS inserito in una grande busta per
corrispondenza, il contenitore in cui la sostanza si trovava era identico a quello
sequestrato all’imputato (un sacchetto di carta di colore rosso con all’interno una
busta di cellophane di colore bianco); la circostanza che la sostanza, che nel
verbale di sequestro fu descritta come “sostanza stupefacente verosimilmente
marijuana suddivisa in palline compresse” e nella descrizione del reperto
effettuata dal laboratorio fu descritta come “pervenuta sfusa e non più in palline
compresse”, era spiegabile sul rilievo che la sostanza vegetale secca si fosse
«sfaldata a seguito di maneggiamenti dell’involucro che la conteneva»; nessuna

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if

rilevanza poteva attribuirsi alla trascurabile differenza di peso (circa 7 gr.) tra
quello indicato nel verbale di sequestro e quello riscontrato dal laboratorio,
tenendo conto del fatto che la pesature effettuata dai Carabinieri (espressamente
indicata come “gr. 85 circa”) era stata evidentemente effettuata in maniera
approssimativa.
Queste argomentazioni non sono manifestamente illogiche e non possono
dunque essere censurate in questa sede. Ed invero, al di là dell’ipotesi di
mancanza o contraddittorietà – nella specie non ravvisabili – il vizio di
motivazione è denunciabile con il ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 606,

di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime
incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche
se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv.
259643). L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione,
inoltre, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza
di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia
possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto (Sez. 6, n.
25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Alla Corte di cassazione, di fatti,
sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal
giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).

4. Quanto alla ritenuta prova della destinazione allo spaccio della sostanza
sequestrata, la conclusione è stata raggiunta sulla base dell’apprezzabile
quantitativo di stupefacente, da cui potevano ricavarsi 366 dosi medie singole di
marijuana. Secondo i giudici di merito, la quantità appare incompatibile per un
uso personale di un soggetto che – si osserva in sentenza con affermazione non
contestata – non ha dimostrato una adeguata capacità reddituale e, non essendo
tossicodipendente, farebbe occasionale uso della sostanza “a scopo ludico”.
Anche questa motivazione non è manifestamente illogica e non può dunque
essere censurata in questa sede, posto che, a ritenere diversamente, anche a
voler immaginare che l’occasionale uso per scopo ludico postuli il consumo di una
dose media singola giornaliera (o, se si preferisce, di sette dosi la settimana), si
dovrebbe concludere – in modo che apparirebbe, questo sì, manifestamente

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comma 1, lett. e), cod. proc. pen., soltanto quando l’illogicità sia manifesta, cioè

illogico – che il ricorrente abbia fatto una “scorta” che gli sarebbe stata
sufficiente per un anno.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 22/02/2018.

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