Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1629 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1629 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
AWISATO SILVANO nato il 17/01/1974, avverso la sentenza del
09/03/2012 della Corte di Appello di Napoli;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere doti Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giuseppe Volpe
che ha concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Angelo Bianco che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso
FATTO
1. Con sentenza del 9/03/2012, la Corte di Appello di Napoli, in
riforma della sentenza pronunciata in data 21/07/2011 dal g.u.p. del
Tribunale di Noia, esclusa la recidiva, rideterminava la pena, nei
confronti di AWISATO Silvano, per i reati di rapina ed estorsioni, in
anni quattro di reclusione ed E 1.000,00 di multa.

Data Udienza: 12/12/2012

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del
proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i
seguenti motivi:
2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

629

COD. PEN.:

sostiene il ricorrente

(estorsione continuata ai danni di Vincenzo Camboni) aveva errato
nel qualificare il fatto come estorsione continuata. In realtà,
mancando il requisito della minaccia nonché l’ingiusto profitto con
altrui danno, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come violenza
privata ex art. 610 cod. pen. La Corte, poi, avrebbe violato anche
l’art. 81 cod. pen. «in quanto, pur considerando i singoli episodi
consistiti in consumazioni di pasti senza corrispettivo e la dazione di
piccole somme di denaro come episodi estorsivi “culminati
nell’episodio del 21/01/11 che rappresenta quasi la naturale
escalation di quelli precedenti”, giunge a considerare la condotta di
cui al capo d) come meritevole di aumenti per la continuazione
interna, senza considerare che l’estorsione è un reato a
consumazione prolungata che richiede un adempimento frazionato
nel tempo da parte della parte offesa»;
2.2.

CARENZA DI MOTIVAZIONE

in ordine al capo

C)

dell’imputazione: il ricorrente, in ordine al reato di tentata estorsione
gi reive..né. ,
di cui al capo c), sostiene che la Corte non avrebbe potuto 1~9 //,’ t■
illecite le modalità del fatto in assenza della piena consapevolezza
da parte di esso ricorrente. In realtà, il reato avrebbe dovuto essere
qualificato come minaccia aggravata;
2.3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

69 COD. PEN.: il ricorrente sostiene che

la Corte territoriale aveva escluso la recidiva «senza però alcuna
conseguenza sul computo» della pena, in quanto, l’avvenuta
diminuzione era stata effettuata «esclusivamente a seguito di una
riduzione degli aumenti per la continuazione, in ordine ai quali vi era

2

che la Corte territoriale, in relazione al reato di cui al capo d)

una espressa richiesta nei motivi di gravame». In altri termini,
secondo il ricorrente, il giudizio di comparazione — dichiarato
equivalente dal primo giudice in presenza della contestata recidiva —
«avrebbe dovuto portare, in assenza della contestata recidiva, a
generiche nel giudizio di comparazione o, quantomeno», la Corte
«avrebbe dovuto motivare sul punto».
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT.

629 – 81

COD. PEN.:

l’imputato —

relativamente al capo d) – è stato condannato per avere, in più
occasioni, dal settembre 2009 al 21/01/2011, rivolto minacce a
Vincenzo Camboni, titolare del ristorante “Il Canto del Maggio”, volte
ad ottenere la somministrazione gratuita dei pasti nonché somme di
denaro oscillanti fra i dieci e venti euro alla volta.
Il ricorrente sostiene che, nel suo comportamento,
mancherebbe il requisito della minaccia nonché l’ingiusto profitto con
altrui danno, sicché il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come
violenza privata ex art. 610 cod. pen.
La doglianza è manifestamente infondata.
Sul punto, è sufficiente leggere, oltre che la sentenza di
appello, anche la sentenza di primo grado dove a pag. 5, il g.u.p.
riporta le dichiarazioni del Camboni, della moglie di costui, nonché
del pizzaiolo: tutte le dichiarazioni sono concordi nel riferire che
l’Avvisato si comportava in modo minaccioso e che tale
comportamento «metteva paura». Ovviamente sussistente è anche
l’ingiusto profitto, tale dovendosi considerare non solo la
somministrazione gratuita dei pasti ma anche la continua richiesta di
denaro.

3

vedere dichiarata la prevalenza delle circostanze attenuanti

Non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 81 cod. pen. per la
semplice ragione che ogni episodio è un episodio a sé stante —
integrante gli estremi del reato di estorsione – che si esaurì nel
momento in cui l’imputato ottenne il denaro richiesto.
21/01/11 rappresentava ((quasi la naturale escalation di quelli
precedenti» non sta a significare che si tratta di un’unica estorsione
ma solo che fu l’ultimo episodio di una lunga serie di estorsioni.
2.

CARENZA DI MOTIVAZIONE

in ordine al capo c): l’imputato —

relativamente al capo c) – è stato condannato per avere intimato al
Camboni di consegnargli ogni settimana e di lunedì la somma di
250,00 e, quindi, E 1.000,00 al mese, minacciando, altrimenti, di
ammazzare lui e la sua famiglia e di bruciargli il locale.
Il ricorrente sostiene che il fatto avrebbe dovuto essere
qualificato come minaccia aggravata mancando il requisito del
profitto ed in assenza della consapevolezza di una condotta illecita.
Anche la suddetta doglianza è manifestamente infondata,
essendo ineccepibile, sul punto, stante la pacificità dei fatti, la pur
breve motivazione con la quale la Corte territoriale, replicando alla
medesima doglianza, ha osservato che «l’Avvisato, relativamente a
quanto avvenuto il 21/01/11 è sostanzialmente confesso e la
minaccia, intesa al conseguimento di un ingiusto profitto, integra il
reato di tentata estorsione».
3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

69

COD. PEN.:

anche la suddetta

doglianza è manifestamente infondata.
Il primo giudice, ritenendo la recidiva, aveva concesso le
attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Nel calcolare la
pena, aveva aumentato la pena base (di anni cinque) di anni due per

4

Il fatto che la Corte abbia scritto che l’ultimo episodio del

la continuazione in considerazione dell’art. 81/4 cod. pen. che,
impone, nei casi di recidiva, un aumento non inferiore ad un terzo
della pena base.
Nel giudizio di secondo grado, la Corte non ha considerato la
base considerata dal primo giudice (anni cinque), ha potuto
contenere gli aumenti per la continuazione ad un anno (e, quindi,
sotto il minimo previsto dall’art. 81/4 cod. pen.).
Di conseguenza, non è vero che l’elisione della recidiva non ha
portato alcun beneficio all’imputato.
Quanto al fatto che la Corte avrebbe dovuto considerare le
attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, non è
chiaro sulla base di quale norma il ricorrente possa fare tale
affermazione: il bilanciamento delle circostanze, ex art. 69 cod. pen.,
rientra nella discrezionalità del giudice e, nel caso di specie, la Corte
territoriale ha ritenuto di confermare il giudizio di equivalenza del
primo giudice tanto più che lo stesso ricorrente, sul punto, nulla
aveva dedotto con i motivi di appello, essendosi limitato solo a
chiedere una riduzione della pena: il che è quanto la Corte ha fatto.
4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile
a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una
somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso,
si determina equitativamente in E 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA

5

recidiva e, proprio per tale motivo, pur partendo dalla stessa pena

inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di

E 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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