Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16282 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16282 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) D’ANGELO LUCIA N. IL 29/03/1939
2) PAPPALARDO ENRICO N. IL 18/10/1946
3) VITTORIO GIOVANNI N. IL 16/12/1935
4) VITTORIO MARIA GRAZIA N. IL 19/07/1957
5) VITTORIO PATRIZIA N. IL 24/10/1959
6) VITTORIO MORGANA N. IL 23/12/1976
avverso la sentenza n. 898/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
10/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO’ SETTEMBRE
Udito il Procuratore Geriérale in persona del Dott.
che ha concluso pzery –

Udito, per la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 21/11/2012

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Gioacchino Izzo, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata
sentenza per prescrizione del reato.
– Udito, per i ricorrenti, l’avv. Giovanni Di Giovanni, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e, in subordine, la declaratoria di estinzione del reato
per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO

quella emessa dal locale Tribunale il 17-3-2009, ha condannato D’Angelo Lucia e
Vittorio Giovanni alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione, Pappalardo
Enrico alla pena di anni quattro di reclusione, Vittorio Maria Grazia, Vittorio
Morgana e Vittorio Patriazia alla pena di anni tre di reclusione (e tutti alle pene
accessorie di legge) per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
commesso in relazione al fallimento della Vittorio srl, dichiarato il 29-10-1998.
Secondo l’accusa, gli imputati (D’Angelo come amministratrice unica, Pappalardo
come liquidatore, Vittorio Giovanni come amministratore di fatto, le tre sorelle
Vittorio come soci liquidatori) posero in essere, durante la fase di liquidazione
(aperta il 18-6-1995) e prima del fallimento, atti distrattivi sulle merci, sulle
attrezzature e sull’immobile aziendale.

2. Hanno proposto ricorso per Cassazione l’avv. Salvatore Miano (nell’interesse
di Vittorio Giovanni, D’Angelo Lucia, Vittorio Maria Grazia, Patrizia e Morgana)
nonché Pappalardo Enrico personalmente sia per violazione di legge e che per
vizio di motivazione. Tutti contestano la sentenza di fallimento, il significato
distrattivo degli atti posti in essere, la qualificazione giuridica degli stessi,
l’elemento soggettivo del reato, nonché l’erronea acquisizione al fascicolo
dibattimentale della relazione del curatore fallimentare. Tutti eccepiscono la
prescrizione dei reati loro attribuiti.
Il Pappalardo contesta anche la sua qualità di amministratore di fatto-

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento, salvo quello relativo
all’intervenuta prescrizione.
Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, gli
imputati (D’Angelo come amministratrice unica, Pappalardo come liquidatore,
Vittorio Giovanni come amministratore di fatto, le tre sorelle Vittorio come soci
liquidatori) posero in essere, durante la fase di liquidazione (aperta il 18-6-1995)
e prima del fallimento, i seguenti atti distrattivi:

2

1. La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 10-6-2011, a conferma di

- vendettero a Vittorio Giovanni beni aziendali (macchinari, autovetture,
attrezzature ed arredi) “per un importo fittizio di E 960.000”;
– distrassero merci per oltre 600 milioni di lire;
– trasferirono, d’accordo tra loro, a Vittorio Maria Grazia, Morgana e Patrizia la
proprietà indivisa di due botteghe.
La prova della distrazione è stata desunta dalle dichiarazioni del curatore
fallimentare, il quale accertò che nel 1996 immobilizzazioni materiali per
47.798.171 erano state svendute a Vittorio Giovanni per E 960.000; che sempre

che non furono poi rinvenute dal curatore, né furono rinvenuti i corrispettivi della
vendita; che l’immobile sociale fu assegnato pro quota ai soci, nonostante la
presenza di un rilevante passivo sociale.
Rispetto a questo compendio probatorio i ricorrenti hanno fatto valere
motivi manifestamente infondati, per genericità, assertività o inconcludenza dei
ragionamenti spiegati, ovvero per palesi errori di diritto. Non ricorre, pertanto,
nessuno dei motivi di assoluzione ex art. 129 cod. proc. pen..
Ciò posto, si rileva che al momento della pronuncia della sentenza
d’appello il termine prescrizionale di cui agli artt. 157 e segg. cod. proc. pen.
(stabilito con L. 251/2005, trattandosi di reati commessi il 29-10-1998) era
ormai decorso, pur tenendo conto delle interruzioni e dei periodi di sospensione
(decorrenza verificatasi il 9-6-2011, cioè un giorno prima della suddetta
sentenza): s’impone quindi l’annullamento della medesima senza rinvio per
estinzione dei reati.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per
prescrizione.
Così deciso il 21-11-2012

nella fase della liquidazione la società aveva acquistato merci per E 600 milioni,

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