Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16267 del 23/03/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16267 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DIPAOLA DOMENICO nato il 10/07/1992 a CERIGNOLA
avverso la sentenza del 11/07/2017 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;
Data Udienza: 23/03/2018
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bari ha confermato la
sentenza del 1/3/2017 del Tribunale di Foggia, con cui, a seguito di giudizio abbreviato,
Domenico Di Paola era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed
euro 1.800,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90
(per avere detenuto a fine di cessione circa 51 dosi di sostanza stupefacente del tipo
cocaina).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando
riproduttiva di quella della sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile a causa della genericità dell’unica doglianza cui è stato
affidato.
La stessa, infatti, consiste nella apodittica asserzione della contraddittorietà e
illogicità manifesta della motivazione, in quanto priva di considerazione dei motivi
d’appello e meramente riproduttiva di quella di primo grado, disgiunta dalla illustrazione
delle ragioni della rilevabilità di tale vizio e di qualsiasi confronto, tantomeno critico, con
la sentenza impugnata, di cui non è stato in alcun modo considerato il percorso
argonnentativo.
Quest’ultimo, tra l’altro, risulta pienamente idoneo a giustificare la decisione
adottata, avendo la Corte d’appello correttamente confermato la affermazione di
responsabilità, alla luce del rinvenimento nella abitazione dell’imputato della sostanza
stupefacente già suddivisa in dosi, e anche la misura della pena, in considerazione della
gravità dei fatti e dei precedenti penali dell’imputato: si tratta di motivazione pienamente
idonea, non censurabile sul piano del merito, cosicché la doglianza dell’imputato, oltre
che generica, risulta anche manifestamente infondata.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018
Il Consigliere estensore
Il Presigente
l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione, in quanto meramente