Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16260 del 23/03/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 16260 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LEONIELLO MAURIZIO nato il 26/02/1975 a ROMA
avverso la sentenza del 22/05/2017 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;
Data Udienza: 23/03/2018
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha confermato la
sentenza del 5/12/2016 del Tribunale di Roma, con cui Fabrizio Pantano e Maurizio
Leoniello erano stati condannati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed
euro 2.000,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90
(ascrittogli per avere detenuto, a fine di spaccio, grammi 6,3 lordi di sostanza
stupefacente del tipo eroina).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il solo Leoniello,
d’appello, in ordine alla eccessività della pena, distante dal minimo edittale, essendo
stata considerata come base di computo quella di anni due di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro affidato a una censura generica, priva di autentico confronto
critico con la motivazione della sentenza impugnata e della illustrazione delle ragioni della
denunciata eccessività della pena, è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha condiviso il giudizio di congruità della pena stabilita dal
primo giudice, sottolineando come la stessa sia più prossima al minimo che al massimo
edittale, dunque ritenendola, sia pure implicitamente, adeguata ai fatti, come descritti in
altra parte della motivazione, alla quale, quindi la Corte d’appello ha fatto riferimento
anche a tale proposito; in particolare la reiterazione delle condotte di spaccio di
stupefacenti osservate dalla polizia giudiziaria, tra l’altro poste in essere in concorso tra i
due imputati e con una, sia pur rudimentale, organizzazione (essendo stata occultata tale
sostanza in corrispondenza di una pianta vicina al luogo nel quale detta attività veniva
svolta), è stata ritenuta di non modesta gravità, con la conseguente valutazione di
adeguatezza della pena stabilita dal Tribunale.
La, peraltro generica, doglianza di difetto di motivazione sul punto risulta,
dunque, manifestamente infondata, essendo state indicate le ragioni per le quali i fatti
sono stati ritenuti gravi e meritevoli della sanzione stabilita dal primo giudice, con la
conseguente inammissibilità del ricorso.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
1
lamentando mancanza di motivazione riguardo alle doglianze sollevate con l’atto
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018
Il Consigliere estensore