Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16255 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16255 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SINISCALCHI BERNABO’ LUIGI nato il 13/05/1943 a NAPOLI

avverso la sentenza del 02/10/2015 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, parzialmente
riformando la sentenza del 12/4/2011 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha
dichiarato non doversi procedere nei confronti di Luigi Siniscalchi Bernabò in relazione al
reato di cui all’art. 171 ter, lett. d), I. n. 633 del 1941, in quanto estinto per prescrizione,
e ha rideterminato in mesi dieci di reclusione ed euro 450,00 di multa la pena inflittagli in
relazione al reato di cui all’art. 648 cpv. cod. pen., confermando nel resto la sentenza
impugnata.

violazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e vizio di motivazione, per la mancata
concessione della circostanza attenuante di cui capoverso dell’art. 648 cod. pen. nella
massima estensione, nonché per il diniego delle circostanze attenuanti generiche e a
causa dell’eccessività della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo volto a sindacare una valutazione di merito
adeguatamente motivata dai giudici dell’impugnazione.
Per il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di
bilanciamento di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere
considerato ed esaminato gli elementi enunciati nell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati
significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto, essendo
sottratta al sindacato di legittimità, in quanto espressione del potere discrezionale nella
valutazione dei fatti e nella concreta determinazione della pena demandato al giudice di
merito, la motivazione sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente
dalle risultanze processuali e sia, altresì, logicamente corretta (Sez. 2, n. 3610 del
15/01/2014, Manzari, Rv. 260415; Sez. 1, n. 3163 del 28.11.1988, Rv 180654).
La determinazione in concreto della pena costituisce, poi, il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge,
sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi
compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello,

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi
di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia
pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed
anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello (Sez. 6, n. 10273 del
20.5.1989 Rv 181825).
Nel caso in esame la Corte d’appello ha adeguatamente motivato il diniego delle
circostanze attenuanti generiche, il giudizio di prevalenza tra la circostanza di cui al
capoverso dell’art. 648 cod. pen. e la recidiva e anche la determinazione della pena,
mediante la sottolineatura della gravità dei fatti, concernenti la vendita al dettaglio svolta
1

, od;

in modo organizzato e professionale di supporti audiovisivi contenenti opere protette dal
diritto di autore abusivamente riprodotte, e dei plurimi precedenti dell’imputato: si tratta
di motivazione idonea a dare conto degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti
prevalenti per escludere la riconoscibilità delle attenuanti generiche e giustificare la
misura della pena, non sindacabili sul piano del merito nel giudizio di legittimità, con la
conseguente inammissibilità del ricorso.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta

impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una
eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione
impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez.
un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli,
Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del
20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n.’ 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018
Il Consigliere estensore

inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di

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