Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16249 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16249 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BARRETTA GIOVANNI nato il 08/10/1985 a NAPOLI

avverso la sentenza del 13/09/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, in parziale
riforma della sentenza del 5/2/2016 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Napoli, ha ritenuto configurabile la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R.
309/90 e ha, di conseguenza, rideterminato la pena inflitta a Giovanni Barretta in
relazione a tale reato in anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 3.000,00 di multa,
confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

riguardo l’illogicità della motivazione, in quanto gli elementi considerati ai fini della
configurabilità della ipotesi di minore gravità di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R.
309/90 (consistenti nella rudimentale organizzazione della attività di spaccio e nel non
elevato quantitativo di sostanza stupefacente, detenuto a tale scopo dall’imputato presso
la sua abitazione) avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale, unitamente allo stato di
incensuratezza, a riconoscere all’imputato dette circostanze.
Ha lamentato anche violazione di legge penale e vizio della motivazione riguardo
alla misura della pena, stante la contraddittorietà tra il riconoscimento della suddetta
fattispecie attenuata e la determinazione della pena in misura superiore al minimo
edittale, giustificato in modo contraddittorio dalla Corte d’appello, con il quantitativo di
sostanza stupefacente detenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d’appello non accolti, è inammissibile.
La doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche è manifestamente infondata, in quanto la Corte territoriale, con la
sottolineatura della gravità del fatto e della negativa personalità dell’imputato (derivante
dal tentativo di sottrarsi al controllo della polizia giudiziaria, disfacendosi della sostanza
stupefacente che deteneva) e della mancanza di elementi di positiva considerazione
ulteriori rispetto alla mera incensuratezza, ha dato conto, sia pure implicitamente, degli
elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della
connotazione negativa della personalità dell’imputato.
La ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di
merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo,
invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi
alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate
anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in
tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare
gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 3896 del

il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sottolineando al

20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201;
Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state
prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una
valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior
rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni
preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere
sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per

può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del
fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in
tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la
riconoscibilità di dette attenuanti.
Attraverso la doglianza relativa alla misura della pena il ricorrente ha, poi,
censurato una valutazione di merito compiuta dal giudice dell’impugnazione, che, nel
sottolineare sia la gravità dei fatti (in considerazione del quantitativo di stupefacente
detenuto dall’imputato), sia la negativa personalità dell’imputato (desunta dalla sua
condotta in occasione dell’arresto), ha dato conto in maniera sufficiente degli elementi
ritenuti preponderanti tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen. per addivenire alla
determinazione della pena: tale valutazione non è sindacabile sul piano del merito nel
giudizio di legittimità, è stata adeguatamente motivata e non si pone in contrasto con la
qualificazione del fatto ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90, non
essendovi inconciliabilità logica tra il riconoscimento della configurabilità di tale ipotesi di
minore gravità e la considerazione del quantitativo della sostanza stupefacente al fine
della determinazione della pena, trattandosi della considerazione del medesimo elemento
polivalente valutato per finalità differenti, dunque pienamente consentita (cfr. Sez. 2, n.
933 del 11/10/2013, Debbiche Helni, Rv. 258011; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015,
Rechichi, Rv. 264378).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta
infondatezza e il contenuto non consentito nel giudizio di legittimità delle doglianze cui è
stato affidato.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 3.000,00.

2

ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre,

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018

Il Consigliere estensore

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