Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16248 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16248 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
FABBRI LUIGI nato il 19/12/1940 a CORIANO

avverso la sentenza del 14/01/2016 del TRIBUNALE di RIMINI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciata il 14 gennaio 2016, il Tribunale
di Rimini ha condannato Luigi Fabbri alla pena di euro 1.000,00 di ammenda, in relazione
al reato di cui all’art. 137 d.lgs. 152/2006 (perché, quale titolare della impresa
individuale omonima, svolgente attività di riparazione meccanica e lavaggio di
autoveicoli, effettuava, tramite apposito sistema di collettamento recapitante nel suolo, lo
scarico delle acque reflue industriali originate dalla attività di lavaggio, in assenza delle
prescritte autorizzazioni).

violazione di legge penale e processuale e, in particolare, la propria mancata assoluzione
ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., perché il fatto non sussiste o non
costituisce reato, non essendo emersa dal dibattimento la prova inequivocabile della sua
responsabilità, non essendo stato effettuato un accertamento peritale sulla qualità delle
acque provenienti dall’impianto di sua proprietà.
Ha, inoltre, sottolineato la sopravvenuta prescrizione del reato, accertato il 14
marzo 2011 ma collocabile cronologicamente in epoca anteriore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo volto a sindacare la ricostruzione della
vicenda sul piano del merito, quanto alla natura inquinante delle acque provenienti
dall’impianto di lavaggio di autoveicoli di proprietà dell’imputato, cui il Tribunale è
pervenuto attraverso un esame logico degli elementi a disposizione e di cui ha dato conto
con motivazione adeguata e immune da vizi.
E’ necessario rammentare che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità
non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella
compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia
portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la
sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez.
U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto,
Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia
pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o
un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n.
12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C.
in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata;
Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Mnervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data
11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

1

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando

Nel caso in esame il Tribunale ha dato atto sia della esistenza di uno scarico nel
sottosuolo delle acque provenienti dall’impianto di lavaggio di autoveicoli di proprietà
dell’imputato, privo di autorizzazione (di cui l’imputato si è munito successivamente), sia
della natura di reflui industriali di tali acque, in quanto provenienti dal lavaggio
industriale di autoveicoli.
Si tratta di accertamento del tutto univoco, posto che non sono necessarie
speciali indagini, tantomeno tecniche, per accertare la natura dei reflui quando questa
emerga, come nel caso in esame, pacificamente dal tipo di attività, e di cui è stata fornita

così

una doglianza non consentita nel giudizio di legittimità, che determina l’inammissibilità
del ricorso.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale
prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza impugnata (nella quale è stato
dato atto che al momento del sopralluogo, eseguito il 14/3/2011, lo scarico era ancora
attivo, sicché è a tale data che deve essere collocata la consumazione del reato, che ha
natura permanente e si consuma fino al rilascio della autorizzazione o alla cessazione
dello scarico, che quindi non risultava estinto per prescrizione al momento della
pronuncia della sentenza, resa il 14/1/2011, dunque anteriormente allo spirare del
relativo termine di cinque anni), giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di
un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e
preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta
successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca,
Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un.,
28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv.
256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2018
Il Consigliere estensore

Il President

illustrazione adeguata, che il ricorrente censura sul piano del merito, proponendo

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