Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16233 del 20/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16233 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CATENA ROSSELLA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
CATTER FRANCESCO nato il 03/09/1984 a LEGNANO
MINGUZZI ROSSANO nato il 25/05/1976 a BOLOGNA

avverso la sentenza del 08/02/2017 del TRIBUNALE di VERONA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ROSSELLA CATENA;

Data Udienza: 20/03/2018

Fatto e diritto
Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale di Verona in composizione
monocratica ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Catter
Francesco ed a Minguzzi Rossano la pena di anni uno di reclusione ed euro
400,00 di multa ciascuno, in relazione ai reati di cui agli artt. 81, comma 2, 61 n.
2, 576 n. 1, 582, 585, 337, 341 bis, 624, 625 n. 2 e 5, cod. pen., in Minerbe il
13/09/2016, ed il Minguzzi anche per il reato di cui all’art. 624 cod. pen., in
Minerbe, il 13/09/2016.
Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, lamentando

proc. pen. e, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 624 bis, cod. pen.,
l’erronea qualificazione della stessa, come emerge dalla circostanza che in
relazione ai due diversi furti commessi all’interno di diversi stand fieristici, è
stata contestata, in un caso, la fattispecie di cui all’art. 624 cod. pen., e, in
un’altra, quella di cui all’art. 624 bis, cod. pen.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto è principio costantemente
affermato dalla Suprema Corte, in tema di patteggiamento, che il giudizio
negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al citato art. 129 cod. proc.
pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso
in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la
possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle legge e che non
ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc.
pen.” (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez.
1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di specie la
sentenza impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo
espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 cod. proc.
pen., alla luce degli atti (verbale di arresto e querela della persone offese), oltre
che della confessione degli imputati.
Inoltre va ricordato che, per consolidato orientamento di questa Corte di
legittimità, ribadito dalle Sezioni Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/ 2013, dep.
06/02/2014, in motivazione; Sez. U, sentenza del 23/03/2017, D’Amico), in
tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea
qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e
recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla
disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante
ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul
nomen iuris deve essere manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne

ammette la deducibilità nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo
1

l’omessa Motivazione in relazione a cause di proscioglimento ex art. 129 cod.

sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le
volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità.
Nel caso in esame, quindi, pur dovendosi ribadire il principio espresso da questa
Corte nel suo massimo consesso, secondo cui “Ai fini della configurabilità del
reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata
dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti
della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il
consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o
professionale.”

(Sez. U, sentenza n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv.

implicherebbe accertamenti di tipo fattuale del tutto incompatibili con i limiti del
sindacato sulla qualificazione giuridica in tema di patteggiannento.
Nel caso di specie, quindi, la deducibilità dell’invocato errore deve essere
esclusa, non risultando prima facie erronea o strumentale la qualificazione
giuridica dei fatti, così come proposta dalle parti e positivamente delibata dal
giudice a quo.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna
di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si
stima equo determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2018

Il Componente estensore

Il Presidente

270076), va anche ricordato che l’applicazione concreta di detto principio

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