Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1623 del 28/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1623 Anno 2016
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Malanchini Luigi, nato a Comun Nuovo il 23-12-1946
avverso la sentenza del 15-07-2014 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Enrico Delehaye che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente

,

Data Udienza: 28/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Luigi Malanchini ricorre per cassazione impugnando la sentenza emessa in
data 15 luglio 2014 dalla Corte di appello di Brescia che ha confermato quella
resa, a seguito di giudizio abbreviato, dal tribunale di Bergamo e con la quale il
ricorrente è stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di mesi 4 di
reclusione per il reato previsto dall’articolo 10 ter decreto legislativo 10 marzo
2000, n. 74 perché, in qualità di legale rappresentante della società “Pentagono

dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo – l’imposta sul valore
aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale relativa all’anno 2009, per un
ammontare superiore alla soglia di C 50.000 e complessivamente pari a C
687.505,07. In Urgnano il 27 dicembre 2010.

2.

Per la cassazione dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il

difensore, affida il ricorso ai due seguenti motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione della legge penale in relazione
agli articoli 43, 47,54 e 59 codice penale nonché dell’articolo 10 ter decreto
legislativo n. 74 del 2000 (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura
penale) sul rilievo che la sua condotta, in quanto priva di dolo e/o dovuta allo
stato di necessità causato dall’impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria,
doveva ritenersi non punibile.
Sostiene di essersi trovato in uno stato di difficoltà economica dovuto
soprattutto alla crisi del settore iniziata nell’anno 2008, con il suo massimo picco
proprio nell’anno 2010, situazione che lo ha “costretto” a sottoscrivere nella
metà del mese di luglio 2010 un accordo finanziario in attuazione di un piano di
risanamento predisposto ai sensi dell’articolo 67 della legge fallimentare.
Peraltro, lo stato di insolvenza, dipeso da moltissimi fattori, si è aggravato
quando gli istituti di credito, nonostante la sottoscrizione dell’accordo finanziario,
in attuazione del piano di risanamento predisposto ai sensi dell’articolo 67 della
legge fallimentare e nonostante il fatto che si fosse pattuito il termine
dell’erogazione dei finanziamenti entro la fine del mese di luglio 2010, non hanno
rispettato detto termine, aggravando così inevitabilmente la situazione debitoria
e finanziaria della società.
Inoltre assume che non poteva disporre in autonomia delle somme poi
tardivamente erogate, essendosi deciso di privilegiare, al fine di dare continuità
alla società, il pagamento dei dipendenti, onde evitare licenziamenti, e poi, in
successione, i debitori onde evitare il fallimento della società. In tal modo il
ricorrente avrebbe subito le conseguenze, oltre a quella relativa allo stato di

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immobiliare S.p.A.”, ometteva di versare – nei termini previsti per il versamento

insolvenza, derivanti dalle scelte di privilegio nei pagamenti che sono stati
indipendenti dalla sua reale concreta volontà di non versare all’erario l’Iva.
Inoltre egli si sarebbe trovato nell’impossibilità di provvedere per fatto di
terzo, cioè del professionista a cui si era rivolto per tentare di risollevare le sorti
della società, ed infine non aveva la coscienza e la volontà di evader l’imposta
essendo i pagamenti impossibili a casa del mancato accantonamento delle
somme relative al periodo di risanamento.
2.2.Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di

beneficio della non menzione della condanna, sul rilievo che il beneficio
rivendicato è stato negato in quanto l’imputato risultava gravato da una
precedente condanna per il delitto, sia pure risalente nel tempo, ritenuta
erroneamente ostativa alla concessione del beneficio.
In sostanza il ricorrente si duole del fatto che la corte d’appello abbia
formulato un giudizio prognostico basandolo sulla commissione di un precedente
reato commesso nel lontano 1981.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è fondato sulla base del secondo motivo, mentre il primo

motivo è infondato.

2. Quanto infatti alla prima doglianza, la Corte territoriale ha correttamente
affermato come fosse del tutto ininfluente, ai fini dell’integrazione della
fattispecie incriminatrice, la giustificazione fornita dal ricorrente in ordine
all’omesso versamento dell’Iva in considerazione della mancanza di liquidità della
società conseguente all’accordo di risanamento predisposto da un professionista
ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera d), della legge fallimentare (istituto
introdotto dal decreto-legge 14 marzo 2005, n.35, convertito in legge 14 maggio
2005, n. 80, cosiddetto decreto competitività), trattandosi di un accordo di
natura privatistica che non poteva comunque coinvolgere il pagamento dei
tributi, con la conseguenza che il ricorrente era comunque tenuto a versare
l’imposta per il 2009 entro il 27 dicembre 2010.
Peraltro, questa Corte, in materia di omesso versamento di imposte, ha
affermato il principio secondo cui, la colpevolezza del soggetto tenuto ad
assolvere l’obbligazione tributaria non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta
al momento della scadenza del termine utile per il versamento, a meno che
l’imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e
che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee

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motivazione della sentenza impugnata in relazione alla mancata concessione del

misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (Sez. 3, n. 5467 del
05/12/2013, dep. 2014, Mercutello, Rv. 258055).
Né può essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista
necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta
di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità, come quella
di privilegiare taluni pagamenti al posto di altri o, come nella specie, di ricorrere
ad un piano di risanamento dell’impresa, di cui all’articolo 67, comma 3, lettera
d), della legge fallimentare, perché l’istituto non rientra in un procedimento

concordato preventivo, ma si risolve in un atto stragiudiziale non soggetto al
controllo del giudice né nella fase di preparazione, né nella fase di esecuzione,
consistendo in un atto unilaterale dell’imprenditore e quindi risolvendosi in una
operazione strettamente ed interamente privatistica, indirettamente riconosciuta
come meritevole di tutela da parte dell’ordinamento mediante l’esenzione del
patrimonio all’assoggettamento dell’azione revocatoria, sempre che si verifichino
le condizioni e sussistano i requisiti previsti dalla legge, ossia che il piano di
risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa sia idoneo ad assicurare il
riequilibrio della situazione finanziaria e la cui ragionevolezza deve essere
attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che
abbia i requisiti previsti dalla legge.
Né è risultato che il ricorrente abbia informato il professionista, che ha
asseverato il piano di risanamento, che l’accordo finanziario con il quale la
Pentagono immobiliare S.p.A. ha ridefinito i rapporti con i creditori avrebbe
dovuto garantire un’adeguata liquidità per far fronte alle somme dovute a titolo
d’imposta in base alla dichiarazione annuale dell’anno 2009. È risultato invece
che il piano di risanamento fu predisposto dalla Pentagono immobiliare S.p.A.
con l’assistenza del proprio “Advisor” finanziario, fu approvato dagli organi sociali
e, poi, fu sottoposto al parere del dottor Berta, con la conseguenza che
l’imputato non può ritenersi scriminato per un fatto del terzo assumendo che il
mancato versamento delle somme all’erario rientrasse in una decisione prese da
altri a sua insaputa (nella specie dal professionista asseveratore del piano)
essendo risultato il ricorrente il principale artefice del piano stesso, redatto con
l’assistenza dello studio a cui egli si era rivolto e non del professionista che lo
aveva asseverato. L’approvazione al piano era stato approvato dagli organi
sociali e ciò esclude che possa trasferirsi in capo ai professionisti la
responsabilità della mancata previsione dell’accantonamento delle somme
necessarie a versare l’Iva o la mancata previsione della destinazione delle
somme provenienti dagli istituti di credito a tale fine.
Rispetto a tale punto della sentenza impugnata il ricorrente non ha peraltro
preso una specifica posizione con il motivo di ricorso.
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giudiziale o soggetto ad omologa da parte del giudice, come invece avviene per il

Ne consegue che, in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore
aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a
forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che
non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla
sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del
24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128). Nel caso di specie, il ricorrente,
come accertato dalla Corte di merito con logica ed adeguata motivazione, ha
evitato consapevolmente di adempiere l’obbligazione tributaria, avendo persino

distratto le relative somme, omettendo conseguentemente il versamento finale
per fatti allo stesso direttamente imputabili.

3. E’ invece fondato il secondo motivo di impugnazione.
La Corte d’appello ha motivato la mancata concessione del beneficio della
non menzione della condanna affermando che l’imputato risultava gravato da
una precedente condanna per delitto la quale, sia pure risalente nel tempo, era
ostativa alla concessione dell’invocato beneficio, ritenuto concedibile solo con per
la prima condanna inflitta all’imputato.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte territoriale non ha tuttavia
considerato due aspetti che assumono un rilievo fondamentale per la soluzione
della questione.
Sotto un primo profilo, nel caso di specie peraltro assorbente, la Corte
costituzionale è intervenuta sul primo comma dell’art. 175 cod. pen.
consentendo la reiterazione del beneficio, in relazione a condanne per reati
anteriormente commessi (Corte cost. sentenza 5 giugno 1984, n. 155), essendo
stato dichiarato costituzionalmente illegittimo – in quanto riproduttivo di una
disposizione già dichiarata incostituzionale – l’art. 175, comma 1, cod. pen., nel
testo introdotto dall’art. 104, L. 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui
esclude che possano concedersi ulteriori non menzioni di condanna nel certificato
del casellario giudiziario spedito a richiesta dei privati, nel caso di condanne, per
reati anteriormente commessi, a pene che, cumulate con quelle già irrogate, non
superino i limiti di applicabilità del beneficio.
Nondimeno, anche quando siffatti limiti siano stati superati, rileva, sotto
altro e concorrente profilo, l’intervenuta riabilitazione che, nel caso in esame, era
stata peraltro concessa, come risulta per tabulas dal certificato penale.
La possibilità di ottenere il beneficio di cui all’art. 175 cod. pen. nel caso di
intervenuta riabilitazione di una precedente condanna è stata, in passato,
controversa nella giurisprudenza della Corte di cassazione (anteriormente
all’intervento della Corte Cost., v. Sez. 4, n. 1164 del 11/05/1965, Tomassini,
Rv. 099741 nonché Sez. 6, n. 8000 del 01/06/1983, Saladino, Rv. 160469).

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ammesso di aver incassato l’Iva, di non averla accantonata, di aver quindi

Il Collegio condivide l’orientamento secondo il quale la riabilitazione, oltre
alle pene accessorie, estingue ogni altro effetto penale della condanna, salvo che
la legge disponga altrimenti, e poiché l’art.175, primo comma, cod. pen., non
introduce alcuna deroga al riguardo, ne deriva che la non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziale può essere concessa a chi abbia
riportato una precedente condanna per la quale sia intervenuta pronuncia di
riabilitazione (Sez. 1, n. 7552 del 19/04/2000, Meneghetti, Rv. 216428).
Ciò in quanto il carattere premiale del beneficio della non menzione della

dalla riabilitazione, finalità specialpreventive e, in particolare, risocializzative,
risultando perciò logico concederla a chi, essendo stato riabilitato, si venga a
trovare, dal punto di vista giuridico, nella stessa situazione di chi non abbia mai
riportato condanna, in modo da escludere una forma di pubblicità che potrebbe
nuocergli ai fini del reinserimento sociale potendo l’iscrizione pregiudicare le
possibilità di accesso lavorative nel settore privato.
Ne consegue che, a seguito della sentenza 5 giugno 1984, n. 155 della Corte
costituzionale, è consentita la reiterazione del beneficio della non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziario spedito a richiesta dei privati,
nel caso di condanne, per reati anteriormente commessi, a pene che, cumulate
con quelle già irrogate, non superino i limiti di applicabilità del beneficio, la cui
concessione non è comunque preclusa se, superati detti limiti, sia intervenuta la
riabilitazione in ordine alla precedente condanna e la successiva ne consente./
l’applica bilità.
Rimossa perciò dalla Corte costituzionale, per quanto qui direttamente
interessa, la preclusione (precedente condanna) che la Corte territoriale ha
erroneamente ritenuto ostativa alla concessione del beneficio, la sentenza
impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di
Brescia in quanto, proprio perché il beneficio della non menzione della condanna
è fondato sul principio dell’emenda e tende a favorire il processo di recupero
morale e sociale, la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale
del giudice di merito, che ha l’obbligo di indicare le ragioni della mancata
concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n.
34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509), con la conseguenza che ogni
valutazione in ordine alla concessione del beneficio, richiedendo l’uso di poteri
discrezionali, non è consentita nel giudizio di legittimità.
Il ricorso va rigettato nel resto.

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condanna nel certificato del casellario giudiziale persegue, non diversamente

.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Brescia limitatamente all’applicabilità della non menzione della
condanna.
Rigetta nel resto.

Così deciso il 28/10/2015

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