Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16210 del 20/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16210 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CATENA ROSSELLA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
DELLAGAREN CARLO nato il 15/10/1983 a ASTI
QUAGLIA FEDERICA VALENTINA nato il 12/08/1986 a ASTI

avverso la sentenza del 30/01/2017 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ROSSELLA CATENA;

Data Udienza: 20/03/2018

Fatto e diritto
Con sentenza del 30/01/2017 la Corte d’Appello di Torino confermava la
sentenza di primo grado, con cui Dellagaren Carlo e Quaglia Federica Valentina
erano stati condannati a pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 110, 624,
625 n. 2, cod. pen., in Serravalle Scrivia il 15/09/2012, con la recidiva reiterata,
specifica per il Dellagaren.
Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, con i quali si
lamentano, nell’interesse di entrambi, violazione di legge e vizio di motivazione,
in riferimento all’aggravante del mezzo fraudolento, e, nell’interesse del

determinazione della pena, nonché per la mancata applicazione della causa di
non punibilità di cui all’art. 131 bis, cod. pen.
I ricorsi sono inammissibile, per assenza di specificità, in quanto fondato su
censure che, nella sostanza, ripropongono le stesse ragioni già discusse e
ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del
motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’art. 591
comma 1 lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n.
5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv.
230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3,
06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
La sentenza impugnata ha osservato – con motivazione esente da censure
logiche – come l’aggravante della violenza sulle cose sia ravvisabile anche
quando la condotta venga posta in essere attraverso gli strumenti apposti per
garantire la tutela della merce, alla luce delle Sez. U, sentenza n. 40354 del
2013, affermando, inoltre, la sussistenza dell’aggravante del mezzo fraudolento,
contestata in fatto, in relazione all’utilizzazione di un magnete per rimuovere le
placche antitaccheggio. In tema dì furto, ai fini della configurabilità della
circostanza aggravante della violenza sulle cose (articolo 625, numero 2, cod.
pen.), non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla “res”
oggetto dell’impossessamento, ben potendosi l’aggravante configurare anche
quando la violenza venga posta in essere nei confronti dello strumento materiale
apposto sulla cosa per garantire una più efficace difesa della stessa: ciò che si
verifica in caso di manomissione della placca magnetica antitaccheggio inserita
sulla merce offerta in vendita nei grandi magazzini, destinata ad attivare i
segnalatori acustici ai varchi d’uscita (Cass., n. 3372 del 18/12/2012; sez. 4, n.

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Dellagaren, anche in riferimento al coinvolgimento dell’imputato ed alla

14780 del 14/02/2006; sez. 5, n. 43357 del 5/10/2005). Tale consolidata
giurisprudenza non è stata affatto smentita dalla pronuncia delle sezioni unite
richiamata in motivazione, la quale ha escluso la configurabilità dell’aggravante
del mezzo fraudolento nel caso di occultamento sulla persona o nella borsa di
merce esposta in un esercizio di vendita “selfservice”, ribadendo che “nel reato
di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta
in essere nel corso dell’azione delittuosa dotata di marcata efficienza offensiva e
caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la
contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato

18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974). In tal senso la sentenza impugnata ha
evidenziato come il magnete, utilizzato per rimuovere le placche antitaccheggio,
integrasse un mezzo fraudolento.
Quanto al ruolo del Dellagaren, la sentenza ha osservato come questi, come
dimostrato dai fotogrammi, fosse costantemente al fianco della Quaglia, in modo
da occultare alla vista i maneggi della stessa.
In realtà, le censure, peraltro estremamente generiche, aspirano ad una
rivalutazione del compendio probatorio preclusa in questa sede.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri del giudice di
legittimità quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv.
207944; inoltre: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv.
229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione
dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha
riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il
riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di
impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane
pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati, che
devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di
autosufficienza del ricorso, devono contenere elementi processualmente
acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere
considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento

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a difesa dei beni di cui ha la disponibilità” (Sez. U, sentenza n. 40354 del

impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere
tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta, comunque,
esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa
lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione
storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di
prova.
E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di

mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni
processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto travisamento della
prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti
rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia
percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le
minime incongruenze (Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).
Inoltre va considerato che il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione
di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa
valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per
cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado,
non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il limite
costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il
giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame,
abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n.
19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 47035 del
03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 29/01/2014, Capuzzi, Rv. 258438).
Quanto al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis, cod.
pen., la sentenza impugnata ha evidenziato lo status di recidivo del ricorrente,
che esclude in radice l’applicabilità della norma invocata, preclusa, peraltro, per
effetto della pena edittale relativa al titolo del reato di furto pluriaggravato.
Alla inammissibilità del ricorso consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una
somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni
dedotte, si stima equo determinare in euro 2.000,00.

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sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito

P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2018
Il Presidente

Il Componente estensore

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