Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1619 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1619 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Russo Cosimo nato a Cerignola il 22/6/1977
avverso la sentenza del 9/1/2012 della Corte d’appello di Bari II sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 9/1/2012, la Corte di appello di Bari confermava

la sentenza del Tribunale di Foggia sez. dist. di Cerignola del 30/3/2011, che
aveva condannato Russo Cosimo alla pena di anni cinque e mesi sei di
reclusione ed C 2000,00 di multa per i reati di cui agli artt. a) 629 cod.
pen. 7 legge 575/1965; b) 9 comma 2 legge 1423/1956.

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Data Udienza: 12/12/2012

1.1.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello

in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine ai reati allo
stesso ascritti, nonché in punto di qualificazione giuridica del fatto
contestato come estorsione ed in punto di trattamento sanzionatorio con
riferimento alla concessione delle attenuanti generiche con giudizio di
prevalenza, all’esclusione della recidiva ed all’applicazione di un aumento

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, sollevando i seguenti
motivi di gravame:
2.1. violazione di legge, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.; si duole in
particolare della riconosciuta credibilità delle dichiarazioni della persona
offesa, che sono risultate, invece, contraddittorie e prive di altri riscontri e
della mancata qualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie
ragioni o truffa.
2.2. Violazione di legge, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ai
sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento
alla mancata configurazione del reato di estorsione come tentativo. Rileva
al riguardo che la predisposizione del piano con l’appostamento della polizia
al momento della consegna del denaro, previa fotocopiatura delle
banconote firmate, avrebbe dovuto far propendere per l’ipotesi tentata del
reato.
2.3. Mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod.
proc. pen., in relazione alla mancata concessione delle attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata aggravante,
alla mancata esclusione della recidiva ed alla determinazione dell’aumento
per la continuazione non calcolato nel minimo.
2.4. Mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato
di cui all’art. 9 legge 1423/1956.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3.

Il ricorso deve essere rigettato per essere infondati tutti

i motivi

proposti.
3.1. Il primo motivo proposto, riproponendo le medesime doglianze già
oggetto dei motivi di appello, attiene a valutazioni di merito che sono
insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle
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minimo per la continuazione.

prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da
vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina,
Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U. n.
47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074 ). E così segnatamente la Corte
territoriale dà, adeguatamente, atto del vaglio di credibilità al quale è stata
sottoposta la deposizione della persona offesa con motivazione immune da
vizi di legittimità, dando conto anche delle discrasie evidenziate nei motivi
vengono ritenute rilevanti ai fini della ricostruzione del fatto descritto
nell’imputazione e della responsabilità del ricorrente nonché spiegando
adeguatamente l’impossibilità, sulla base degli elementi probatori emersi
nel corso del giudizio, di accedere alla diversa ricostruzione della vicenda
prospettata dalla difesa del ricorrente. Nel ricorso, invece, viene prospettata
una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente rispetto a
quella accolta nella sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di
appello; in sostanza si ripropongono questioni di mero fatto che implicano
una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una
motivazione esaustiva, immune da vizi logici.
3.2.

Quanto al secondo motivo di ricorso, la ricostruzione della dinamica

del fatto, così come sviluppata nella sentenza impugnata anche attraverso il
richiamo alla decisione di primo grado, consente di escludere, alla luce del
costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, condiviso dal
Collegio, che possa versarsi in un’ipotesi di delitto tentato; in tal senso si è
affermato che si ha consumazione e non mero tentativo, allorché la cosa
estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estortore e ciò anche
nell’ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che
provveda immediatamente all’arresto del reo ed alla restituzione del bene
all’avente diritto (sez. 2 n. 27601 del 19/6/2009, Rv. 244671). Infatti nel
delitto di estorsione la modalità di lesione si incentra sulla coazione
esercitata dall’agente sulla vittima, perché tenga una condotta positiva o
negativa in ambito patrimoniale, il cui esito è il profitto che il reo intende
procurarsi, che non può essere integrato da altre note, quali la disponibilità
autonoma della cosa, senza violare la tassatività della fattispecie.(sez. U n.
19 del 27/10/1999, Rv. 214642). Va ancora precisato che i motivi della
scelta di aderire alla pretesa espressa dal soggetto agente attengono al foro
interno della persona lesa e non rilevano ai fini del verificarsi dell’evento; il
fatto, poi, che la vittima dell’estorsione si adoperi affinché la polizia

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di gravame, che, alla luce del complesso delle risultanze istruttorie, non

giudiziaria possa pervenire all’arresto dell’autore della condotta illecita non
elimina lo stato di costrizione, ma è una delle molteplici modalità di
reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui essa
versa. Il legislatore, con la formula adottata – “… costringendo taluno a fare
od omettere qualche cosa” prende in considerazione lo stato oggettivo di
costrizione e non distingue le ragioni che possono indurre la persona offesa
ad aderire alla pretesa estorsiva. (sez. 2 n. 44319 del 18/11/2005, Rv.
3.3.

Venendo al terzo motivo di ricorso, attinente al trattamento

sanzionatorio, il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena determinata
dal giudice di primo grado, considerandola bene perequata rispetto al reale
disvalore del fatto, evidenziando di non potere riconoscere le attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza, attesi i precedenti numerosi e specifici
già riportati dal ricorrente, ritenendo di dovere applicare la contestata
recidiva, in conseguenza della maggiore pericolosità del soggetto per via
della dimostrata capacità criminale ed infine considerando congruo
l’aumento per la continuazione applicato in misura assai contenuta. Nel
ricorso si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto,
divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazione
sintetica, ma congrua ed esaustiva, previo specifico esame degli argomenti
difensivi attualmente riproposti. Le valutazioni di merito sono insindacabili
nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia
conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici,
come nel caso di specie.
3.4. Quanto, infine, alla mancanza di motivazione in relazione al reato di cui
al capo b) dedotta nell’ultimo motivo di ricorso, la questione, integrante in
astratto una violazione di legge, venendo contestata la totale mancanza
della motivazione, in violazione del precetto contenuto nell’art. 125 cod.
proc. pen., non risulta essere mai stata sollevata con i motivi di appello e,
pertanto, è inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen. Va,
al riguardo, evidenziato che la sentenza di primo grado contiene adeguata
ed esaustiva motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza anche del reato
di cui all’art. 9 legge 1423/1956, rispetto alla quale non è stata mossa
alcuna censura con l’atto di appello.
4.

Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc.

pen., la condanna dell’imputato che lo ha proposto al pagamento delle

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232506).

spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Il C1igiere estensore

Il Pr

nte

Così deciso, il 12 dicembre 2012

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