Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16169 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16169 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIERZYNA KRZYSZTOF MARIAN N. IL 18/05/1984
avverso la sentenza n. 1/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
20/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
lastté/sentite le conclusioni del PG Dott.
2i
.

Uditi d nsor Avv.;

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Data Udienza: 05/04/2013

11946/13 RG

CONSIDERATO IN FATTO
1. Con sentenza del 20.2.13 la Corte d’appello di Lecce ha disposto la
consegna del cittadino polacco PIERZYNA KRZYSZTOF MARIAN all’Autorità
giudiziaria polacca in relazione ai mandati di arresto europei 31.7.12, emesso dal
pubblico ministero di Olesnica (esecutivo), e 21.1.2013, emesso dal Tribunale

2.

Nell’interesse del consegnando ricorre il difensore, con unico motivo

enunciato di violazione dell’art. 18 lett. R legge 69/2005. Argomenta che l’effettiva
stabilità della dimora del PIERZYNA in Italia si sarebbe dovuta evincere: dall’avere
la stessa Corte distrettuale applicato la misura custodiale degli arresti domiciliari
presso la sua abitazione, dalle dichiarazioni dell’interessato di essere in Italia da
quattro anni lavorando prevalentemente nel settore dell’edilizia, da due denunce
subite in Italia per furto (17.6.2011) e ricettazione (13.3.12). Eventuali dubbi
avrebbero dovuto essere fugati mediante accertamenti d’ufficio dalla Corte
distrettuale, o dovrebbero esserlo a cura della stessa Corte suprema.

RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza e la genericità
dell’unico motivo.
La Corte d’appello ha espressamente affrontato il punto della sussistenza o
meno della ‘residenza’ del consegnando in Italia, nella nozione che tale espressione
assume nella lettera R dell’art. 18 legge 69/2005 (e dell’analogo art. 19 lett. C) alla
luce della ormai consolidata giurisprudenza di legittimità. Su tale punto il Giudice di
Lecce ha osservato che il PIERZYNA: non ha residenza o iscrizione anagrafica in
Italia (Sez.6, sent. 20553/2010); non risulta avere attualmente o avere avuto
un’attività lavorativa da cui trarre lecitamente i mezzi di sostentamento; non ha un
proprio nucleo familiare in Italia; non dispone di stabile dimora e comunque di
un’idonea sistemazione abitativa, gli arresti domiciliari essendo stati eseguiti in
immobile abbandonato, abusivamente occupato, privo di servizi igienici idrici ed
elettrici; non sono stati introdotti elementi di prova per comprovare leciti interessi
alla permanenza in Italia, diversi dalla perpetrazione di reati (risultando controllato
con false generalità, denunciato all’autorità giudiziaria per furto, il 17.6.11, e per
ricettazione, il 13.3.12). Da tali elementi di fatto la Corte di Lecce ha argomentato
l’apprezzamento di merito che nulla dimostra una presenza del consegnando in

Regionale di Wroclaw (istruttorio).

11946/13 RG

2

Italia caratterizzata da liceità, stabilità e protrazione nel tempo, con legami familiari
o lavorativi, tutti requisiti essi soli sintomatici di una ‘residenza’ non solo formale
ma effettiva e per tempo apprezzabile.
L’apprezzamento della Corte d’appello è sostenuto da argomentazione
tutt’altro che apparente, immune dagli ulteriori vizi logici soli rilevanti ai sensi della
lettera E dell’art. 606.1 c.p.p., coerente agli insegnamenti di questa Corte suprema
sul tema, condivisibile nel suo contenuto. Le deduzioni difensive sono del tutto

d’ufficio dovrebbe essere fatto, posto che lo stesso interessato non ha fornito spunti
di utile approfondimento, risultando il domicilio dove è in atto la misura custodiale
una soluzione logistica utile forse all’esecuzione della misura ma non per sé
attestante l’effettivo radicamento nel territorio dello Stato italiano.
In particolare, i precedenti e le pendenze penali non costituiscono elementi di
fatto utili ad attestare la tipologia di stabile radicamento nel territorio dello Stato ex
art. 18 lett. R legge 69/2005.
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma, equa al caso, di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22.5 legge 69 del
2005.
Così deciso in Roma, il 5.4.2013

generiche ed assertive, non comprendendosi, tra l’altro, quale tipo di accertamento

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