Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16157 del 24/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16157 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Palnnisani Domenico, nato a Palazzo San Gervaso, il 18/1/1963;
quale parte civile nel procedimento nei confronti di:
Colombo Stefano, nato a Lecco, il 30/12/1967;

avverso la sentenza del 30/9/2015 del G.u.p. del Tribunale di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stefano
Tocci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile l’avv. Alberto Longo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Sandro Rapisarda, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 24/02/2016

1.Con la sentenza impugnata il G.u.p. del Tribunale di Brescia ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti di Colombo Stefano per il reato di diffamazione
aggravata ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 595 c.p. per non aver commesso il fatto.
2. Avverso la sentenza ricorre Palmisani Domenico, costituitosi parte civile in proprio e
quale legale rappresentante Golden Service s.r.I., eccependo l’incompetenza per
materia del giudice ordinario rientrando il reato per cui si procede nella competenza
del Giudice di Pace. Osserva il ricorrente come, a seguito del rigetto della richiesta di

di formulare l’imputazione per il reato di diffamazione, mentre il titolare dell’azione
penale aveva indebitamente provveduto a riqualificare il fatto anche ai sensi del terzo
comma dell’art. 595 c.p. e degli artt. 13 e 21 I. n. 47/1948, sottraendo
conseguentemente lo stesso alla cognizione del suo giudice naturale e cioè il Giudice di
Pace. Riqualificazione che non corrisponde all’effettivo profilo del fatto contestato,
atteso che il reato è stato commesso inviando ad un numero definito di destinatari tutti clienti della Golden Service – una brochure dai contenuti diffamatori a mezzo di
lettera raccomandata. Tale erronea qualificazione veniva solo parzialmente corretta dal
G.u.p., il quale, pur considerando superflui i riferimenti alla legge sulla stampa, ha
comunque ritenuto corretta la contestazione dell’aggravante di cui al terzo comma
dell’art. 595 c.p. sulla base della ritenuta finalità pubblicitaria dello stampato diffuso
dal Colombo per conto di una azienda rivale della Golden Service, nel mentre la
menzionata aggravante si fonda sulla particolare modalità di diffusione della
comunicazione diffamatoria e cioè attraverso qualsiasi mezzo di pubblicità diverso
dalla stampa destinato a raggiungere un numero indeterminato di persone.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Anche qualora volesse affermarsi – come sostenuto dal ricorrente – che ai fini della
formulazione dell’imputazione coatta il pubblico ministero sia vincolato non solo dalla
ricostruzione del fatto operata dal giudice, ma altresì dalla qualificazione giuridica dallo
stesso ritenuta tutte le volte che tale diversa qualificazione incida direttamente
sull’esercizio dell’azione penale (v. Sez. 6, n. 5027/96 del 19 dicembre 1995, P.M. in
proc. Pascucci ed altri, Rv. 204120), il suddetto principio non potrebbe trovare
applicazione nel caso di specie.
2.1 Infatti dall’esame dell’ordinanza ex art. 409 comma 5 c.p.p. emessa il 4 dicembre
2014 dal G.i.p. di Brescia (allegata al ricorso) emerge chiaramente come egli abbia
fatto generico riferimento alla fattispecie di cui all’art. 595 c.p., avendo rilevato il
valore diffamatorio di alcuni passi dello scritto diffuso dall’indagato, senza in tal modo

archiviazione presentata dal pubblico ministero, il G.i.p. avesse ordinato al medesimo

voler impegnare il pubblico ministero nella qualificazione del fatto sotto il profilo
dell’eventuale configurabilità delle aggravanti poi contestate in sede di formulazione
dell’imputazione. Sotto questo profilo il titolare dell’azione penale doveva quindi
considerarsi comunque legittimato a procedere in autonomia alla qualificazione, per
così dire, “accessoria” del fatto, fermo rimanendo l’obbligo (puntualmente adempiuto)
di formulare l’imputazione per il titolo di reato individuato dal G.i.p.
2.2 I! G.u.p. di Brescia è stato dunque legittimamente investito del processo dal
pubblico ministero nella misura in cui quest’ultimo aveva il potere di contestare

della doglianza avanzata dal ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/2/2016

l’aggravante di cui il ricorrente lamenta l’insussistenza con conseguente infondatezza

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