Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16157 del 20/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 16157 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ZAVAGLI ROMANA nato il 17/04/1959 a RIOLO TERME

avverso la sentenza del 05/05/2016 del TRIBUNALE di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO;

Data Udienza: 20/03/2018

Fatto e diritto
Per quanto ancora rileva, con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale di
Bologna ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di
responsabilità di Romana Zavagli, in relazione al reato di diffamazione.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse dell’imputata lamenta violazione
di legge per non avere la Corte d’appello riconosciuto l’esimente del diritto di
critica, valorizzando le risultanze di una indagine interna (primo motivo) e non
avere considerato che nessun danno poteva essere derivato al dipendente dal

Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, dal momento che
l’imputata non ha sollecitato con la sua comunicazione una mera verifica delle
modalità di condotta degli addetti alla camera mortuaria, ma ha attribuito ad uno
specifico addetto il coinvolgimento nel sistema “di intrallazzare con le imprese
funebri per i motivi che conosciamo”, aggiungendo “L’ultimo caso riguarda il Sig.
Rosario in forza alla camera mortuaria da pochi mesi, ma già a nostro parere ben
introdotto”.
Rispetto a tale specifica attribuzione, non è conducente evocare un contesto
generale di episodi ricorrenti di favoritismi o di corruzione.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di diffamazione
(nel caso di specie, a mezzo stampa), presupposto imprescindibile per
l’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è la verità del fatto
storico posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, n. 7715 del
04/11/2014 – dep. 19/02/2015, Caldarola, Rv. 264064).
Ora, l’esclusione dei fatti da parte di una indagine interna non ha certo carattere
preclusivo ad un diverso accertamento. Ma il punto centrale è che la ricorrente
neppure deduce da quali elementi si dovrebbe desumere la verità del fatto
attribuita alla persona offesa.
Il secondo motivo è, del pari, inammissibile per manifesta infondatezza, dal
momento che il danno che è stato risarcito non scaturisce, secondo il razionale
apprezzamento del Tribunale, dalla mera indagine interna, ma dall’indagine
provocata dalla specifica accusa rivolta alla persona offesa. In definitiva, il
significato evidente del passaggio argomentativo è che l’attribuzione del fatto è
stata così da puntuale da generare l’attivazione di una procedura interna,
conclusasi, senza che la ricorrente si curi di indicarne carenze, con nessun
risultato. Ed è proprio tale specificità dell’addebito che giustifica il ristoro del
pregiudizio in favore della persona offesa.
Alla inammissibilità del ricorso consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma

1

fatto di essere stato sottoposto a tale indagine (secondo motivo).

in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si
stima equo determinare in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende. C ì deciso in data 20/03/2018

Giusep

estensore
arzo

Il Presidente
Steflano
k.

Il Consigli

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