Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1615 del 20/11/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1615 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) ALEO PIERLUIGI N. IL 23/07/1988
avverso la sentenza n. 256/2012 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di TERMINI IMERESE, del 12/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 20/11/2012

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 12 aprile 2012, resa ai sensi dell’art. 444 e ss. cod. proc.
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ha applicato, su richiesta delle parti, la pena di anni
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uno di reclusione, ad Aie° Pierluigi, imputato dei reati di cui all’art. 9, comma 2,

all’art. 116, comma 13, d.lgs. n. 285 del 1992 (capo b), commessi in Vicari
(Palermo) il 4 giugno 2011
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Aleo
tramite il difensore, il quale ha dedotto la violazione dell’art. 420 quater cod.
proc. pen. e l’omessa applicazione dell’art. 129 dello stesso codice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di entrambi i motivi.
La contumacia dell’Aie°, agli arresti domiciliari per altra causa, non è stata
illegittimamente dichiarata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, Infatti, l’imputato sottoposto ad
arresti domiciliari per altra causa, qualora intenda comparire in udienza, ha
l’onere di chiedere tempestivamente al giudice competente l’autorizzazione ad
allontanarsi dal domicilio per il tempo necessario, non essendo, in tal caso,
configurabile un obbligo dell’autorità giudiziaria procedente di disporne la
traduzione (Sez. 2, n. 21529 del 24/04/2008, dep. 28/05/2008, Rosato, Rv.
240107).
Nel caso in esame, come ammesso dallo stesso ricorrente, non risulta che
l’Aie° abbia manifestato la volontà di partecipare all’udienza, mentre ha
rilasciato al suo difensore procura speciale per concordare con il pubblico
ministero la pena da richiedere al giudice, manifestando in tal modo la volontà
di partecipare al processo tramite il difensore.
Quanto alla denunciata violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., va premesso
che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si accordano
sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di
circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati
aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo aver

della legge n. 1423 del 1956, con la recidiva infraquinquennale (capo a); e

accertato che non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità
previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne consegue che -una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena
ex art. 444 cod. proc. pen.- l’imputato non può rimettere in discussione profili
oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché essi sono coperti dal
pattegg ia mento.
Tanto premesso, la Corte osserva che il giudice, nell’applicare la pena
intervenuto fra le parti, apprezzando la congruità della pena pattuita, tenuto
conto della contestata recidiva infraquinquennale; e, dall’altro, ha escluso la
sussistenza dei presupposti di cui all’art.129 cod. proc. pen., alla stregua degli
atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero richiamati in sentenza.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente
adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre, Sez. U, n. 5777 del
27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv. 191134 e 191135; Sez. U, n.
10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n.
11493 del 24/06/1998, dep. 03/11/1998, Verga, Rv. 211468).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione
pecuniaria, che si stima equo determinare in euro millecinquecento.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 20 novembre 2012.

concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto nell’accordo

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