Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16140 del 01/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16140 Anno 2016
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’URBANO ANDREA N. IL 06/04/1977
nei confronti di:
DI BIASE GIULIANO N. IL 08/04/1961
avverso la sentenza n. 3668/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 18/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
Udito il Procura
enerale in pers
ott.
che ha c

Udito, per la part
Ud. •ifensor

Avv.

Avv

Data Udienza: 01/04/2016

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. L. Birritteri, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Uditi
altresì per la parte civile l’avv. E. lezzi, in sostituzione dell’avv. A. Cinanni, che
ha concluso per l’accoglimento del ricorso e, per Di Biase, l’avv. D. Martino, in
sostituzione dell’avv. G. Martino, che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto
del ricorso.

1. Con sentenza deliberata in data 15/04/2010, il Tribunale di Chieti aveva
dichiarato Di Biase Giuliano colpevole del reato di lesioni gravi in danno di
D’Urbano Andrea, condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei
danni in favore della parte civile. Investita dell’appello dell’imputato, la Corte di
appello di L’Aquila, con sentenza del 18/12/2013, ha assolto Di Biase Giuliano
per non aver commesso il fatto.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di L’Aquila ha proposto
ricorso per cassazione la parte civile D’Urbano Andrea, attraverso il difensore e
procuratore speciale avv. A. Cinanni, denunciando – nei termini di seguito
enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – vizi di
motivazione.
All’udienza di discussione del secondo grado tenutasi il 18/12/2013 era
decorso il termine di prescrizione, sicché il giudice di appello sarebbe stato
legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione solo in caso di evidenza della
prova di innocenza, laddove la Corte di appello si è pronunciata a norma del
comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen.
Erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che, nel procedimento a
carico dell’odierna parte civile – conclusosi con sentenza di condanna in primo
grado e di declaratoria di prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, in
appello – si sia accertato che D’Urbano ha colpito Jonathan Di Biase e che
Giuliano Di Biase era intervenuto solo in aiuto del figlio, in quanto dall’istruttoria
svolta nel procedimento “parallelo” si è accertato che le lesioni subite da
D’Urbano non potevano essere scriminate dalle lesioni subite da quest’ultimo a
causa del pugno infertogli da Giuliano Di Biase. I giudici del procedimento a
carico dell’odierna persona offesa non hanno dato una diversa ricostruzione del
litigio, tanto più che i testi sentiti nei due procedimenti erano gli stessi e nessun
contrasto poteva esserci nelle rispettive dichiarazioni.
La sentenza impugnata ha confuso le diverse fasi, che videro prima un litigio
solo verbale tra Jonathan Di Biase e Andrea D’Urbano, poi l’intervento
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RITENUTO IN FATTO

ingiustificato e sproporzionato di Giuliano Di Biase (padre di Jonathan), che colpì
D’Urbano con un pugno all’occhio, e, infine, una terza fase in cui i due giovani si
scontrarono con conseguente lesioni procurate da D’Urbano a Jonathan Di Biase.
Nel procedimento a carico di D’Urbano non è mai stato posto in dubbio che le
lesioni da questi patite fossero state causate dal pugno di Giuliano Di Biase.
La Corte di appello ha erroneamente valutato le dichiarazioni del consulente
tecnico Iungano, il quale ha affermato che le lesioni subite dalla persona offesa
erano derivate da un pugno sferrato con movimento di slancio e non tra corpi

“orizzontale” con il termine “frontale”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato, nei termini di seguito indicati.
La doglianza incentrata sulla mancata declaratoria di estinzione del reato per
prescrizione è infondata: come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte,
all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o
insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di
una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una
causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della
parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga
infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di
assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc.
pen. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv.
244273), ipotesi, quella della valutazione agli effetti civili, che ricorre nel caso di
specie.
Le ulteriori censure relative, in sintesi, a vizi motivazionali della sentenza
impugnata meritano, invece, accoglimento, nei termini qui specificati. Sul punto,
giova, in premessa, ribadire che, in tema di motivazione della sentenza, il
giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo
grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base
di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno
del decisum

impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne

giustificano la riforma (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014 – dep. 03/12/2014, P.C.
in proc. Fu e altri, Rv. 261327). Ciò premesso, la sentenza di primo grado aveva
valorizzato, nella prospettiva del giudizio di colpevolezza di Giuliano Di Biase (e,
in particolare, della ricostruzione che ha visto lo stesso imputato colpire con un
pugno D’Urbano), una pluralità di convergenti dichiarazioni e, segnatamente, le
testimonianze di Luciano Di Giamberardino, Andrea Di Muzio, Riccardo Iacone,

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ravvicinati, laddove la sentenza impugnata ha confuso il riferimento al termine

nonché la deposizione dell’addetta al bar in cui si svolsero i fatti Maria Conti. A
fronte della pluralità dei dati probatori richiamati dal primo giudice, la sentenza
di appello si è limitata a rilevare che le circostanze accertate nel presente
processo e in quello a carico di D’Urbano sono del tutto contrastanti, richiamando
le dichiarazioni dei testi escussi nel processo in esame che hanno deposto anche
nell’altro processo riferendo circostanze del tutto difformi: nei termini
sintetizzati, la Corte distrettuale ha omesso la specifica ricostruzione delle varie
testimonianze acquisite nell’ambito del processo a carico dell’odierna parte civile

ad inficiare la valutazione del compendio probatorio compiuta dalla sentenza di
primo grado. Sussiste, dunque, il vizio motivazionale denunciato, conclusione,
questa, estensibile anche al rilievo della sentenza impugnata circa la
ricostruzione del consulente in ordine alla posizione dell’autore del pugno che ha
colpito D’Urbano: la Corte di appello, infatti, non ha offerto puntuale motivazione
circa le ragioni per le quali il fatto che il pugno sia stato sferrato in “orizzontale
rispetto al pavimento orbitario” sia incompatibile con la ricostruzione del primo
giudice secondo cui l’imputato aveva colpito la persona offesa “dalla posizione
lateroposteriore”.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti
civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per
valore in grado di appello.
Così deciso il 01/04/2016.

e la puntuale esposizione delle ragioni per le quali esse siano da ritenersi idonee

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