Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16139 del 10/01/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16139 Anno 2018
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Belcastro Giovanni, nato a Pisa il 07/05/1972

avverso la sentenza del 10/02/2016 della Corte militare di appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi
Maria Flamini, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata limitatamente alla omessa valutazione dell’attenuante della
provocazione, con rigetto del ricorso nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 maggio 2015 il Tribunale militare di Verona ha
dichiarato Giovanni Belcastro, maresciallo capo in servizio presso il Nucleo
antisofisticazione e sanità dei Carabinieri di Genova, responsabile dei reato di
minaccia e ingiuria a inferiore continuata e aggravata, di cui agli artt. 81,

Data Udienza: 10/01/2017

secondo comma, cod. pen., 47 n. 4 e 196, primo e secondo comma, cod. pen.
mit. pace, e lo ha condannato, nel concorso delle circostanze attenuanti
generiche, dell’attenuante del militare di ottima condotta (art. 48, ultimo
comma, cod. pen. mil . pace) e di quella dei modi non convenienti usati da altro
militare (art. 48, primo comma, n. 3 cod. pen. mil . pace), prevalenti sulle
contestate circostanze aggravanti, alla pena di mesi due e giorni cinque di
reclusione militare, concedendo allo stesso i benefici di cui agii artt. 163 e 175
cod. pen. mil . pace.

confronti di Girolamo Meledina, appuntato scelto presso il medesimo Nucleo, in
ordine ai reati di diffamazione e di minaccia, di cui agli artt. 227 e 229 cod. pen.
mil . pace, così riqualificati i fatti di reato contestati, per difetto della condizione
di procedibilità, rappresentata dalla richiesta di procedimento penale.

2. Con sentenza del 10 febbraio 2016 la Corte militare dì appello di Roma, in
parziale riforma della sentenza impugnata, che ha confermato nel resto, ha
assolto Girolamo Meledina, per insussistenza del fatto, dal reato di minaccia.

3. Secondo la ricostruzione dei fatti operata con la sentenza di primo grado,
l’appuntato Girolamo Meledina il 5 marzo 2014 era stato convocato nell’ufficio del
maresciallo Giovanni Belcastro per avere chiesto al comandante Francesco Enrico
Pala di potersi assentare per recarsi presso un’officina e il detto Belcastro per
l’autorizzazione concessa doveva sostituirlo nei servizio di piantone.
Belcastro aveva rivolto all’inferiore le frasi riportate in imputazione, con
evidente riferimento al fatto che sia il detto inferiore sia il comandante Pala
erano di origini sarde, e Meledina aveva risposto pronunciando a sua volta le
frasi pure indicate in imputazione.
Il Tribunale, che aveva dato conto, riportandone i contenuti, della
deposizione del teste maresciallo capo Giovanni Ottonello, unico presente, dei
testi Giuliani, Moro, Bracco, Loglisci, Reitano, Vanesio e Mannina, che, pur non
presenti in ufficio, avevano potuto ascoltare, essendo nelle immediate vicinanze,
le frasi pronunciate ad alta voce, e dei testi Volpe, Bochicchio e Traven, che
erano all’esterno dell’ufficio, aveva individuato due momenti della vicenda, nel
primo dei quali erano state pronunciate alcune espressioni (consistite in
lamentele concernenti la mancata esistenza di un rapporto di parentela) da
Meledina, che aveva pronunciate le altre solo dopo essere uscito dall’ufficio e
mentre si allontanava, senza che rilevassero in contrario le dichiarazioni del teste
Annbrosino, e aveva ritenuto sussistenti i fatti, che, riqualificati quanto a
Meledina, erano stati ritenuti correttamente qualificati nei confronti di Belcastro,

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Con la stessa sentenza il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei

poiché le espressioni usate, che fondate su ragioni di servizio, erano
intrinsecamente offensive dell’onore del destinatario e avevano valenza
intimidatoria.

4. La Corte di appello, richiamata analiticamente la vicenda processuale e
illustrate le censure svolte con gli atti di appello, rilevava, a ragione della
decisione, che:
– le espressioni contestate agli imputati avevano trovato la loro causa, e non

dipendenza diretta e univoca tra l’azione di Belcastro e la predisposizione del
turno di servizio e tra il richiamo fatto a Meledina dai superiore e la
predisposizione del detto turno;
– le espressioni profferite da Meledina erano state rivolte al superiore,
mentre egli si stava allontanando, come sfogo conseguente alle offese e alle
minacce ricevute dal superiore e la loro percezione da parte di terzi era stata
correttamente posta a base della operata riqualificazione come diffamazione del
reato contestato di insubordinazione con ingiuria;
– quanto al reato di insubordinazione con minaccia, la riqualificazione del
reato in minaccia, operata dal Tribunale, pur non condivisibile, non poteva essere
modificata, in mancanza di impugnazione sul punto, per l’assorbente rilievo che
da detta imputazione l’imputato Meledina doveva essere assolto per non essere
emersi elementi idonei ad affermare che la minaccia profferita dallo stesso fosse
stata percepita da Belcastro, avuto riguardo alle dichiarazioni dei testi presenti,
non superate da quelle implicitamente contrarie dei testi Volpe, Bochicchio e
Traven;
– dette ultime dichiarazioni, in particolare, erano state contraddette in modo
esplicito da numerosi altri testi, meglio posizionati sin dall’inizio della
discussione, oltre a essere state rese da testi sopraggiunti dall’esterno quando la
discussione tra Belcastro e Meledina stava già terminando e Meledina si stava
allontanando, senza che i testi avessero riferito di avere ragioni per andare
nell’ufficio di Belcastro;
– tali considerazioni giustificavano anche il rigetto dell’appello di Belcastro
con riguardo al motivo prospettato circa la illogicità della motivazione, non
avendo mai il Tribunale dubitato della riconducibilità dei fatti contestati a ragioni
di servizio e disciplina e con riguardo alla dedotta inattendibilità dei testi Volpe e
Bochicchio, mentre tutti i testi avevano concordemente confermato di avere
udito le espressioni pronunciate dall’imputato;
– neppure era fondato il motivo di appello prospettato dall’appellante
Belcastro con riferimento alla mancata valutazione della particolare tenuità dei

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una semplice occasione, in ragioni direttamente connesse al servizio, per la

fatti, sotto il profilo della mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 171
n. 2 cod. pen. mil . pace e sotto il profilo della mancata applicazione dell’art. 131bis cod. pen., non potendo ritenersi blanda l’offesa recata agli interessi protetti,
perché rivolta a più persone (superiore e inferiore), perché del tutto infondata e
perché accompagnata da un comportamento minaccioso;
– non era applicabile l’attenuante di cui all’art. 171 n. 3 cod. pen. mil . pace,
concernente esplicitamente le diverse ipotesi delittuose di cui agii artt. 168 e 169
cod. pen. mil . pace;

servizio e alla disciplina militare seguiva l’assorbimento di ogni questione posta
dall’appellante con riferimento all’applicabilità delle esimenti della ritorsione e
della provocazione, attinenti solo alla non ricorrente ipotesi di ingiuria di cui
all’art. 226 cod. pen. mil . pace.

5. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione,
con il ministero del suo difensore avvocato Paolo Campagna, l’imputato che ne
chiede l’annullamento sulla base di quattro motivi, la cui disamina ha fatto
precedere da un preliminare richiamo alla vicenda processuale, dalla deduzione
dei suo giusto inquadramento all’interno della giustizia penale ordinaria per la
tendenziale smilitarizzazione del reparto ad alta specializzazione di
appartenenza, dalla deduzione della sopravvenuta depenalizzazione del reato di
ingiuria e sua consequenziale assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla
legge come reato, salvo ritenere una competenza diversa e meramente
amministrativa.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione del disposto dell’art.
606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per avere la Corte di appello
erroneamente e immotivatamente apprezzato, reinterpretato e valutato le
testimonianze dei deponenti Volpe, Bochicchìo e Traven (udienza 14 aprile 2015)
e per avere del tutto omesso di considerare, valutare e commentare la
deposizione e le dichiarazioni del teste Ambrosino (udienza 20 maggio 2015), al
fine dell’accertamento della reciprocità delle offese tra esso ricorrente e
Meledina, delle esimenti di cui all’art. 228 cod. pen. mil . pace (ritorsione e
provocazione) e/o delle attenuanti di cui all’art. 198 cod. pen. mil . pace.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione del disposto
dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per avere la Corte di
appello erroneamente e immotivatamente applicato alla fattispecie il disposto di
cui all’art. 196, primo e secondo comma, cod. pen. mil . pace, senza l’attenuante
di cui al successivo art. 198, in luogo del disposto dell’art. 226 e
dell’attenuante/esimente di cui all’art. 228 stesso codice, poiché:

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– alla riferibilità delle condotte contestate a Belcastro a cause attinenti al

- non è stata mai integrata né seriamente percepita alcuna minaccia in
danno di Meledina, che, dopo la lite, del tutto indifferente al monito ricevuto (o
semplicemente preteso), aveva lasciato anticipatamente il posto di lavoro e si
era recato dal meccanico per ritirare la propria autovettura privata, rientrando in
ufficio e terminando la giornata lavorativa;
– i fatti sono rimasti estranei a qualunque causa di servizio effettivo,
dovendo invece attribuirsi a ragioni e motivazioni comportamentali di buona eio
cattiva educazione e di costume, mentre egli nell’occasione non era in alcun

ragioni di servizio o incarico, potendo solo rimarcargli un comportamento e una
condotta «sociale», e non di per sé « militare», di deprecabile lassismo.
5.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione del disposto dell’art.
606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per avere la Corte di appello
erroneamente e immotivatamente omesso di considerare e valutare i rilievi e le
eccezioni di non punibilità e di improcedibilità per particolare tenuità del fatto, di
intervenuta/sopravvenuta depenalizzazione del reato di ingiuria, salvo
contestuale/conseguente opinamento in termini di competenza diversa e
meramente amministrativa.
5.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole – affatto immotivatamente della condanna al pagamento delle spese processuali « vuoi per il primo che per
il secondo grado di giudizio ».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, parzialmente fondato, deve essere accolto nei limiti che
saranno precisati.

2. Si deve, innanzitutto, rilevare, per ordine logico, la infondatezza dei rilievi
svolti dal ricorrente con il secondo motivo, attinenti alla ribadita estraneità dei
fatti a qualsiasi causa di servizio militare.
2.1. Si rileva in diritto che la norma incriminatrice dei reati ascritti,
contenuta nell’art. 196 cod. pen. mil . pace, è inserita nel capo quarto del detto
codice militare, cui si riferisce, tra le altre richiamate disposizioni, il successivo
art. 199, alla cui stregua, nel testo novellato dall’art. 9 legge n. 689 del 1985,
«le disposizioni dei capi terzo e quarto non si applicano quando alcuno dei fatti
da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina
militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si
trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare».

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preposto/preordinato a Meledina e non doveva, né poteva, dargli ordini per

Questa Corte, superando un diverso precedente indirizzo (Sez. 1, n. 13214
del 12/07/1989, De Tommasi, Rv. 182202), ha affermato, avendo riguardo alla
ratio dei reati contro la disciplina militare, la cui oggettività giuridica va
individuata nella tutela degli interessi inerenti a tale disciplina, intesa quale
«regola fondamentale dei cittadini alle armi» (art. 2 Reg. disc. mil . approvato
con D.P.R. n. 545 del 1986), che i fatti di violenza, minaccia e ingiuria commessi
tra militari non integrano i reati di cui agli artt. 195 e 196 cod. pen. mil . pace,
allorché risultino collegati in modo del tutto estrinseco all’area degli interessi

ragione determinante, ponendosi con questi in rapporto di semplice
occasionalità, a nulla rilevando che essi si siano svolti all’interno di una struttura
militare, risolvendosi, diversamente, tale circostanza nella indebita valorizzazione
di una mera coincidenza topografica, in contrasto con la sentenza n. 22 del 1991
della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art.
199 stesso codice limitatamente alle parole «o in luoghi militari» (Sez. 1, n.
41703 del 08/10/2002, RG. in proc. Murino, Rv. 223064).
L’indicato principio è stato ribadito, in base a una interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 199 cod. pen. mil . pace (ordinanza Corte
cost. n. 367 dei 2001), da questa Corte, che ha affermato in più occasioni che la
minaccia o l’offesa all’onore di un superiore (art. 189 cod. pen. mil . pace) e la
minaccia o l’offesa all’onore di un inferiore (art. 196 cod. pen. mil . pace), rivolte
dal militare appartenente alle Forze armate al di fuori dell’attività di servizio
attivo e non obiettivamente correlate all’area degli interessi connessi alla tutela
della disciplina, rientrano nella clausola di esclusione del reato di
insubordinazione ovvero del reato di ingiuria a inferiore, prevista dall’art. 199
cod. pen. mil . pace per essere «cause estranee al servizio e alla disciplina
militare» (tra le altre, Sez. 1, n. 16413 del 03/03/2005, Andresini, Rv. 231573;
Sez. 1, n. 19425 del 05/05/2008, Carofalo, Rv. 240286; Sez. 1, n. 1429 del
17/12/2008, dep. 2009, P.C. in proc. Ciuchetti, Rv. 242481; Sez. 1, n. 8495 del
28/09/2012, dep. 2013, RG. mil . in proc. Pozzani, Rv. 2549239)
2.2. Di detti condivisi, e qui riaffermati, principi si sono fatte esatta
interpretazione e corretta applicazione.
La Corte militare di appello, invero, confermando la sentenza di primo grado
che aveva rimarcato il sicuro collegamento dei fatti a questioni attinenti al
servizio per avere l’imputato Beicastro apostrofato pesantemente Meledina «in
relazione alle modifiche dei turni di servizio dallo stesso sollecitate […]
soprattutto in quanto inferiore […] tenuto anche conto del contesto in cui sono
state pronunciate», ha logicamente rappresentato – procedendo al contestuale
esame della posizione del coimputato Meledina e ripercorrendo, a fronte delle

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connessi alla tutela del servizio e della disciplina militare, che ne costituiscono la

deduzioni e osservazioni difensive, la condotta di Belcastro a partire dalla sua
decisione di convocare il detto sottoposto per le conosciute modifiche dei turni di
servizio che coinvolgevano entrambi ma in suo danno – che le espressioni dallo
stesso usate, implicanti la contestazione al suo interlocutore di rapporti
preferenziali, a base delle modifiche, con il superiore Pala, riconducibili, a suo
dire, alla loro identica provenienza territoriale, avevano trovato incontestabile
causa, e non semplice occasione, al pari di quelle contestate al ridetto Meledina,
in ragioni direttamente connesse al servizio per essere univoca e diretta la

2.3. Si tratta di argomenti esenti da vizi logici e giuridici, che resistono alle
opposte obiezioni e deduzioni del ricorrente, che, senza contestare il fatto, sì
come correlato – nella prospettazione accusatoria e nelle concordanti decisioni di
merito – alle modifiche dei turni di servizio, tende a spostare l’attenzione sulle
ragioni private, sottese da Meledina alla sollecitata modifica del turno, e sulle
motivazioni comportamentali, sottese alla condotta tenuta da Beicastro, laddove
assume rilievo decisivo la circostanza che detta condotta, trascesa come
esplicatasi nell’illecito penale, è stata tenuta dal ricorrente, superiore di grado
rispetto a Medelina, per ragioni affatto estrinseche all’area degli interessi
connessi alla tutela dei servizio militare, regolamentato da previste turnazioni.

3. Alla ritenuta corretta qualificazione giuridica dei fatti e, quindi, alla loro
riconduzione nella fattispecie contestata in termini di «minaccia e ingiuria ad
inferiore», ex art. 196, primo e secondo comma, cod. pen. mil . pace, segue,
come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, il superamento di ogni
questione, relativa all’applicabilità delle invocate esimenti della ritorsione e della
provocazione, previste dall’art. 228 cod. pen. mil . pace in relazione a specificati
titoli di reato, e, segnatamente, ai fatti preveduti dall’art. 226 cod. pen. mil .
pace, quanto a entrambe le esimenti, ovvero dall’art. 227 cod. pen. mil . pace,
quanto alla seconda esimente.
Non ha, pertanto, fondamento il primo motivo del ricorso, che attinge la
sentenza impugnata sotto i concorrenti profili della violazione di legge e del vizio
di motivazione in ordine all’operato apprezzamento degli apporti dichiarativi dei
testi Volpe, Bochìcchio e Traven e all’omesso apprezzamento della deposizione
del teste Ambrosino, laddove gli uni e l’altra sono funzionali, nella
rappresentazione fatta in ricorso, all’accertamento della reciprocità delle offese
tra l’imputato e il coimputato Meledina, e quindi delle esimenti della ritorsione e
della provocazione di cui all’art. 228 cod. pen. mil . pace, non configurabili per
previsione normativa in relazione al reato ascritto.

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dipendenza tra l’azione del militare e l’attività di servizio.

4. Neppure ha pregio l’allegazione difensiva, inserita nel secondo motivo,
secondo cui non si è integrata la minaccia di cui all’art. 196 cod. pen. mil . pace
per non essere stata efficiente, in quanto non seriamente percepita in danno di
Meledina, che, «dopo la lite», era rimasto del tutto indifferente al «monito
ricevuto (o solamente preteso)», allontanandosi per ritirare la propria
autovettura dal meccanico e rientrando in ufficio prima della chiusura della
giornata lavorativa.
Giova in proposito considerare che, in relazione al delitto di minaccia p. e p.

danno ») – per costante condivisa giurisprudenza – non è necessario, ai fini della
integrazione della previsione delittuosa, che il soggetto passivo si sia sentito
effettivamente intimidito, in quanto è sufficiente che la condotta posta in essere
dall’agente sia potenzialmente idonea a incidere sulla libertà morale del soggetto
passivo (in tal senso, tra le altre, Sez. 1, n. 44128 del 03/05/2016,
Nino, Rv. 268289; Sez. 5, n. 644 dei 06/11/2013, dep. 2014,13., Rv. 257951).
Orbene, in considerazione degli elementi strutturali e dell’oggetto giuridico
della fattispecie, il medesimo principio dì diritto merita di trovare applicazione
con riferimento al reato militare di minaccia a un inferiore, previsto dall’art. 196,
primo comma, cod. pen. mil . pace (« Il militare, che minaccia un inferiore, in sua
presenza […] »).

5. Priva di fondamento è anche la deduzione di intervenuta depenalizzazione
del reato di ingiuria, avendo riguardato i d.lgs. n. 7 e n. 8 del 2016 l’ingiuria
prevista dall’art. 594 cod. pen., senza incidere sulla diversa fattispecie, qui
contestata e ritenuta, prevista dal codice penale militare di pace.

6. – Inammissibile, per carenza del requisito della specificità dei motivi, è la
censura, formulata ccol l’ultimo mezzo di gravame, per la (conferma della)
condanna al pagamento delle spese del spese del giudizio di primo grado,
doverosamente pronunciata dal Tribunale militare, ai sensi dell’art. 535, comma
1, cod. proc. pen. .
Mentre, per quanto riguarda il giudizo di appello, la relativa questione risulta
assorbita in esito all’accoglimento (v. infra il pargrafo che segue) del motivo
concernente la attenuante della provocazione.

7. Il ricorso è, invece, fondato nella parte in cui il ricorrente ha comunque
invocato la provocazione, sia pure rappresentandola nelle sue difese come
esimente e richiamando con il ricorso, ma sulla base della già contestata
esaustività dell’apprezzamento e della valutazione degli apporti testimoniali, il

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dall’art. 612, primo comma, cod. pen. (« Chiunque minaccia ad altri un ingiusto

disposto dell’art. 198 cod. pen. mil . pace, che prevede la provocazione come
attenuante «se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli precedenti è commesso
nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto dell’inferiore, e subito dopo di
esso, o subito dopo che il superiore ne ha avuto notizia».
7.1. Una valutazione della provocazione come attenuante è, invece, del tutto
mancata nella sentenza impugnata, che, astraendo da uno specifico confronto
con le ragioni dedotte dall’appellante e con le emergenze probatorie consegnate
dal primo Giudice (quale quella relativa alla testimonianza Ambrosino), si è

provocazione alla sola ipotesi di ingiuria di cui al, non applicabile, art. 226 cod.
pen. mil . pace, era assorbita ogni questione posta dall’appellante Belcastro con
riferimento alla loro applicabilità.
7.2. Si impone, pertanto, un nuovo giudizio sul punto, cui dovrà conseguire
anche una riconsiderazione della esclusa tenuità del fatto in relazione all’art.
131-bis cod. pen., riferita in sentenza alle modalità e circostanze che avevano
caratterizzato la condotta dell’imputato, che qui si ritiene oggetto di rivisitazione.
Segue l’annullamento della sentenza impugnata sul punto.

8. Rigettandosi per il resto il ricorso, va disposto, pertanto, in conseguenza
dell’indicato parziale annullamento, il rinvio degli atti ad altra sezione della Corte
militare di appello per nuovo giudizio sul punto pertinente all’attenuante della
provocazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente all’attenuante della
provocazione, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte
militare di appello.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 10/01/2017

limitata a rilevare che, per l’attinenza delle esimenti della ritorsione e della

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