Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16134 del 24/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16134 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Miglietta Serafino, nato a Trepuzzi, il 2/3/1950;

avverso la sentenza del 13/2/2015 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stefano
Tocci, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente alla pena;
udito per l’imputato l’avv. Francesco Vergine, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Lecce ha confermato la condanna di
Miglietta Serafino per il reato di lesioni personali volontarie commesso ai danni di

Data Udienza: 24/02/2016

Tafuro Cosimo, il quale si fratturava il braccio a seguito di una caduta causata
dall’imputato.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi. Con il primo deduce vizi della motivazione in merito alla ritenuta acquisizione
della prova della responsabilità dell’imputato avendo la Corte territoriale omesso di
svolgere la necessaria verifica dell’attendibilità della persona offesa alla luce delle
contraddizioni segnalate con il gravame di merito tra la sua deposizione e quanto dalla

penale e vizi della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità
tra l’evento lesivo e la condotta imputabile al Miglietta. Analoghi vizi vengono infine
dedotti con il terzo motivo in merito alla denegata concessione delle invocate
attenuanti generiche.
3. Con motivi nuovi proposti il 21 gennaio 2016 la difesa eccepisce l’intervenuta
remissione della querela a seguito di transazione intervenuta tra le parti e comunque la
sopravvenuta prescrizione del reato, chiedendo in subordine il riconoscimento della non
punibilità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato e generico. La Corte territoriale ha
infatti svolto ampia e argomentata verifica dell’attendibilità della persona offesa
costituita parte civile, rilevando come il suo racconto avesse trovato precisi riscontri
nelle dichiarazioni dei testimoni assunti nel dibattimento, provvedendo altresì a
confutare specificamente le obiezioni sollevate con il gravame di merito sul punto. Il
ricorso non si confronta in alcun modo con tale articolato apparato giustificativo,
limitandosi a lamentare – per l’appunto infondatamente – il difetto di tale verifica e
prospettando che i giudici dell’appello avrebbero trascurato una ulteriore contraddizione
tra quanto narrato dal Tafuro in dibattimento e quanto precedentemente illustrato nella
sua querela, doglianza evidentemente inammissibile in difetto di qualsiasi indicazione
sulle modalità attraverso cui la querela avrebbe fatto ingresso nel patrimonio
probatorio del processo, che dalla sentenza non risulta essere avvenuto. Deve infatti
ricordarsi come la querela venga inserita nel fascicolo per il dibattimento ai soli fini
dell’accertamento della procedibilità dell’azione penale e come da essa, pertanto, il
giudice non possa trarre elementi di convincimento ai fini della ricostruzione storica
della vicenda, a meno che le parti non abbiano acconsentito alla sua lettura anche ai

stessa riferito in querela. Con il secondo denunzia errata applicazione della legge

fini della prova del fatto di reato (Sez. 2, n. 11691/12 del 9 dicembre 2011, Marchetti e
altri, Rv. 252795).
3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo. Il ricorrente non mette in
dubbio che la caduta del Tafuro trovi il suo antecedente causale nella spinta del
Miglietta, ma obietta che l’entità delle lesioni seguite all’impatto con il suolo debba
essere imputato alla fragilità ossea della persona offesa, desunta esclusivamente dalla
sua età avanzata. All’evidenza quello che viene posto non è un problema di causalità,

allo stesso delle lesioni in astratto e si è rivelato tale anche in concreto. E’ dunque
irrilevante, ai fini dell’accertamento del nesso causale, che l’entità delle conseguenze
dell’azione illecita sia eventualmente stato amplificato da concause indipendenti
preesistenti o concorrenti come quelle evocate nel ricorso, atteso che ai sensi dell’art.
41 c.p. ciò non interrompe il nesso tra condotta ed evento. Né può ritenersi che la
presunta “fragilità ossea” della persona offesa sia stata di per sé sufficiente a
determinare tale evento così come configuratosi, atteso che siffatta conclusione – a
tacer d’altro – presupporrebbe la prova dell’effettiva fragilità ossea del Tafuro e,
soprattutto, che questa abbia determinato una qualche efficienza causale nella
determinazione delle conseguenze subite dal medesimo. Condizione questa sulla quale
il ricorrente non ha fornito indicazione alcuna, tanto più che nell’evocare la presunta
notorietà della fragilità ossea delle persone anziane – invero, così come prospettato, un
mero paralogismo – nemmeno si è peritato di precisare quale sarebbe stata l’età del
suddetto Tafuro all’epoca dei fatti. Non di meno il ricorrente, nel formulare la censura,
nemmeno si accorge che se la presunta massima d’esperienza che dovrebbe garantire
copertura al suo ragionamento fosse effettivamente formulabile, dovrebbe allora
convenirsi che anche l’imputato, nel momento in cui ha spinto la sua vittima, era in
grado di rendersi conto della possibile amplificazione delle conseguenze della caduta in
ragione della sua età.
4. Inammissibile è anche il terzo motivo, che si traduce nella sollecitazione a questa
Corte di una nuova valutazione del merito della decisione attinente al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche, che, per stessa ammissione del ricorrente,
la Corte territoriale ha motivato. Né può ritenersi manifestamente illogico, a fronte
dell’irrogazione di una pena assai vicina al limite minimo edittale, considerare – come
ha fatto la sentenza impugnata – i precedenti penali dell’imputato, seppure aspecifici e
risalenti, e la sproporzione della sua reazione al litigio insorto con la persona offesa
condizioni idonee ad escludere qualsivoglia necessità di adeguamento del trattamento
sanzionatorio.

atteso che determinare la caduta di qualcuno è certamente mezzo idoneo a cagionare

5. Venendo ai c.d. motivi nuovi, irrilevante è l’intervenuta remissione della querela,
atteso che il reato è procedibile d’ufficio poichè le lesioni per cui è intervenuta
condanna hanno comportato una malattia di durata superiore ai venti giorni. Quanto
alla invocata prescrizione, deve rilevarsi come nella stessa prospettazione del ricorrente
il relativo termine si sarebbe compiuto successivamente alla pronunzia della sentenza
impugnata (in realtà i periodi di sospensione emergenti dagli atti sono ben di più di
quelli calcolati dal ricorrente, ammontando a complessivi anni uno e giorni nove, il che
comporta che il suddetto termine non è invece ancora maturato). Escluso, dunque, che
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pokkto

va rilevato che neppure y e5sere dichiarata d’ufficio in questa sede, ostandovi la
inammissibilità del ricorso conseguente alla genericità e manifesta infondatezza dei
motivi dedotti. La oramai consolidata e qui condivisa giurisprudenza di questa Corte
afferma, infatti, che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di
non punibilità a norma dell’articolo 129 c.p.p.

(ex multis Sez. Un. n. 32 del 22

novembre 2000, De Luca, rv 217266). E per le medesime ragioni è inammissibile,
infine, anche la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., giacchè la mancata
instaurazione di un valido rapporto di impugnazione preclude parimenti la possibilità di
rilevare e dichiarare l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto (Sez.
F, n. 40152 del 18 agosto 2015, Vece, Rv. 264573; Sez. 3, n. 34932 del 24 giugno
2015, Elia, Rv. 264160).
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/2/2016

l’estinzione del reato per prescrizione potesse essere dichiarata nel giudizio di merito,

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