Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16126 del 03/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16126 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

Data Udienza: 03/02/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Salvatore Luigi, nato a Lanciano il 17/02/1986

avverso la sentenza emessa il 25/09/2014 dalla Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Gerardo Brasile, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Luigi Salvatore ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa nei confronti del suo

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assistito, in data 11/04/2013, dal Tribunale di Lanciano.

L’imputato risulta

essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per i delitti di sequestro di
persona, lesioni dolose ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, riqualificando

ex art. 393 cod. pen. un originario addebito di tentata estorsione: reati, in
ipotesi, commessi in danno di Matteo Di Cannpli.
I fatti si riferiscono a condotte che il Salvatore avrebbe posto in essere, in
concorso con altri soggetti, a seguito del furto di un ciclomotore, che l’odierno
ricorrente ed i suoi complici ritenevano fosse stato commesso dal Di Campli:

un luogo isolato e picchiato, onde costringerlo a confessare il furto de quo o
comunque a corrispondere la somma di 500,00 euro.
Con l’odierno ricorso, il difensore dell’imputato deduce:

vizi di motivazione della sentenza impugnata
Nell’interesse del Salvatore si rappresenta che la Corte territoriale
avrebbe dovuto ricomprendere nell’alveo della ragion fattasi tutti i
comportamenti in rubrica, occorsi in un unitario ed episodico contesto;
muovendo dal presupposto che il delitto ex art. 605 cod. pen. sarebbe
stato realizzato solo spingendo da tergo il Di Cannpli, al fine di farlo salire
sull’autovettura, la difesa fa osservare che «non si vede come,
dal’esercizio di un pur soggettivamente ritenuto diritto di autogiustizia,
debba esulare una non precisata e leggera spinta, che sarebbe stata
posta in essere, peraltro, non autonomamente dall’imputato ma nel
contesto della partecipazione ad una sorta di “crociata giustizialista”
organizzata da altri»

– erronea applicazione della legge penale
La tesi del ricorrente è che la sua responsabilità per il delitto di cui all’art.
582 cod. pen. avrebbe dovuto escludersi: il Salvatore, come apertamente
rilevato dai giudici di merito, si limitò a schiaffeggiare il Di Campli, mentre
furono altri ad utilizzare un corpo contundente, unico strumento idoneo a
procurare alla vittima le lesioni riscontrate sulla sua persona.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza delle
doglianze proposte.
1.1 Già prendendo atto della descrizione degli addebiti sul piano materiale,
come desumibile dalla mera lettura della rubrica, emerge con chiarezza
l’impossibilità di ravvisare nei fatti contestati il solo reato di esercizio arbitrario

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quest’ultimo sarebbe stato costretto a salire su un’autovettura, quindi portato in

delle proprie ragioni, con violenza alle persone.

Infatti, anche in termini di

scansione cronologica degli accadimenti, il Di Campli fu prima costretto a salire
in una vettura e portato in un luogo appartato, certamente contro la sua volontà;
quindi, fu colpito con calci e pugni, oltre che attinto con un pezzo di legno e, nel
medesimo contesto, gli venne richiesto di confessare la propria responsabilità sul
precedente furto e/o di consegnare la somma di 500,00 euro. Si trattò, dunque,
di condotte ben distinte, in rapporto – semmai – di strumentalità, non a caso
richiamata, sia pure con riguardo al solo capo A), attraverso la contestazione

impossibile ritenere assorbite l’una nell’altra.
Vero è che, nel capo d’imputazione sub C), si legge che il comportamento
assunto (anche) dal Salvatore ed inizialmente qualificato ex artt. 56, 610 e 629
cod. pen. venne realizzato “mediante la violenza consistita nel reato di cui al
capo B” (descrittivo dell’addebito di lesioni personali); è tuttavia pacifico che
«nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni restano assorbiti solo quei
fatti che, pur costituendo di per se stessi reato, rappresentano elementi
costitutivi del primo: tali sono il danneggiamento, rispetto all’ipotesi di cui all’art.
392 cod. pen., e le minacce o le semplici percosse, rispetto all’ipotesi di cui
all’art. 393 stesso codice. Se la violenza eccede tali limiti, i reati in tal modo
commessi danno luogo ad autonome responsabilità penali, concorrenti
eventualmente col reato di ragion fattasi, ove sussista il dolo specifico proprio di
quest’ultimo» (Cass., Sez. V, n. 2425/1990 del 07/12/1988, Zamboni, Rv
183405).
Pronunce successive hanno addirittura escluso il predetto assorbimento
anche con riguardo alle sole percosse (v. Cass., Sez. VI, n. 35843 del
16/04/2008, Tatananni), fino a segnalare che nell’ipotesi in cui si verifichino
delle lesioni nell’esplicarsi della violenza posta in essere per commettere il reato
di cui all’art. 393 cod. pen., finalizzata a cagionare l’evento delle lesioni stesse,
sarebbe ravvisabile la già ricordata aggravante ex art. 61 n. 2 cod. pen. (v.
Cass., Sez. V, n. 13546 del 10/02/2015, Porcella): circostanza, in definitiva, che
nella fattispecie concreta ben avrebbe potuto essere contestata sia quanto al
reato sub B), sia – come accaduto – con riferimento al più grave delitto di
sequestro di persona.
Parimenti indiscusso, nella giurisprudenza di legittimità, è che il reato
sanzionato dall’art. 605 cod. pen. possa «concorrere con quello di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni, quando l’agente sia mosso dal fine di esercitare
un preteso diritto e commetta il primo per eseguire il secondo» (Cass., Sez. V, n.
9731 del 03/02/2009, Rovere, Rv 243020): situazione, questa, esattamente
verificatasi nel caso oggi sub judice.

Ancor più diffusamente, si è di recente

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dell’aggravante del nesso teleologico: condotte, però, che appare certamente

precisato che «fra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza
alle persone e quello di sequestro di persona non sussiste alcun rapporto di
specialità, in quanto la privazione della libertà personale, intesa quale
impedimento alla libertà di locomozione, è requisito estraneo alla fattispecie
astratta di cui all’art. 393 cod. pen., con la conseguenza che le anzidette ipotesi
delittuose possono concorrere tra loro» (Cass., Sez. V, n. 48359
dell’08/10/2014, Mokhtar, Rv 261973).
1.2 A proposito del secondo motivo di doglianza, è sufficiente rilevare che il

sensi degli artt. 110 e 582 cod. pen., non già di lesioni personali riconducibili, in
ipotesi, alla sua sola condotta materiale; perciò, stante la funzione estensiva
assolta dalla norma in tema di concorso, appare del tutto irrilevante che, in un
contesto di aggressione unitaria al Di Campli, il Salvatore si limitò a sferrare uno
o più schiaffi alla persona offesa, mentre furono altri a brandire ed utilizzare
oggetti contundenti.

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’imputato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 03/02/2016.

ricorrente è chiamato a rispondere – al capo B) – di un delitto qualificato ai

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