Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16125 del 22/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 16125 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: NARDIN MAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BUCATARU EMILIA nato il 11/08/1988

avverso l’ordinanza del 28/04/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza del 28 aprile 2017 la corte di appello di Venezia ha

rigettato la domanda formulata da Emilia Bucataru per la liquidazione dell’equa
riparazione dovuta all’ingiusta detenzione subita in custodia cautelare in carcere
nel periodo compreso tra il 16 dicembre 2011 e in 19 dicembre 2011, nonché
agli arresti domiciliari nel periodo tra il 19 dicembre 2011 e il 6 marzo 2012.
2.

L’ordinanza ritiene sussistente la colpa grave dell’interessata di cui

all’art. 314, comma 1^, per essere stata la medesima, nel corso della
convivenza con Paul Bogdan Popa- condannato per spaccio di stupefacenti ai
sensi

particolare, la Corte ha ritenuto che la Bucataru fosse a perfetta conoscenza
dell’attività svolta dal compagno e del fatto che il medesimo conservasse
all’interno dell’abitazione lo stupefacente, un bilancino di precisione per la
suddivisione delle dosi ed una certa somma di denaro, provento del reato.
Cosicché, seppure la sentenza di assoluzione avesse ritenuto la condotta della
Bucataru non punibile, nondimeno, essa configurerebbe causa sinergica
dell’errata emissione della misura cautelare e del suo successivo mantenimento.
3.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del suo

difensore, Emilia Bucataru affidandolo ad un unico motivo, con cui lamenta il ex
art. 606 comma 1^, lett. b) ed e) che il provvedimento della Corte territoriale,
mal interpretando la norma che stabilisce i presupposti per l’equa riparazione,
abbia ritenuto la sussistenza della colpa grave, senza tenere in alcun modo in
considerazione quanto dedotto dalla Bucataru in sede di interrogatorio di
garanzia. Ed invero, la medesima, contrariamente a quanto affermato
dall’ordinanza, aveva dichiarato di non essere d’accordo con l’attività del Popa e
di averlo cacciato di casa, allorquando egli aveva portato nell’abitazione lo
stupefacente, neppure accorgendosi della presenza dei due sacchetti contenenti
ciascuno 1 grammo di cocaina, circostanza che le fu fatta notare dai Carabinieri,
nel corso della perquisizione. Parimenti interessata aveva giustificato la presenza
del denaro, ella svolgendo regolare attività lavorativa, sicché l’accredito di euro
6500,00 sul suo conto corrente non poteva affatto dirsi frutto dell’attività
delittuosa del compagno. Rispetto a questa dichiarazione la Corte incorreva in un
chiaro travisamento della prova, laddove affermava che la Bucataru aveva
affermato di essere perfettamente a conoscenza dell’attività del Popa e della
presenza dello stupefacente, mentre era vero il contrario avendo l’interessata
negato la circostanza. Chiede l’annullamento della decisione impugnata e di
rinvio per nuovo esame.
4.

Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di

Cassazione, osserva che l’ordinanza impugnata ricostruisce in modo inesatto il
percorso motivazionale della sentenza di assoluzione della Bucataru, giungendo a
2

dell’art. 73, comma 1″ d.p.r 309/1990- connivente con questi. In

concludere per la concreta sussistenza di una condotta gravemente colposa della
Bucataru, consistita nel non avere valutato gli effetti della connivenza passiva sul
rafforzamento dell’attività delittuosa del compagno. Rileva che il comportamento
dell’istante non è stato correttamente valutato dalla Corte territoriale, proprio in
relazione alle risultanze emerse dalla motivazione della pronuncia assolutoria,
con la conseguenza che l’ordinanza di diniego dell’equa riparazione è
caratterizzata da motivazione gravemente insufficiente ed illogica. Chiede
l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di appello di

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è manifestamente infondato.

2.

Va premesso che la cognizione del giudice di legittimità

nei

procedimenti per il riconoscimento dell’equo indennizzo a seguito di ingiusta
detenzione è limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche
sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione. Ai sensi dell’art. 646,
comma terzo cod. proc. pen., richiamato, dall’art. 315 ultimo comma cod. proc.
pen., infatti, l’unico rimedio avverso il provvedimento della Corte di Appello, che
pronuncia in unico grado, è il ricorso per cassazione, nei limiti previsti dall’art.
606 cod. proc. pen., non essendo previsto alcun ampliamento dei motivi di
impugnazione con specifico riferimento al procedimento per l’equa riparazione
(cfr.

ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che,

affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso
ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione
di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta
attribuzione di equa somma da parte della Corte).
3.

Elemento connotante il giudizio per la riparazione dell’ingiusta

detenzione è la totale autonomia rispetto al giudizio penale, perché lo scopo è
quello di valutare l’idoneità del quadro probatorio a trarre in inganno il giudice in
relazione alla sussistenza dei presupposti dell’adozione di una misura cautelare,
unitamente ed in forza di una condotta gravemente negligente od imprudente
dell’imputato, che abbia così colposamente indotto quello che l’esito assolutorio
nel merito, dimostrerà essere stato un errore.
4.

L’esame della condotta dell’imputato – che il sede di merito risulterà

non integrare il reato- prima e dopo la perdita della libertà personale e più in
generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un
procedimento a suo carico, dovrà essere valutata ex ante (Sez. Unite, n. 32383
del 27.5.2010, D’Ambrosio, rv. 247664), per verificare se essa abbia costituito
nel rapporto di causa- effetto,

pur in presenza di un errore dell’autorità

3

Venezia, per nuovo giudizio.

procedente, il presupposto della falsa apparenza dell’illecito penale (cfr. anche la
precedente Sez. Un. 26.6.2002, Di Benedictis).
5.

Assumono, dunque, rilievo al fine della configurabilità della condotta

impeditiva del diritto al riconoscimento dell’equa riparazione sia i comportamenti
di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza) sia

di tipo

processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi),
che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione (cfr. sul punto questa
sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004).
6.

In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato

intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del
diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non
solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei
suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge,
ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque acddit secondo
le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del
13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637
7.

Mentre rientra nella nozione di colpa ostativa al riconoscimento del

diritto alla riparazione, secondo la previsione dell’art. 314, comma 1^, cod.
proc. pen., anche la condotta tesa ad altri risultati che, tuttavia, ponga in essere,
per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza
di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una
non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep.
09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 20363701; Sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008,
Maisano, rv. 242034).
8.

Ai fini della sussistenza del diritto all’indennizzo, nondimeno, secondo

le Sezioni Unite della Corte può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore
giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra
custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed
eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della
libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia
dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente
colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la
propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base
dell’istituto. (così Sez. Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606).
4

che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve

9. Fatte queste premesse in ordine all’inquadramento generale dell’istituto,
ai fini della risoluzione del caso di specie, occorre rilevare che l’ordinanza di
rigetto n affronta in modo esplicito la questione del “rafforzamento” dell’attività
criminosa del Popa, rinvenibile nella condotta della Bucataru.
9.

Nel caso di specie, il fattore condizionante l’emissione della misura

cautelare preso in considerazione dall’ordinanza impugnata riguarda la contiguità
fra la Bucataru e l’attività del compagno, condannato per spaccio di stupefacenti,
dimostrata dall’atteggiamento tenuto nei confronti di questi, cui ha consentito di
custodire nell’abitazione non solo lo stupefacente ivi reperito nel corso della

allontanato il Pope di casa, in un’occasione, non è al contrario, come
correttamente ritenuto dall’ordinanza, condotta sufficiente a far venir meno
quella connivenza passiva nei confronti dell’attività condotta dal convivente,
tanto è vero che il medesimo rientra nell’abitazione, ove poi è rinvenuta la
droga. Si tratta, insomma, di comportamenti idonei a generare il convincimento
che l’istante fosse coinvolta nell’attività di detenzione e vendita dello
stupefacente.
10.

Il quadro come delineato, resiste alle censure perché del tutto

logicamente la motivazione considera la condotta dell’interessata in termini di
colpa grave, tale potendosi ritenere il comportamento del soggetto, che pur
vivendo, magari per ragioni sentimentali, con colui che effettivamente commette
il reato, ne accetta passivamente il comportamento fino a permettere la
confusione fra le sue condotte e quelle del reo -ammettendo la custodia della
droga e degli strumenti di confezionamento- ma anche la confusione fra il
denaro riconducibile allo spaccio e quello frutto della sua attività lavorativa. Non
mutano la logicità della valutazione della Corte le circostanze, avanzate dalla
doglianza come demolitorie, relative allontanamento dall’abitazione ed alla
proprietà del denaro, chiaramente risultanti in giudizio. Si tratta, infatti, di
condotte tanto contigue all’ambiente criminale da essere coerentemente
configurabili in sede cautelare – ex ante- come concorso nel reato e che
debbono ritenersi poste in essere con colpa grave, in quanto macroscopicamente
imprudenti. Con la conseguenza che esse vanno ritenute causalmente connesse
con la misura adottata nei confronti dell’interessato.
9.

Il ragionamento contenuto nella motivazione della Corte territoriale che

ha negato l’equo indennizzo pare, dunque, del tutto incesurabile sotto il logico e
valutativo.
10. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle
spese processuali ed al pagamento della somma di duemila euro in favore della
Cassa per le ammende.

P.Q.M.
5

perquisizione, ma altresì il materiale per il suo confezionamento. Il semplice aver

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro in favore della
Cassa delle Ammende.
Cosi deciso il 22/02/2018

M a Nardin

Il Presidente
Gi

o Fumu

Il Consi iere estensore

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