Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16121 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 16121 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PICARDI FRANCESCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BELERI LUIS nato il 05/04/1984 a TIRANA( ALBANIA)

avverso l’ordinanza del 17/05/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;
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Data Udienza: 20/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1.Luis Beleri, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha tempestivamente impugnato
l’ordinanza della Corte di Appello di Venezia con cui è stata rigettata la sua richiesta di
riparazione per ingiusta detenzione patita dal 25 giugno 2013 al 26 settembre 2013,
denunciando la violazione ed erronea applicazione degli artt. 314 cod.proc.pen. ed il vizio di
motivazione, essendo stata subordinata, in modo illogico e contraddittorio, la possibilità di

2. Il ricorrente, al quale è stata applicata misura cautelare della custodia cautelare per
concorso nella detenzione di due chilogrammi di marijuana dal 25 giugno 2013 al 26 settembre
2013, è stato prosciolto, ai sensi dell’art. 530, secondo comma, cod.proc.pen., con sentenza
del 14 gennaio 2014 per non aver commesso il fatto.
3.La Corte di Appello di Venezia ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione
ritenendo che l’imputato, con la sua condotta processuale (e, cioè, fornendo “una spiegazione
intrinsecamente di palese genericità e del tutto inconsistente a dar conto della pregnante
valenza logica dei singoli segmenti”), abbia rafforzato il quadro indiziario a suo carico, già
grave sul piano oggettivo, e dato causa alla custodia ed al suo mantenimento. Viene, difatti,
sottolineato che i giudici intervenuti nelle indagini preliminari “su tale palese illogicità ed
inadeguatezza fondano parte essenziale del convincimento cautelare”. Più precisamente Luis
Beleri, dopo aver parcheggiato la sua auto, è salito con l’amica che l’accompagnava (Lena) su
altro veicolo, condotto da una terza persona (Zorzi), nel cui portabagagli, all’esito del controllo
effettuato al ritorno presso il luogo di partenza, ove era stato lasciato il mezzo di Beleri, è stato
rinvenuto uno zaino con la sostanza stupefacente. In questo contesto, pur avendo negato di
essere a conoscenza del trasporto della droga, come confermato dall’amica, il ricorrente ha
affermato di essersi limitato ad accompagnare quest’ultima dal dentista a Conegliano e di aver
lasciato l’auto per un guasto, pur essendo andato a Susegana con Lena e Zorzi e pur non
avendo chiamato nessuno per l’intervento di riparazione del veicolo, effettuato addirittura dopo
l’estate.

4.11 ricorrente, con l’odierna impugnazione, ha lamentato la violazione di legge e l’illogicità e
contraddittorietà della motivazione, che finisce con il subordinare l’indennizzo per la
riparazione all’assoluzione con formula piena. In particolare ha segnalato che le spiegazioni
fornite “erano le uniche possibili”, che nel provvedimento impugnato non si precisa cosa
l’imputato avrebbe dovuto dire o fare per evitare la detenzione e si afferma che il quadro
indiziario oggettivo era grave, a prescindere dalle dichiarazioni, senza neppure valutare le
dichiarazioni degli altri soggetti coinvolti a conferma dell’estraneità ai fatti del ricorrente.

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ottenere la richiesta riparazione all’assoluzione con formula piena.

5.La Procura Generale ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza. Il Ministero
dell’Economia e delle Finanze ha concluso in via pregiudiziale per l’inammissibilità ed in
subordine per l’infondatezza del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.

nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità
deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto
l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non può investire naturalmente il
merito. Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per
ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello)
non può desumersi che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiché una siffatta
estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione e,
per la sua eccezionalità, dovrebbe essere esplicita. Al contrario l’art. 646, comma terzo, cod.
proc. pen. (al quale rinvia l’art. 315 ultimo comma cod. proc. pen.) stabilisce semplicemente
che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per
Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai
motivi di ricorso enunciati dall’art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste
(cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 1994, rv. 198097, che, affermando tale principio, ha
dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale
non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza
di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte).
3.Parimenti si ritiene che il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione sia del tutto
autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che
possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio
acquisito agli atti ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di
valutazione differenti (così Sez. 4, n. 39500 del 2013, rv. 256764, che ha ritenuto corretta la
rivalutazione, effettuata dal giudice della riparazione, dei fatti non nella loro valenza indiziaria
o probante, ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza o
imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice).
Invero, l’ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, alla base
del diritto al risarcimento in esame, non può obliterare il principio di autoresponsabilità che
incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, in fondo, della
regola che trova esplicitazione negli artt. 1227 e 2056, c.c.), sicché deve intendersi idonea ad
escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, c.p.p.
non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi

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2.Va premesso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che

termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la
condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio
con il parametro dell’id quod plerumque accidit, siano tali da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità,
ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui interessano, la
nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla
riparazione, ai sensi del predetto art. 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad

trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da
costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si
sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata
revoca di uno già emesso (in puntuali termini, S.U., n. 43 del 1995). A tal riguardo, la colpa
grave può concretarsi in comportamenti sia processuali sia di tipo extraprocessuale, come la
grave leggerezza o la rilevante trascuratezza, tenuti sia anteriormente che successivamente al
momento restrittivo della libertà personale; onde l’applicazione della suddetta disciplina
normativa non può non imporre l’analisi dei comportamenti tenuti dall’interessato, anche prima
dell’inizio dell’attività investigativa e della relativa presenza in luogo ed orario ricollegabile con
il teatro della condotta di reato poi contestata, che avrebbe dovuto essere tempestivamente
chiarita, così da svalorizzarne il significato indiziario.
4.Alla luce di tali premesse va evidenziato che la Corte di Appello di Venezia ha attribuito
rilievo causale rispetto all’adozione ed al mantenimento della misura custodiale alla condotta
processuale dell’imputato il quale ha fornito, in sede di interrogatorio di garanzia, chiarimenti
poco convincenti e presumibilmente non veritieri, la cui ambiguità ha rafforzato il quadro
indiziario contro di lui: difatti, ha affermato di dover accompagnare l’amica Lena dal dentista a
Conegliano, ma, al contrario, ha lasciato la propria auto e si è recato, insieme a Lena ed a
Zorzi, a Susegana; ha dichiarato di aver parcheggiato il proprio veicolo e di essere salito su
quello di Zorzi per un guasto alla frizione, ma non si è attivato per la riparazione ed è tornato,
poi, con Lena e Zorzi proprio nel luogo dove era ubicata la propria auto. Su tali ambiguità della
sua difesa, evidenziate nel provvedimento impugnato, il ricorrente non si è minimamente
soffermato, sostenendo che non avrebbe potuto fornire altri chiarimenti, in quanto ignaro del
carico di droga, mentre i giudici della riparazione hanno riscontrato una sua condotta
gravemente colposa nella mancata spiegazione delle ragioni, da un lato, del viaggio a
Susegana, insieme a Lena e a Zorzi e sul veicolo di quest’ultimo, e, dall’altro, del ritorno nel
posto di ubicazione della propria auto senza alcun intervento riparatore sulla stessa. Su tali
argomentazioni del tutto congrue, non manifestamente illogiche e prive di contraddizioni, è
stato fondato il rigetto dell’istanza e non sulla formula assolutoria di cui all’art. 530, secondo
comma, cod.proc.pen.: argomentazioni che risultano coerenti con gli orientamenti della
giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la

altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza,

frequentazione di soggetti dediti al reato in contesti temporali ed ambientali compatibili con la
compartecipazione alla commissione del reato onera l’interessato di fornire con assoluta
tempestività i chiarimenti discolpanti (Sez. 4, n. 21575 del 2014, rv. 259213) e secondo cui il
giudice, per valutare la sussistenza della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, può
prendere in esame il comportamento silenzioso o mendace pur legittimamente tenuto
dall’interessato nel procedimento penale, poiché il diritto all’equa riparazione presuppone una
condotta dell’interessato idonea a chiarire la sua posizione mediante l’allegazione di quelle

del 2008, rv. 242755). Difatti, alla luce delle mancate necessarie precisazioni, la condotta
processuale dell’imputato è stata valutata come mendace e, comunque, fuorviante nei
confronti dei giudici della cautela in una situazione di particolare gravità indiziaria, che avrebbe
imposto un onere di giustificazione particolarmente intenso (coinvolgimento nei luoghi e tempi
del reato, in compagnia agli autori, le cui dichiarazioni discolpanti non assumono alcun rilievo
ai fini della riparazione).
5. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla
refusione delle spese sostenute del Ministero costituito, che si liquida in complessivi euro
1.000,00.
Così deciso in Roma il 20 febbraio 2018
Il Consigliere estensore
Francesca Picardi

Il Presi rnte

circostanze, a lui note, che contrastino l’accusa, o vincano ragioni di cautela (Sez. 4, n. 40291

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