Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16118 del 14/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16118 Anno 2016
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Taddei Massimo, nato a Montelupo Fiorentino il 24/08/1957

avverso la sentenza emessa il 20/05/2013 dalla Corte di appello di Firenze

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa
Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, per le parti civili Lombardi Elisabetta, Buttignon Franco e Merciai Massimo,
l’Avv. Daniele Minotti, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
dell’imputato;
udito per il ricorrente l’Avv. Massimo Batacchi, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 14/12/2015

Il difensore di Massimo Taddei ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa nei confronti (anche)
del suo assistito, in data 11/11/2009, dal Tribunale dì Firenze. Il ricorrente,
condannato a pena ritenuta di giustizia dal giudice di primo grado per reati di
truffa aggravata ed abusivismo finanziario, si è visto dichiarare dalla Corte
territoriale l’estinzione dei reati

de quibus, per intervenuta prescrizione, con

conferma delle statuizioni civilistiche.
Secondo l’assunto accusatorio, il Taddei – quale agente per la Toscana della

Franco Buttignon, Elisabetta Lombardi e Massimo Merciai: a costoro, l’imputato
aveva prospettato la possibilità di ottenere rendimenti superiori mediante
operazioni di investimento in Svizzera, cui dava corso a titolo personale senza
esservi abilitato (a differenza della suddetta società di intermediazione
mobiliare), facendosi così consegnare ingenti somme che versava e gestiva su
conti bancari elvetici di cui, unitamente ad altri soggetti, aveva la disponibilità.
Le operazioni anzidette si erano poi rivelate truffaldine, atteso che il Taddei
aveva taciuto agli investitori che la gestione di quelle somme sarebbe avvenuta
non già tramite la “Remar”, soggetto autorizzato e notoriamente affidabile, bensì
attraverso la “Leonardo Finance Corp. Tortola”, di cui egli stesso era
rappresentante con poteri di firma individuale (fra l’altro, intestando alla
“Leonardo Finance” alcune procure che i clienti gli avevano consegnato, da loro
sottoscritte in bianco); gli investimenti, che l’imputato aveva mantenuto nel
tempo garantendosi le relative provvigioni, e facendosi anzi incrementare le
provviste dai clienti dietro la prospettazione di lucrosi guadagni, si erano infine
risolti con forti perdite a carico di chi li aveva effettuati.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta violazione della legge penale, anche
con riferimento al computo dei termini di prescrizione.
Secondo la tesi difensiva, quello disegnato dall’art. 166 del d.lgs. n. 58/1998
ha natura di reato di pericolo, come costantemente ribadito nei precedenti
giurisprudenziali di legittimità, con la conseguenza che la relativa consumazione
avrebbe dovuto farsi risalire al momento in cui il potere di investire somme per
conto dei clienti era stato conferito al Taddei, non già alla data della (assai
posteriore) revoca. Infatti, come si legge nel ricorso, «il semplice conferimento
dei poteri ad un soggetto non abilitato comporta la lesione dell’interesse tutelato
al rispetto delle regole che stabiliscono la possibilità di operare nel mercato
finanziario, indipendentemente dalla legittimità del contenuto del mandato
conferito, dalla concreta possibilità di realizzazione e tanto meno dallo
svolgimento dell’attività successiva alla stipula dell’accordo contrattuale».

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“Sim Remar” s.r.l. – aveva amministrato i risparmi di numerosi clienti, tra i quali

Così argomentando, ne sarebbe derivata la prescrizione degli addebiti fin da
epoca antecedente all’emissione della sentenza di primo grado, atteso che le
varie procure a firma del Buttignon, della Lombardi e del Merciai risultavano
datate 23/06/1999: la causa estintiva era venuta perciò a perfezionarsi, per il
decorso dei termini massimi, il 23/12/2006, ed il Tribunale di Firenze non
avrebbe dovuto – pena la violazione dell’art. 538 del codice di rito – neppure
pronunciare condanna dell’imputato in punto di responsabilità civile.
Quanto alle truffe, l’assunto dei giudici di merito è che la prescrizione si

clienti (revoche che intervennero fra l’agosto 2002 e l’aprile 2003); nell’interesse
del Taddei, al contrario, si sostiene che il tempo necessario a prescrivere
dovrebbe computarsi a decorrere dalla data del compimento dell’ultimo atto di
gestione del patrimonio. A tal fine, avrebbe dovuto assumere rilievo dirimente
un particolare risultante da un documento prodotto ai giudici di merito, dove si
attestava che la Leonardo Finance Corp., società off shore, era stata “cancellata”

nel novembre 2002, e che aveva ricevuto un ultimo pagamento il 25/05/2001:
ergo, in presenza di reati di truffa consistiti nella gestione di patrimoni altrui, la
prescrizione risultava giocoforza maturata il 25/11/2008, non essendovi state
(dopo la data anzidetta) altre movimentazioni di denaro. Anche in ordine ai
reati ex art. 640 cod. pen., in definitiva, la causa estintiva si era perfezionata
anteriormente alla decisione di primo grado.
Il ricorrente deduce infine vizi di motivazione della sentenza impugnata, dal
momento che l’istruttoria dibattimentale aveva chiarito come il Taddei non fosse
mai stato presente presso gli uffici svizzeri dove le persone offese avevano
sottoscritto le procure, né era mai accaduto che a lui fosse stato materialmente
consegnato del denaro. In altri termini, egli non era mai stato indicato dai
clienti come partecipe attivo delle fasi precedenti e concomitanti al rilascio delle
procure, tant’è che la stessa Corte territoriale giunge a dichiarare la prescrizione
dei reati per i quali non vi sarebbe la prova evidente di una estraneità
dell’imputato ai fatti: tuttavia, argomenta la difesa che «se manca la prova
evidente della estraneità, in realtà vuol dire che manca pure la prova evidente
della responsabilità, e quindi, conseguentemente, ci troviamo in una situazione
in cui l’imputato doveva essere in realtà assolto da tutti i reati a lui ascritti
perché la prova era insufficiente, con ogni conseguenza caducatoria in relazione
alle statuizioni civili pronunciate nei suoi confronti».

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sarebbe maturata dopo sette anni e sei mesi dalle revoche delle procure dei

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
La censura della difesa secondo cui il Taddei non avrebbe avuto alcun
contatto diretto con le persone offese investe profili di merito, non sindacabili in
questa sede a fronte della logica e lineare ricostruzione della vicenda operata anche con riferimento al coinvolgimento nella stessa dell’odierno ricorrente – dal
Tribunale e dalla Corte territoriale. Del tutto erronea, peraltro, appare la tesi
difensiva secondo cui la mancanza di una prova evidente di estraneità ai fatti

avrebbe dovuto comportare una pronuncia liberatoria per insufficienza o
contraddittorietà degli elementi acquisiti a carico dell’imputato e che deponevano
per la sua responsabilità penale: il presupposto del rilevato difetto di evidenti
dati probatori favorevoli era infatti costituito da una già intervenuta condanna
del Taddei in primo grado, e la Corte fiorentina risulta avere correttamente
verificato se sussistessero gli estremi per l’applicazione dell’art. 129, comma 2,
del codice di rito.
Quanto al tempus commissi delicti, deve in effetti ribadirsi che, secondo la
costante interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, quello di
esercizio abusivo di intermediazione finanziaria è un «reato di pericolo, il cui
bene protetto è il corretto svolgimento, nell’interesse degli investitori, dei
mercati mobiliari per il tramite di operatori abilitati» (v. Cass., Sez. II, n. 42085
del 09/11/2010, Allegri, Rv 248510). La pronuncia appena richiamata afferma
altresì la possibilità che il reato de quo concorra con il delitto di truffa, in ragione
della diversità dei beni giuridici rispettivamente tutelati: possibilità già più volte
ribadita da questa Corte, a partire da una delle decisioni evocate dallo stesso
ricorrente nell’odierno atto di impugnazione, dove si precisa che la norma di cui
all’art. 166 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 descrive un «reato di pericolo,
inteso a tutelare l’interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti
affidabili nonché l’interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi
singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati; la
truffa, invece, è reato di danno, che, per la sua esistenza, richiede l’effettiva
lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell’uso
di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in
modo infedele» (Cass., Sez. V, n. 22419 del 02/04/2003, Castelli, Rv 224951; v.
anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 31893 del 22/06/2007, Longo).
Una recente sentenza di questa stessa Sezione ha poi sottolineato più
diffusamente che «in tema di intermediazione finanziaria, integra il reato di
abusivismo […] la condotta di colui che stipuli, ancorché privo di abilitazione, un
contratto di gestione degli investimenti e, quindi, di trasferimento di risorse
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economiche mobiliari dell’altro contraente, con la prospettiva reale o fittizia di
profitti, percependo le somme di denaro a tal fine. Si tratta di un reato di
pericolo, con la conseguenza che, una volta che i risparmi dell’altro contraente
siano immessi nel mercato mobiliare, dal soggetto non abilitato – e, quindi da
soggetto idoneo a ledere l’interesse dell’investitore, del complessivo interesse del
mercato mobiliare e dei singoli operatori – non ha rilevanza in quale modo fedele o infedele – sia avvenuta la gestione dei risparmi degli investitori.
Peraltro, il mancato investimento o, comunque, l’infedele gestione dei risparmi
del contraente può costituire condotta integrante l’ipotesi del reato di truffa»

(Cass., Sez. V, n. 22597 del 24/02/2012, Cattabiani, Rv 252958).
Tanto premesso, tuttavia, la tesi difensiva ha pregio ai soli fini della
necessità di distinguere – sul piano logico e, per quanto oggi di interesse,
cronologico – il momento in cui il reato si perfeziona, rispetto a quello della
consumazione stricto sensu, dovendosi intendere perfetto il reato di cui siano
stati realizzati tutti gli elementi costitutivi, ma consumato quello (già,
ovviamente, perfezionatosi) che abbia visto esaurirsi la produzione di tutte le
conseguenze della condotta illecita concretamente tenuta. E, mentre la prima
nozione assume peculiare rilievo al fine di discernere se un delitto sia stato
effettivamente realizzato, o sia rimasto invece alla fase del tentativo, è solo alla
seconda che si deve avere riguardo per la verifica della decorrenza del termine di
prescrizione.
La distinzione concettuale in argomento, elaborata dalla dottrina già da molti
anni, è stata fatta propria dalla giurisprudenza in tema di reati c.d. a esecuzione
prolungata, come ad esempio in caso di usura, dove si è affermato che «i
pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario
compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento
consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come post factum non punibile
dell’illecita pattuizione» (Cass., Sez. II, n. 33871 del 02/07/2010, Dodi, Rv
248132). Ed è necessario rilevare che anche la condotta tipica sanzionata
dall’art. 166 del d.lgs. n. 58/1998, pur venendo a perfezionarsi nel momento
della pattuizione tra l’operatore non abilitato e l’investitore, non viene descritta
come istantanea sotto il profilo della sua compiuta esecuzione, dato che risponde
del reato de quo il soggetto che “svolge servizi di investimento o di gestione
collettiva del risparmio”, ovvero che “esercita l’attività di promotore finanziario
senza essere iscritto nell’albo indicato dall’articolo 31”.
In altri termini, il reato si perfezionò quando venne conferito al Taddei
l’incarico di investire le somme affidategli (direttamente o meno) dai vari clienti,
e ciò a prescindere da se e come sarebbero stati poi impiegati i fondi in
questione; ma il reato medesimo ebbe a consumarsi fin tanto che quell’incarico,

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anche e non solo attraverso pattuizioni o consegne ulteriori di denaro, fu
concretamente svolto.
L’osservazione appena formulata potrebbe riguardare anche la truffa,
laddove si atteggi quale reato ad esecuzione prolungata (si pensi alle ipotesi di
condotte fraudolente finalizzate ad ottenere erogazioni periodiche da parte di
enti pubblici), il che non sembra potersi affermare nella fattispecie concreta: nel
caso in esame, però, assume rilievo dirimente la circostanza che le uniche date
certe evidenziate nelle sentenze di merito, quanto allo svolgimento del rapporto

appaiono in effetti quelle delle revoche delle procure. Peraltro, la questione della
ricezione di un pagamento, da ultimo, che sarebbe avvenuto in data
25/05/2001, non risulta proposta dalla difesa del Taddei in sede di motivi di
appello.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Taddei al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità. L’imputato deve essere altresì
condannato a rifondere alle parti civili le spese sostenute nel grado, che il
collegio reputa congruo liquidare – in ragione dell’impegno professionale
richiesto e del numero delle parti assistite dai rispettivi patrocinatori – nelle
misure di cui al dispositivo.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione delle spese in favore delle parti civili Lombardi Elisabetta e
Buttignon Franco, che liquida in euro 2.500,00, ed in favore di Merciai Massimo,
che liquida in euro 1.800,00, oltre accessori come per legge per tutti.

Così deciso il 14/12/2015.

intercorso fra i clienti e coloro a cui avevano affidato le somme da investire,

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