Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16117 del 10/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 16117 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Licci Antonio, nato a Tricase il 9.4.1970, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Lecce 11’11.2.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott.ssa Marilia Di Nardo, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 10/12/2015

1. Con sentenza pronunciata 1’11.2.2015 la corte di appello di
Lecce confermava la sentenza con cui il tribunale di Lecce, sezione
di Casarano, in data 14.11.2012, aveva condannato alla pena
ritenuta di giustizia ed al risarcimento, in favore della costituita

del reato di cui all’art. 2622, c.c., per avere omesso, nella qualità
di amministratore della s.r.l. ” Eitel”, al fine di ingannare il
pubblico, di iscrivere nei bilanci e nelle comunicazioni sociali
dirette al pubblico l’esistenza di un debito per trattamento di fine
rapporto nei confronti del dipendente Corrado Serafino, pari ad
euro 3880,00.
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il
Licci, personalmente, lamentando violazione di legge, in quanto la
querela è stata tardivamente proposta, dovendosi il relativo
termine farsi decorrere quanto meno dal momento in cui la
notificazione del decreto ingiuntivo, ottenuto dalla persona offesa,
non sortiva nessun effetto, per essere, il relativo il plico
raccomandato, tornato al mittente con la dicitura “cessata attività,
e non, come affermato dalla corte territoriale, dal momento in cui
il Corrado Serafino aveva esaminato la visura rilasciata dalla
Camera di Commercio il 25.9.2009, così apprendendo che la
società era stata cancellata dal registro delle imprese ed
accertando la omessa indicazione del debito per il quale è
processo nelle comunicazioni sociali; il ricorrente evidenzia,
inoltre, la pretestuosità della querela, sporta solo a seguito della
contestazione in sede civile da parte dell’imputato della
intervenuta prescrizione del credito vantato dalla persona offesa,
ai sensi dell’art. 2948, n. 5), c.c. e che alla data della

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parte civile, dei danni derivanti da reato, Licci Antonio, imputato

cancellazione della società (25.5.2009) nessun falso è stato
iscritto a bilancio, posto che non era pervenuta nessuna richiesta
di pagamento dal Corrado e che le relative somme per il
trattamento di fine rapporto erano state regolarmente iscritte in

consegnate al Corrado, a nulla rilevando, in senso contrario
all’assunto difensivo, la circostanza che la firma apposta sulla
busta paga non appartiene al detto Corrado; lamenta, infine, il
ricorrente l’intervenuta estinzione per prescrizione del reto,
maturata già all’udienza dell’ 11.2.2015.
3. Con memoria pervenuta il 23.11.2015 la costituita parte civile,
a mezzo dei suoi difensore di fiducia, avv. Salvatore Abate ed avv.
Vincenzo Giordano del Foro di Lecce, chiede che il ricorso venga
dichiarato inammissibile.
4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
5. Una prima causa di inammissibilità, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 581, co. 1, lett. c), e 591, co. 1, lett. c),
c.p.p., deriva dal fatto che i motivi posti a fondamento del ricorso,
riproponendo acriticamente le stesse ragioni già discusse e
ritenute infondate dai giudici del gravame, devono considerarsi
non specifici, ma, piuttosto, meramente apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,
ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate della decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di

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bilancio, somme che, peraltro, sono state regolarmente

mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,
lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n.

Ed invero, tutte le doglianze prospettate dal Licci hanno formato
oggetto di puntuale risposta da parte della corte territoriale,
attraverso un esaustivo percorso motivazionale, con il quale il
ricorrente, di fatto, non si confronta, fondando la propria
impugnazione su affermazioni apodittiche e manifestamente
infondate.
In particolare, con riferimento alla tempestività della querela,
correttamente la corte territoriale rileva che solo all’esito della
documentazione rilasciata dalla camera di commercio il
25.9.2009, la parte civile apprendeva, non solo della cancellazione
della società debitrice dal registro delle imprese, ma anche della
omessa comunicazione del debito maturato nei suoi confronti
nelle scritture sociali.
E in tale momento, dunque, che va individuato ìI dies a quo del
decorso del termine previsto dall’art. 124, c.p., in quanto solo
allora il Corrado, titolare del diritto di querela, ha avuto
conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella
sua dimensione oggettiva e soggettiva, e del suo autore, e
poteva, pertanto, liberamente determinarsi (cfr. Cass., sez. V,
20.6.2014, n. 46485, rv. 261018), apparendo evidente che la
semplice conoscenza della cessazione dell’attività della compagine
sociale da parte della persona offesa, non equivale, a differenza di
quanto preteso dal ricorrente, ad avere certezza della omissione
della menzionata esposizione debitoria nelle scritture sociali.

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3608, rv. 207389).

Nel resto il ricorrente svolge osservazioni in punto di fatto, non
consentite in sede di legittimità, senza valutare adeguatamente,
peraltro, l’importante circostanza, su cui si sofferma
specificamente la corte territoriale, ad ulteriore conforto della già

rapporto non corrisposto al Corrado, e della mancata menzione di
esso nel bilancio e nelle comunicazioni sociali, degli esiti della
disposta perizia grafologica sul documento prodotto in primo
grado dalla difesa dell’imputato, “risultato non firmato dall’avente
causa Corrado Serafino, mentre in realtà risulta compatibile con
una copia realizzata per traccia visibile di un modello autografo”
(cfr. pp. 3-4 della sentenza impugnata).
Manifestamente infondata, infine, appare la questione sulla
prescrizione maturata, secondo l’assunto difensivo, prima della
definizione del giudizio di appello, in quanto, come rilevato dalla
corte territoriale il tempus commissi delicti del reato per cui si è
proceduto va individuato nel 31.12.2007, data di formazione del
bilancio in cui non era stato inserito il debito esistente nei
confronti del Corrado, posto che il reato di cui all’art. 2622, c.c.,
presuppone un’attività intesa in senso strettamente positivo,
rivolta alla formazione di un atto che venga materialmente ad
esistenza, contenente una falsa rappresentazione della realtà (cfr.
Cass., Sez. V, 8.1.1997, n. 28, rv. 207256)
Pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 157, 160 e
161, c.p., il relativo termine di prescrizione, pari nella sua
estensione massima, tenuto conto, cioè degli atti interruttivi
intervenuti e dell’assenza di cause di sospensione, a sette anni e
sei mesi, sarebbe perento solo il 30.6.2015, quindi in un momento
successivo alla pronuncia della sentenza di secondo grado.

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dimostrata sussistenza del debito, relativo al trattamento di fine

Prescrizione che, giova evidenziare, non può essere rilevata in
questa sede, ostandovi la menzionata inammissibilità del ricorso,
che, impedendo la formazione di un corretto rapporto processuale
in sede di legittimità, ha cristallizzato la situazione esistente al

determinandone il passaggio in giudicato a far data da quel
momento.
6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese
del procedimento ed, in favore della cassa delle ammende, di una
somma che si ritiene equo fissare in 1000,00 euro, tenuto conto
dei profili di colpa relativi alla evidente inammissibilità
dell’impugnazione (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del
13.6.2000).
Nulla è dovuto a titolo di ristoro delle spese sostenute in questo
grado di giudizio dalla parte civile, assente, benché regolarmente
avvisata, all’odierna udienza, in mancanza di una specifica
richiesta al riguardo nella memoria innanzi indicata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10.12.2015.

momento della pronuncia della sentenza di secondo grado,

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