Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1610 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1610 Anno 2016
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:

CHIARI Angela Ombretta, nata a Cesano Maderno (MI) il 10 febbraio 1947;

avverso la sentenza n. 2828/2014 della Corte di appello di Brescia del 17 luglio
2014;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Eugenio
SELVAGGI, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza
impugnata quanto alla pena ed il rigetto del ricorso nel resto
sentito, altresì, per la ricorrente l’avv. Claudio LUCISANO, del foro di Roma, in
sostituzione dell’avv. Gianluca MADONNA, del foro di Bergamo, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.
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Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
Avendo il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo,
all’esito di giudizio abbreviato, assolto Chiari Angela Ombretta dal reato di cui
all’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000 per avere, nella qualità di legale
rappresentante della Società Studio Base dì Balduzzi a r. I., al fine di evadere
il fisco, indicato nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni di imposta
2006, 2007 e 2008, costi non reali in quanto documentati con fatture passive

di gravame dal competente Procuratore generale della Repubblica, aveva
ribaltato la sentenza del giudice di prime cure, condannando l’imputata alla
pena ritenuta di giustizia, avendola riconosciuta, sulla base di diversi elementi
indiziari, responsabile dei reati a lei ascritti.
Ha proposto ricorso per cassazione la Chiari osservando, con riferimento
alla congruità della motivazione esposta nella sentenza di appello, che gli
elementi di prova indicati a sostegno della decisione assunta non avevano la
necessaria capacità indiziante, essendo, quantomeno con riferimento ad una
delle tre annualità indicate nel capo di imputazione, non pertinenti.
Ha rilevato, altresì, la ricorrente che, nella determinazione della pena, la
Corte territoriale non aveva applicato la diminuente di cui all’art. 442 cod.
proc. pen. per la scelta del rito.
La ricorrente ha infine contestato la sentenza della Corte bresciana nella
parte non le erano state concesse le attenuanti generiche né la sospensione
condizionale della pena in ragione di una pregressa condanna per la
commissione di un reato oggetto di recente depenalizzazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, solo parzialmente fondato, deve essere, pertanto, accolto nei
limiti di quanto di ragione.
Esaminando il primo dei motivi di impugnazione proposti dalla ricorrente,
rileva la Corte che lo stesso dichiaratamente si fonda su un asserito difetto di
motivazione della sentenza impugnata ma in realtà tramite esso è stata
contestata, senza peraltro che siano stati addotti elementi tali da dimostrarne
la effettiva sua illogicità, la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte
territoriale; ricostruzione, peraltro, ampiamente e plausibilmente suffragata in
modo ineccepibile dagli elementi esposti nella esauriente motivazione redatta
dal giudice bresciano.
Le molteplici circostanze accertate in punto di fatto dalla Corte territoriale,
fra le quali le più significative appaiono il fatto che la ditta emettitrice le
fatture avesse cessato la propria attività già in epoca anteriore alle emissione
delle stesse, il fatto che, comunque, questa non abbia mai avuto una struttura
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relative ad operazioni inesistenti, la Corte di appello di Brescia, adita in sede

imprenditoriale che le avrebbe consentito la realizzazione delle opere aventi
una rilevanza tale da giustificare gli assai considerevoli compensi riportati
nelle fatture in questione; il dato, anch’esso obbiettivo, che per opere edili
aventi un presunto controvalore di 500.000,00 euro non solo non risulta
essere stato attivato alcun procedimento amministrativo presso il Comune di
Cesano Maderno, ove le stesse sarebbero stata realizzate, ma è emerso anche
che lo stesso prezzo al quale la Società amministrata dalla imputata ha poi

neppure lontanamente idoneo a rimunerare il venditore delle spese affrontate
in sede di manutenzione dell’edificio in questione; infine il fatto che, ad onta
delle spese che sarebbero state affrontate in previsione della cessione
dell’immobile, questo è stato definito fatiscente da chi lo ha acquistato dalla
imputata, sono tutti fattori che costituiscono elementi solidi indiziari,
caratterizzati dalla precisione, univocità e concordanza, perfettamente idonei
a fondare dal punto di vista probatorio la sentenza di condanna pronunziata
dalla Corte lombarda.
Accantonando per il momento il secondo motivo di impugnazione, sul
quale si ritornerà successivamente attesa la preminenza logica dell’esame del
terzo, rileva la Corte che anche questo è del tutto destituito di fondamento.
Invero la ricorrente lamenta il fatto che in sede di sentenza di condanna
non le siano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche né
concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena; ciò, secondo
parte ricorrente, in ragione del fatto che la stessa è risultata gravata da una
precedente condanna per un reato, la violazione dell’art. 2, comma 1-bis, del
decreto legge n. 463 del 1983, convertito con modificazioni, con legge n. 638
del 1983, che la Chiari ritiene non essere significativo di pericolosità criminale
in quanto oggetto di un recente intervento di depenalizzazione.
Sul punto, in disparte la circostanza che, a tutt’oggi, l’intervento di
depenalizzazione cui ha fatto riferimento la ricorrente non si è perfezionato,
atteso che ancora non è stata data attuazione nelle forme costituzionalmente
previste alla delega legislativa contenuta nell’art. 2, comma 2, lettera c), della
legge n. 67 del 2014, di tal che la condotta di omissione del versamento degli
oneri contributivi come sanzionata dell’art. 2, comma 1-bis, del decreto legge
n. 463 del 1983, convertito con modificazioni, con legge n. 638 del 1983, è
fatto tuttora previsto dalla legge come reato (in tal senso da ultimo Corte di
cassazione, Sezione III 19 maggio 2015, n. 20547), rileva il Collegio, che la
Corte territoriale ha giustificato la propria decisione di non concedere né le
attenuanti generiche né la sospensione condizionale della pena per altre
diverse ragioni, e cioè la avvenuta reiterazione delle condotte criminose per
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venduto l’immobile ove le opere sarebbero state eseguito non è risultato

diverse annualità di imposta e il considerevole danno cagionato all’Erario per
effetto della condotta posta in essere dalla prevenuta.
Argomenti questi certamente validi, non diversamente della esistenza di
un recente pregiudizio penale a carico della imputata, a giustificare sul piano
della plausibilità logica e giuridica la discrezionale scelta operata con la
sentenza impugnata.
Fondato è, viceversa, il restante motivo di impugnazione avente ad

Posto, infatti, che la stessa, in primo grado ha chiesto ed ottenuto che il
processo a a suo carico fosse celebrato nelle forme del giudizio abbreviato,
rileva la Corte che, ancorché la stessa non abbia potuto godere in primo grado
dell’abbattimento della pena principale nella misura di un terzo
espressamente stabilito dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., in caso di
condanna, per la elementare ragione che all’esito del processo in primo grado
la stessa era stata assolta, è tuttavia di chiara evidenza che non per questo il
suo diritto al riguardo si sia consumato e lo stesso sconto di pena non debba
essere ex novo applicato in caso di condanna susseguente all’avvenuta
impugnazione proposta avverso la sentenza assolutoria di primo grado
dall’organo della pubblica accusa (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11
settembre 2012, n. 34559).
Nel determinare la pena in concreto di irrogare alla Chiarì, la Corte
bresciana ha, invece, omesso di praticare l’abbattimento di pena previsto per
la scelta del rito abbreviato, determinando la pena principale solamente in
funzione della pena base, pari ad anni 1 e mesi otto di reclusione, aumentata
per effetto della continuazione di quattro mesi di ‘reclusione, senza compiere
ulteriori, pur doverosi, calcoli.
Alla luce, pertanto, del rilievo sopraesposto la sentenza impugnata deve
essere annullata limitatamente alla determinazione della pena.
Rilevato che il calcolo volto alla rideterminazione della pena – in
considerazione del fatto che la scelta del rito abbreviato prevede, in caso di
irrogazione di sanzione detentiva diversa dall’ergastolo, la diminuzione della
pena, come determinata tenendo conto di tutte le restanti circostanze del
caso, nella misura fissa di un terzo di quella che sarebbe stata diversamente
di giustizia – può essere compiuto, essendo esso costituito da una mera
operazione aritmetica e prescindendo da ogni valutazione di merito, da questa
stessa Corte, l’annullamento va disposto senza rinvio, e la pena principale alla
cui espiazione deve essere condannata la ricorrente, è determinata da questa
Corte, avvalendosi dei poteri di cui all’art. 620, lettera /), cod. pen., ferme
restando le sanzioni accessorie come applicate nella sentenza impugnata,
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oggetto il criterio di determinazione della pena inflitta alla Chiari.

nella misura di anni uno e mesi quattro di reclusione, corrispondente alla
sanzione irrogata dalla Corte di appello, diminuita, ai sensi dell’art. 442,
comma 2, cod. proc. pen., di un terzo.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione
della pena, che ridetermina in anni uno e mesi quattro di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2015

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