Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16097 del 09/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 16097 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
De Colle Mario, n. a Paluzza il 2/3/1939
Di Lena Enzo, n. a Roma il 6/5/1941

dal difensore della parte civile De Colle Mario, n. a Paluzza il 2/3/1939

avverso la sentenza del g. 8/10/2014 della Corte di appello di Trieste

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Paolo Canevelli, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso de
Colle e l’accoglimento del ricorso Di Lena
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udito il difensorer del ricorrente De Colle, anche in qualità di parte civile, che
ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Tolmezzo del 26 giugno 2012, De Colle
Mario è stato condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche, alla

Data Udienza: 09/03/2016

pena di mesi quattro di reclusione per il reato di lesioni – ascrittogli al capo c)
della rubrica- commesso in Paluzza, fraz. Rivo il g. 1 settembre 2009 per avere
colpito Di Lena Enzo con un badile provocandogli una ferita lacero-contusa
all’arcata sopraciliare destra, guaribile in giorni 5. Il De Colle è stato condannato
al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore del Di Lena ed
al pagamento delle spese processuali. Con la medesima sentenza Di Ronco
Graziella veniva condannata alla pena di euro 120,00 di multa per il reato di cui
all’art. 594 cod. pen. in danno del De Colle ed al risarcimento del danno,

Lena Enzo veniva condannato alla pena di mesi tre e giorni quindici di reclusione
per i reati di cui agli artt. 392 e 590 cod. pen. (così derubricato il reato di cui
all’art. 582 cod. pen., inizialmente contestato) in danno del De Colle oltre al
risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore del De Colle a
favore del quale venivano liquidate anche le spese processuali.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Trieste ha
prosciolto Di Ronco Graziella dal reato ascrittole perché non punibile ai sensi del
secondo comma dell’art. 599 cod. pen. revocando le statuizioni civili in favore del
De Colle; ha assolto il Di Lena dal reato di lesioni, confermandone la condanna (
alla pena di euro duecento di multa) per il reato di cui all’art. 392 cod. pen., con
conferma della condanna la risarcimento dei danni e diverso regolamento delle
spese processuali liquidate in favore della parte civile De Colle; ha confermato la
condanna del De Colle.
3. Nella sentenza impugnata si è ritenuto pacifico, a stregua delle
dichiarazioni acquisite oltre che dagli imputati anche da Moro Maria che il g. 1
settembre 2009 il De Colle avesse colpito il Di Lena, con un badile, provocandogli
una lesione all’arcata sopraciliare; che il Di Lena avesse esercitato il preteso
diritto di proprietà su un terreno con violenza sulle cose, tentando di rimuovere
un paletto posto su una scarpata di cui si controverteva la proprietà con il De
Colle. Ha, per contro, escluso che fosse riconducibile al rotolamento di una delle
pietre, piuttosto che alla caduta del De Colle cagionata dalla naturale
sconnessione del terreno, la lesione alla gamba riscontrata a questi, rovinato a
terra durante i fatti. Ha infine, ritenuto che avesse agito in stato d’ira,
determinato dall’aggressione subita dal marito, la Di Ronco che si era rivolta al
De Colle proferendo nei suoi confronti parole ingiuriose.
4. Propongono ricorso, con motivi qui sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp.
att, cod. proc. pen., il Di Lena ed il De Colle, anche in qualità di parte civile,
relativamente alla intervenuta assoluzione del Di Lena dal reato ascrittogli al
capo b) e della Di Corbo dal reato ascrittole al capo d).

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determinato in euro cento, oltre che al pagamento delle spese processuali; Di

5. Di Lena, deduce il vizio di omessa motivazione e vizio di violazione di
legge perché la sentenza impugnata non ha preso in considerazione la tesi
difensiva – esposta nei motivi di appello a pag. 6 – secondo la quale la reazione
allo spoglio in corso non integra il reato di cui all’art. 392 cod. pen., e,
comunque, perché la condotta del Di Lena, come accertata, non è sussumibile
nel reato di ragion fattasi con violenza sulla cosa. In data 23 febbraio 2016 il
difensore depositava memoria chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso
proposto dal De Colle come parte civile.

della sentenza affetta da una scelta di campo “colpevolista” in danno del De
Colle, poiché la Corte territoriale

non ha compiuto una valutazione

sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dal Di Lena, dalla moglie di questi – Di
Ronco Graziella – e da Moro Maria, ritenute attendibile e, viceversa, è pervenuta
al giudizio di inattendibilità di De Colle Giobatta ed Esposito Isabella sulla
eziologia delle lesioni riportate dal Di Lena, lesioni, la cui entità è incompatibile
con un colpo inferto alle spalle della vittima che avrebbe avuto effetti ben più
devastanti, e, viceversa, compatibile con l’urto contro il badile nella fase della
caduta a terra del Di Lena. Ulteriore vizio (in relazione alla lett. d) dell’art. 606
cod. proc. pen., discende dal mancato confronto fra la Moro e De Colle Giobatta.
7. Il De Colle, in qualità di parte civile, deduce il vizio di illogicità della
sentenza di appello che, in difformità dalla sentenza di primo grado, è pervenuta
all’assoluzione di Di Lena dal reato di lesioni ascrittogli, reato certamente
ascrivibile alla condotta del Di Lena che rimuoveva le pietre della recinzione
provocandone la rovinosa caduta. Viziata da errore nella ricostruzione dei fatti è
anche l’assoluzione della Di Corbo poiché la sentenza dà per scontato che le
lesioni al Di Lena fossero state cagionate dal colpo di badile infertogli dal De
Colle, piuttosto che dalla rovinosa caduta del Di Lena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati
inammissibili.
2. Manifesta è la infondatezza della censura sviluppata nei motivi di ricorso
del Di Lena che, richiamando la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 2548 del
08/01/2010, Giommetti, Rv. 245854) sostiene che non commette il delitto di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni colui che usi violenza sulle cose al fine di
difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di spoglio. Il principio
richiamato, invero, fa riferimento a situazioni di fatto del tutto diverse da quella
contestata al ricorrente e perviene alla conclusione della insussistenza del reato

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6. Anche il De Colle deduce vizi di violazione di legge e vizi di motivazione

nei confronti di chi si reintegri nel possesso medesimo nella flagranza o quasi
flagranza del sofferto spoglio. Ben diversa, secondo quanto illustrato nella
sentenza di appello e nella sentenza di primo grado alla quale questa rimanda
per relationem, è la condotta ascritta all’odierno ricorrente al quale è addebitato
di avere divelto un picchetto apposto “sul confine” delle rispettive proprietà. Il
reato, infatti, è consistito nella indebita attribuzione, da parte dell’autore, a sé
stesso, di poteri spettanti al giudice, in ordine a un diritto rispetto al quale non
viene in rilievo, nella ricostruzione posta a fondamento della sentenza

ripristinare la situazione di possesso prima che venga a consolidarsi il risultato
dell’impossessamento, venendo, invece, in discussione fra le parti la proprietà
del terreno segnato dal confine. Incontestata è anche la condotta materiale
ascritta al Di Lena che assume rilievo penale in quanto diretta alla modifica dello
stato dei luoghi.
3. Con riguardo al ricorso del De Colle, rileva il Collegio che il ricorrente
svolge doglianze che riproducono le censure esposte con i motivi di appello
avverso la decisione di primo grado, censure che non sono state ignorate dai
giudici di secondo grado, che, con motivazione articolata e diffuso richiamo alle
dichiarazioni rese dal Di Lena e dalla moglie ( Di Ronco Graziella) hanno valutato
l’attendibilità delle dichiarazioni e la loro coerenza, sia intrinseca che estrinseca,
corroborata dai referti in atti e, con riferimento a circostanze di contorno,
comunque rilevanti ai fini del giudizio di attendibilità della ricostruzione
accusatoria, dalle dichiarazioni rese da una vicina di casa, Moro Maria, accorsa
dopo i fatti, che udiva chiaramente De Colle Giobatta, fratello del ricorrente
accorso sul posto subito dopo i fatti, commentare l’accaduto con il Di Lena
dicendo che il fratello non avrebbe dovuto colpirlo con la pala. Soprattutto la
Corte triestina ha evidenziato che, in contrasto con la linearità della ricostruzione
della persona offesa e della moglie, l’imputato aveva reso dichiarazioni con le
quali non aveva semplicemente negato l’aggressione ma aveva proposto una
versione del fatto infarcita di tali e tante esagerazioni e incongruenze da rendere
completamente inattendibile la sua ricostruzione, già inverosimile sul piano
logico, poiché sosteneva che il Di Lena si era procurato la lesione cadendo di
schiena, e colpendo il badile che egli aveva posato per terra prima dell’arrivo del
vicino, contraddicendo, in tale passaggio, anche quanto aveva dichiarato in
querela dove aveva affermato di avere avuto tra le mani il badile sul quale il Di
Lena, cadendo, si era fatto male. Deve, dunque, pervenirsi alla conclusione che
le censure devolute al giudice di legittimità sono prive di specificità poiché non si
pongono in ragionato confronto con le conclusioni alle quali è pervenuto il
giudice di appello che ha compiuto una valutazione del compendio probatorio in

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impugnata, lo spoglio del preesistente possesso, con conseguente necessità di

linea con la giurisprudenza di legittimità sul punto di valutazione della prova
dichiarativa proveniente dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa costituita
parte civile pervenendo a conclusioni ragionate e argomentate, in nessun modo
tacciabili di illogicità.
4. Manifestamente infondata è anche la censura relativa al mancato
esperimento del confronto tra la Moro e il De Colle. Il confronto, invero, non
rientra tra le prove decisive di cui all’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc.
pen., trattandosi di prova a carattere “neutro”, sottratta alla disponibilità delle

D’Aponte), che, nel caso in esame, ha giustificato, con motivazione immune da
censura, la scelta di non accogliere la richiesta di procedere alla rinnovazione
dell’istruttoria in appello evidenziando i tratti di convergenza del racconto dei
testi tali da rendere del tutto superfluo, ai fini della ricostruzione dei fatti, l’atto
richiesto.
5. Ad analoga conclusione di inammissibilità deve pervenirsi con riguardo ai
motivi di ricorso proposti dalla parte civile De Colle in relazione alla intervenuta
assoluzione del Di Lena e della Di Corbo dai reati di lesioni e ingiuria loro ascritti
ai capi b) e d). Trattasi, infatti, di censure che si risolvono in deduzioni di merito
attraverso le quali viene proposta una diversa, e alternativa, lettura dei risultati
di prova conseguiti, censure che non possono essere devolute al giudice di
legittimità non rientrando tra i vizi della motivazione di cui all’art. 606, comma 1,
lett. e) cod. proc. pen. integrati dalla mancanza, dalla manifesta illogicità o
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o
affermato quando mancante) della motivazione e inerenti ad aspetti essenziali ed
idonei ad imporre una diversa conclusione del processo. Sono, infatti,
inammissibili in sede di legittimità le doglianze che sollecitano una differente
comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o
evidenziano ragioni in fatto, per giungere a conclusioni differenti sui punti
dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del
singolo elemento, operazioni di verifica che il ricorrente sollecita riproponendo la
comparazione dei risultati di prova provenienti dalle dichiarazioni rese dal De
Colle, qui persona offesa, con quelle del Di Lena e della Di Corbo, dichiarazioni
della persona offesa che il giudice di appello, con motivazione logica, come
ha ritenuto non attendibili, perché

illustrato al punto 3 che precede,
intrinsecamente contraddittorie.

6. Alla declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni segue per legge la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di ciascuno di
essi al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che
stimasi equo stabilire nella misura, pro capite, indicata in dispositivo.

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parti e rimessa alla discrezionalità del giudice (Sez. 2, n. 35661 del 16/05/2014,

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro mille in favore della
cassa delle ammende.

Così deciso il 9 marzo 2016

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