Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16088 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16088 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: BORSELLINO MARIA DANIELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Tuda Sandri nato il 13/11/1997 avverso l’ordinanza del Tribunale di L’Aquila del
14 dicembre 2017.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA DANIELA BORSELLINO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Giulio Romano
che ha concluso per il rigetto.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.Con ordinanza pronunziata il 14 dicembre 2017 il Tribunale di L’Aquila sezione
per il riesame, rigettava l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta
nell’interesse di Tuda Sandri avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Teramo, con cui era stata applicata al predetto Tuda
la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto attinto da gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai reati di spaccio di cocaina e di estorsione consumata in
danno di Rosa Mirko, aggravata dall’uso di arma e dal concorso di più persone
riunite, per costringerlo a pagare il corrispettivo della cessione di sostanza
stupefacente e il debito da lui maturato nei confronti di altro spacciatore tratto in
arresto.
2.Avverso il detto provvedimento ricorre il Tuda tramite il suo difensore
deducendo:
1)vizio di motivazione in relazione all’omessa valutazione delle circostanze
allegate dalla difesa, al fine di giustificare l’invocata applicazione di una
cautelare meno afflittiva.

misura

Data Udienza: 29/03/2018

Al riguardo il ricorrente deduce che il tribunale avrebbe fondato il proprio
pro.vvedimento di rigetto dell’istanza di riesame sulla gravità del reato,
trascurando di considerare che la personalità e la condotta dell’indagato non
sono tali da rendere inadeguata la misura cautelare domiciliare, in ragione della
sua condizione di incensurato e del ruolo prevalentemente passivo assunto
nella vicenda criminosa rispetto al fratello coindagato.
Inoltre il tribunale avrebbe omesso di considerare che le emergenze processuali
non dimostravano comunque l’intraneità del Tuda a contesti malavitosi

dall’articolo 275 c.p.p. le ragioni per cui la misura degli arresti domiciliari, anche
con l’applicazione del braccialetto elettronico, non risulterebbe idonea a tutelare
le ravvisate esigenze cautelari.
Il tribunale avrebbe giustificato tale giudizio di inidoneità, evidenziano le scarse
capacità di autocontrollo dell’indagato,ma omettendo di considerare che questi è
alla sua prima esperienza giudiziaria e cautelare, sicché non sussistono
precedenti occasioni da cui desumere elementi oggettivi tali da ritenere
dimostrata la detta incapacità di osservare le prescrizioni inerenti la eventuale
misura cautelare meno afflittiva.
A sostegno del proprio assunto la difesa evidenzia come anche la Corte di
legittimità abbia ribadito la necessità di rispettare il principio del minore
sacrificio necessario, in quanto il principio di proporzionalità, al pari di quello di
adeguatezza, deve operare come parametro di commisurazione delle misure
cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento
della scelta del provvedimento coercitivo che per tutta la durata dello stesso.
1.11 ricorso è infondato perché generico.
La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è
censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice
di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi
logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato
l’applicazione della misura. (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015 – dep.
11/12/2015, Mascolo e altro, Rv. 26524401).
Nel caso in esame il ricorrente ha censurato in modo generico le specifiche
argomentazioni del tribunale in ordine alle esigenze cautelari, che , a dispetto di
quanto lamentato in ricorso, non si limitano a fare riferimento alla gravità del
reato ma si basano sulle particolari modalità della condotta dell’imputato,
caratterizzate da una allarmante progressione criminosa, sintomatica di una
significativa intensità del dolo, tale da far ritenere che lo stesso non abbia alcuna
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organizzati, e non avrebbe chiarito in maniera specifica, come imposto

remora a porre in essere, unitamente al fratello, attività delittuose e che la
misura degli arresti domiciliari, basata ‘sulle proprie capacità di autocontrollo,
non sia adeguata a contenere la sua spiccata propensione a delinquere,
aggravata dagli innegabili rapporti con altro connazionale dedito allo spaccio.
Il ricorrente non si è confrontato con questa motivazione, limitandosi a ribadire,
con considerazione quasi eccentrica, il contenuto dell’atto di appello e cioè il
presunto ruolo di gregario assunto nella vicenda, l’assenza agli atti di elementi
da cui desumere l’inserimento dell’indagato in contesti di criminalità organizzata,

della sua incapacità a rispettare le eventuali prescrizioni di una misura
domiciliare.
Dalla lettura dell’ordinanza genetica emerge con indiscutibile evidenza la spiccata
pericolosità sociale dell’imputato che, unitamente al fratello e senza distinzione
di ruoli, non ha esitato a porre in essere, dapprima, minacce e,poi,una serie di
condotte violente ed eclatanti ai danni della persona offesa, tra cui il
danneggiamento dell’abitazione e l’attentato incendiario della vettura dei
genitori, per indurla a pagare anche un debito maturato nei confronti di altro
spacciatore, all’epoca detenuto.
La difesa lamenta l’omessa motivazione, senza tuttavia considerare che le
deduzioni difensive sono state implicitamente superate dalle osservazioni del
Tribunale che ha sottolineato la peculiare gravità della progressione criminosa
realizzata dall’indagato, in pieno accordo con il fratello, progressione che appare
sintomatica della sua pericolosità, a dispetto della sua condizione di incensurato.
In conclusione le censure difensive appaiono manifestamente infondate.
Si impone pertanto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma che si ritiene congrua di euro 2000 da versare in favore della cassa
delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000 alla Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp.att. cod.proc.pen.
Motivazione semplificata.
Così deciso il 29/3/2018
liere Estensore
la Borsellino

Il Presidente

e l’assenza di precedenti esperienze giudiziarie del Tuda, da cui trarre la prova

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