Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16086 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16086 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: BORSELLINO MARIA DANIELA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Carbone Andrea Fortunato nato il 27/10/1965 a Casteldaccia
avverso l’ordinanza del 20/11/2017 del Tribunale di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA DANIELA BORSELLINO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Giulio
Romano che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.Con ordinanza pronunziata il 20 novembre 2017, il Tribunale di Palermo,
sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, ha rigettato l’istanza proposta
nell’interesse di Andrea Carbone e per l’effetto ha confermato l’ordinanza emessa
dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo con cui era stata
applicata al predetto la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto
attinto da gravi indizi di colpevolezza in ordine ad un reato di estorsione
aggravata dall’art. 7 D.I. n. 152/91, per avere costretto Pecoraro Antonino e
Pecoraro Giuseppe, proprietari dello stabilimento di acqua minerale La Fonte Srl,
a corrispondere C 5000 per il pagamento delle spese legali dei detenuti, tra cui lo
stesso Carbone, al fine di agevolare l’associazione mafiosa.
Il Tribunale ha ritenuto che alla luce delle emergenze investigative, costituite
dalle dichiarazioni incrociate dei collaboratori di giustizia Zarcone e Gennaro,
riscontrate dall’intercettazione ambientale della conversazione del 3 luglio 2009 e
dalle dichiarazioni di Giuseppe Pecoraro, l’episodio estorsivo fosse strettamente
collegato all’inserimento organico del Carbone all’interno dell’associazione
mafiosa Cosa Nostra, che ha già costituito oggetto di statuizione definitiva,
avendo il Carbone riportato due condanne irrevocabili per il reato di cui
all’articolo 416 bis cod.pen. commesso sino al 29 maggio 2009.

Data Udienza: 29/03/2018

2.Avverso il detto provvedimento ricorre il Carbone tramite il suo difensore
deducendo:
1)inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 273 lettera A cod.proc.pen.
per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il quadro indiziario a carico del Carbone non fornirebbe elementi specifici chiari e
sufficienti ad integrare il presupposto necessario per l’applicazione della misura
cautelare. In particolare, il contenuto dei colloqui non potrebbe ritenersi preciso
ed univoco e non possiederebbe un grado di capacità descrittiva tale da
consentire la ricostruzione del fatto contestato.

poiché non sussisterebbe alcun pericolo di inquinamento probatorio o alcun
elemento concreto da cui si possa evincere la volontà dell’indagato di sottrarsi
alla misura rendendosi irreperibile. Ed infatti, a dispetto di quanto sostenuto dal
Tribunale, che ha agganciato il detto pericolo di fuga alla mera appartenenza del
Carbone alla associazione mafiosa in grado di garantirgli il supporto necessario in
caso di latitanza, il ricorrente sottolinea che è stato dimostrato il contrario,
poiché l’indagato non si è sottratto alle prescrizioni nel periodo di applicazione
della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Il ricorrente deduce,
inoltre, che nel caso del Carbone non sarebbe assolutamente prospettabile un
pericolo di reiterazione del reato, dato che il predetto non avrebbe mai
commesso la contestata estorsione.
3)Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla adeguatezza della
misura cautelare applicata. Il ricorrente deduce che ai sensi dell’articolo 275
cod.proc.pen. il giudice deve tenere conto della specifica idoneità di ciascuna
misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare,
mentre la misura cautelare applicata all’indagato sarebbe basata esclusivamente
su mero pregiudizio in ragione della personalità e delle precedenti condanne
riportate dall’indagato, piuttosto che sulla base delle attuali esigenze cautelari
relative al fatto specifico per il quale si procede.
3.11 ricorso è inammissibile poiché manifestamente infondato.
In punto di diritto va rilevato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova
piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’articolo 192 cod. proc.pen)
ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Pertanto ai fini
dell’adozione di una misura cautelare è sufficiente qualunque elemento probatorio
idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati
secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’articolo 192 comma
2 cod.proc.pen., come si desume dell’articolo 273 comma uno bis cod.proc.pen.,

2

2)Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari,

che richiama i commi terzo e quarto dell’articolo 192 citato, ma non il comma due
dello stesso articolo, che richiede una particolare qualificazione degli indizi.
Inoltre va sottolineato che il ricorso per cassazione il quale deduca insussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza e assenza delle esigenze cautelari è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta
illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando, come nel caso di specie, propone e
sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono
in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.

secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il
Collegio aderisce, in materia di intercettazioni l’interpretazione del linguaggio e
del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se
motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza
(Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, Melfi).
Nel caso in esame nessuno dei vizi dedotti – violazione di legge o vizio di
motivazione rilevante ex art. 606 cod.proc.pen. comma uno lett. E – risulta
essersi verificato, a fronte di una motivazione diffusamente prospettata in modo
logico, senza irragionevolezza, con completa e coerente giustificazione di
supporto alla affermata necessità della misura e alla sua adeguatezza.
I giudici del riesame hanno esaminato la condotta delittuosa del ricorrente,
ricostruita attraverso un compendio indiziario, connotato della necessaria
gravità, tratto dal contenuto delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia,
riscontrate dalle intercettazioni ambientali e dalle informazioni rese dalla persona
offesa.
il tribunale ha correttamente evidenziato il contenuto inequivoco delle due
conversazioni intercettate da cui emerge il fattivo coinvolgimento dell’indagato
nell’episodio estorsivo, con il ruolo di mandante della pretesa estorsiva,
nonostante il suo stato di detenzione, mentre la difesa non ha neppure allegato
specifiche ragioni o elementi di prova da cui desumere che l’interpretazione
condivisa dal tribunale possa ritenersi illogica o contraddittoria.
A ciò si aggiunga che nel corso dell’udienza di convalida l’indagato, pur negando
di avere mai dato incarico ai suoi interlocutori di avanzare richieste estorsive nei
confronti del Pecoraro, ha ammesso che nel corso della conversazione
intercettata con il Flamia, lo aveva incaricato di recuperare una somma
dovutagli, in relazione ad una vicenda non meglio specificata, a cui il Pecoraro
era però estraneo, così confermando, sia pure in parte, l’interpretazione fornita
dagli inquirenti.

3

Inoltre, in relazione a quanto si evidenzierà qui di seguito, occorre precisare che

4.Anche il secondo motivo di ricorso relativo ai requisiti di concretezza e attualità
delle esigenze cautelari, è manifestamente infondato poiché il tribunale ha
adeguatamente fatto riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari relative
al pericolo di inquinamento probatorio, al pericolo di fuga e al pericolo di
reiterazione del reato atteso lo stabile inserimento dell’indagato nell’ambito
dell’organizzazione mafiosa che rende evidente il rischio di reiterazione di
condotta della stessa indole. Il ricorrente si limita a contestare le esigenze
connesse al rischio di inquinamento probatorie e al pericolo di fuga senza
spendere alcun argomento nei confronti della spiccata pericolosità sociale

all’esterno incarichi e disposizioni.
In conclusione le censure difensive appaiono manifestamente infondate.
5.Si impone pertanto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma che si ritiene congrua di euro 2000 da versare in favore della cassa
delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000 in favore della cassa delle
Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp.att. cod.proc.pen.
Motivazione semplificata
Così deciso il 29/3/2018
Il Consigliere Estensore
Maxiaianiela Borsellino

Il Presidente
D menico Gallo

dell’imputato, che nonostante la misura custodiale, ha continuato ad inviare

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