Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16072 del 20/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16072 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: PAZIENZA VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso straordinario proposto da:
ABBINANTE Gennaro, nato a Napoli il 15/01/1990
avverso la sentenza n. 27784 del 05/04/2017 della Corte Suprema di Cassazione
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vittorio Pazienza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha
concluso chiedendo

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27/11/2015, la Corte d’Appello di Napoli riformava
parzialmente – per quanto qui specificamente rileva – la sentenza emessa in data
16/04/2014 con rito abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Napoli, con la quale
ABBINANTE Gennaro era stato (tra gli altri) condannato in relazione ai reati a lui
ascritti ai capi 1 (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti
in tema di stupefacenti, con ruolo di organizzatore) 2 (cessione di cocaina in
concorso), 7 (guida senza patente) E 7-bis (simulazione di reato).

Data Udienza: 20/02/2018

In particolare, la Corte d’Appello riqualificava il reato sub 1) ai sensi del
comma 2 dell’àrt. 74 d.P.R. n. 3Ó9 del 1990, rideterminando la pena e
confermando nel resto.
2.

In

parziale

accoglimento

del

ricorso

proposto

nell’interesse

dell’ABBINANTE, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza in
epigrafe, ha annullato senza rinvio la decisione della Corte d’Appello quanto al
capo 7) perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, eliminando la
relativa pena; ha inoltre dichiarato inammissibile l’impugnazione quanto al capo

3. Avverso tale decisione, propone ricorso straordinario l’ABBINANTE, a mezzo
del proprio difensore, lamentando che la Suprema Corte era incorsa in quattro
errori di fatto non avendo valutato, per mera svista, una larga parte delle
deduzioni svolte con atto depositato il 30/03/2017: atto con il quale erano state
segnalate tre sviste riscontrate nella sentenza della Corte d’Appello.
In particolare, il ricorrente evidenzia che quest’ultima aveva anzitutto posto a
fondamento della responsabilità una prova inesistente, in quanto nelle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia VIZIOLI, pur valorizzate dal giudice di
secondo grado, non vi era alcun riferimento all’ABBINANTE. Inoltre, la Corte
d’Appello aveva completamente trasformato il contenuto della prova in relazione
alle dichiarazioni dell’altro collaboratore PIANA, che si era limitato a riconoscere il
ricorrente e ad attribuirgli un ruolo nell’associazione. La Corte territoriale aveva
poi attribuito all’ABBINANTE un ruolo nel sodalizio capeggiato dal padre Guido,
laddove invece quest’ultimo capeggiava il sodalizio ex art. 416-bis cod. pen. di cui
al capo 24, non contestato al ricorrente. Inoltre, con la richiamata memoria, era
stato evidenziata alla Suprema Corte l’attribuzione, all’ABBINANTE, di un ruolo ed
un profilo inesistenti (la «dimestichezza nel condurre la contrattazione per
l’acquisto delle partite di droga di non poco rilievo»), in quanto dalle intercettazioni
erano emersi solo alcuni inviti, rivolti dall’ABBINANTE al debitore/acquirente
TORRISI, a provvedere ad effettuare il pagamento dello stupefacente al
TRIPICCHIO.
Il ricorrente richiama la giurisprudenza che ammette il ricorso straordinario
qualora l’errore di fatto riguardi l’omesso esame di un motivo di ricorso,
evidenziando che, nella specie, la Suprema Corte non si era avveduta che le
doglianze prospettate nell’atto del 30/03/2017 non riguardavano solo i profili del
divieto di reformatio in peius e di necessaria correlazione tra accusa e sentenza:
ciò doveva desumersi dall’assoluto silenzio della sentenza sulle quattro questioni
dedotte, silenzio che non poteva essere ricondotto ad un implicito rigetto.

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7-bis), rigettandola nel resto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va anzitutto qui richiamato un un consolidato indirizzo interpretativo di
questa Suprema Corte, che si condivide e si intende qui ribadire, secondo cui «in
tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, l’omessa motivazione
in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di

debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia
soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite
dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso
esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo
un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente
diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato;
in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non
riprodotta era, contro la regola di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., decisiva
e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione» (Sez.
2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268982. In senso conforme, cfr. ad es.
Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, Manfredi, Rv. 263113).
2.1. Come già accennato, il ricorso presentato dall’ABBINANTE lamenta, sotto
un primo profilo, l’omesso esame di una parte delle questioni dedotte con memoria
in data 30/03/2017: in particolare, anzitutto, la difesa si duole del mancato esame
delle censure concernenti la valorizzazione, quale elemento a carico, delle
dichiarazioni rese dai collaboranti VIZIOLI e PIANA. Si è visto anche che – quale
obiettivo riscontro della svista in cui era incorsa la Corte di cassazione, che aveva
indotto alla proposizione del ricorso straordinario – il ricorrente ha richiamato il
fatto che, in motivazione, erano stati affrontati e disattesi solo gli ulteriori profili
dedotti con la predetta memoria del 30/03/2017 (violazione del ne bis in idem e
del principio di correlazione tra accusa e sentenza), ma non anche quelli
concernenti le predette prove dichiarative.
L’impostazione difensiva non può essere condivisa.
Va invero evidenziato, per un verso, che la sentenza della Sesta Sezione di
questa Corte, nell’affrontare la posizione di ABBINANTE Gennaro, ha anzitutto
sinteticamente richiamato (pag. 8 ss.) i motivi di ricorso presentati nell’interesse
del predetto imputato: in quella sede, il Collegio ha fatto riferimento non solo alle
doglianze formulate nell’impugnazione presentata dall’avv. D’Avino (allegata in
copia all’odierno ricorso straordinario), ma anche, ed anzitutto, le censure dedotte
nel ricorso dall’altro difensore avv. Greco.

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fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., allorché il motivo proposto

Dalla sintesi dei motivi proposti dal predetto difensore, operata dalla Sesta
Sezione . (sintesi non contestata dalla difesa, che non ha del resto neppure . allegato
in copia il ricorso in questione), emerge che l’avv. Greco ha dedotto vizio di
motivazione e travisamento della prova con riferimento alla ritenuta responsabilità
dell’ABBINANTE per il reato associativo (si riporta, qui di seguito, il punto 5.1. del
“ritenuto in fatto”: «il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale di sia
limitata a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado con
considerazioni apodittiche e stereotipate, omettendo di rispondere alle specifiche

dell’imputato con Rosario Tripicchio – avendo il Giudice d’appello fatto un
inconferente ed illogico richiamo alle dichiarazioni rese da Salvatore Vizioli -, come
la chiamata in realtà di Giovanni Piana risulti generica ed inattendibile e come
faccia comunque difetto un rapporto di collaborazione stabile e continuativo
dell’imputato ai fini del conseguimento degli scopi illeciti della consorteria»).
È dunque evidente che l’avv. Greco aveva censurato, nei propri motivi, la
sentenza della Corte d’Appello per aver confermato la responsabilità
dell’ABBINANTE, in relazione al reato associativo, valorizzando le dichiarazioni del
VIZIOLI e del PIANA: temi ripresi e sviluppati nella memoria difensiva presentata,
in data 30/03/2017, dal nuovo difensore dell’imputato avv. Vennetiello.
Per altro verso, deve qui evidenziarsi che la sentenza oggi impugnata ha preso
espressamente in considerazione, nella parte motiva (pag. 28), le doglianze
precedentemente sintetizzate al punto 5.1, e le ha disattese – per quanto qui
specificamente interessa – ritenendo che la sentenza della Corte territoriale fosse
immune da vizi deducibili in sede di legittimità, «giusta i puntuali riferimenti alle
emergenze processuali (dichiarazioni del collaboratore Giovanni Piana ed
acquisizioni investigative) e la conformità a ragionevolezza del ragionamento
seguito (v. pagine 64 e seguenti della sentenza in esame). D’altra parte, il
ricorrente propone una rilettura delle dichiarazioni rese da collaboratore di
giustizia Giovanni Piana in un senso stimato più plausibile, sollecitando
un’operazione non consentita al Giudice di legittimità, a fronte della completezza
e non manifesta illogicità del compendio motivazionale del provvedimento in
verifica» (cfr. pag. 28, cit.).
Alla luce di quanto precede, ritiene il Collegio – sulla scorta degli insegnamenti
giurisprudenziali inizialmente richiamati – che l’omesso esame delle questioni
dedotte con la memoria 30/03/2017, lamentata con il ricorso straordinario, sia
soltanto apparente, risultando tali questioni assorbite dall’esame dei motivi
formulati nel ricorso dell’avv. Greco.
È opportuno evidenziare che, in tale prospettiva, risulta del tutto irrilevante il
fatto che la motivazione della sentenza oggi impugnata abbia fatto espresso
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doglianze difensive; evidenzia come manchi la prova di una continuità dei rapporti

riferimento al solo PIANA, e non anche all’altro dichiarante VIZIOLI: il riferimento
alle. «pagine 64 e seguenti della sentenza iii esame» rivela infaiti, in modo
assolutamente inequivoco, che la Sesta Sezione ha preso in considerazione anche
le valutazioni espresse dalla Corte d’Appello sul contributo dichiarativo del
VIZIOLI. Dall’esame della sentenza d’appello, allegata in copia al ricorso
straordinario, emerge invero che la Corte territoriale ha dedicato le ultime righe
di pag. 64, e l’intera parte della pag. 65 che precede le considerazioni conclusive
sulla pena irrogata, proprio alle dichiarazioni rese dal VIZIOLI su TRIPICCHIO

idonee a riscontrare l’intraneità dell’odierno ricorrente al sodalizio dedito al traffico
di stupefacenti (la Corte d’Appello ha peraltro precisato, a pag. 65, che nonostante
l’accertato contatto con il TRIPICCHIO non era possibile attribuire, all’ABBINANTE
Gennaro, un ruolo apicale nel sodalizio).
Deve dunque escludersi, nella fattispecie in esame, la sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen.: non potendo tale rimedio essere
evidentemente invocato per lamentare «un erroneo vaglio delibativo di aspetti del
compendio storico-fattuale, essendo in tal caso prospettato un errore non di fatto,
bensì di giudizio» (Sez. 6, n. 37243 del 11/07/2014, Diana, Rv. 260817).
2.2. Manifestamente infondate sono anche le ulteriori doglianze dedotte con
il ricorso straordinario, concernenti l’omessa pronuncia sulle censure formulate,
nei confronti della sentenza d’appello, sia in ordine all’erroneo richiamo al
coinvolgimento dell’odierno ricorrente «nel sodalizio di cui il padre è all’apice», sia
alla «dimestichezza nel condurre la contrattazione per l’acquisto delle partite di
droga», conferita all’ABBINANTE sulla scorta delle intercettazioni.
Risulta invero assorbente, nel primo caso, la non decisività del richiamo in
questione nell’economia della sentenza (né la sussistenza di tale requisito è stata
in alcun modo dimostrata dal ricorrente).
Quanto alla seconda questione prospettata, deve osservarsi che l’utilizzo del
materiale captativo da parte della Corte territoriale, quale elemento di riscontro
dei contributi dichiarativi, è stato espressamente tenuto presente dalla sentenza
della Sesta Sezione, e da questa ritenuto immune da censure (cfr. pag. 28): ciò
preclude ogni ulteriore approfondimento in ordine alla doglianza difensiva, alla luce
dell’indirizzo interpretativo secondo cui «è inammissibile il ricorso straordinario per
errore di fatto con il quale si deducano pretesi errori di lettura, comprensione o
valutazione di atti processuali del giudizio di merito, invece di una inesatta
percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di
cassazione» (Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, Di Matteo, Rv. 244067).
3. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di
inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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Rosario, uomo di fiducia degli ABBINANTE: dichiarazioni espressamente ritenute

processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa
delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa

Così deciso il 20 febbraio 2018

Il Consiglere estensore
Vittori’ Pazienza

Il Presidente
enico Gallo

delle ammende.

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