Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16064 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16064 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: SGADARI GIUSEPPE

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:
1) Del Sole Napoleone, nato a Napoli il 25/05/1978,
2) Scognamiglio Ciro, nato a Pozzuoli il 28/10/1978,
3) Mellone Vincenzo, nato a Pozzuoli 1’01/04/1955,
4) Migliorato Massimo, nato a Pozzuoli il 18/04/1969,
5) De Felice Ciro, nato a Pozzuoli il 23/05/1962,
avverso la sentenza del 27/01/2017 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Giulio
Romano, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso di Scognamiglio
Ciro e di Del Sole Napoleone;
il rigetto del ricorso di De Felice Ciro;
il rigetto del ricorso di Mellone Vincenzo e Migliorato Massimo;
udito il difensore, avv. Marcello De Fraia per Migliorato Massimo e Mellone
Vincenzo ed anche in sostituzione dell’Avv. Antonio Smaldone per Scognamiglio
Ciro.
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Data Udienza: 29/03/2018

che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli, in esito a giudizio
abbreviato, confermava la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Napoli che aveva condannato i ricorrenti alle pene di giustizia in
relazione a reati di estorsione tentata e consumata e di rapina aggravata loro

camorristica operante in Pozzuoli, individuata come gruppo LongobardiBeneduce.
2. Per quanto qui di interesse, i ricorrenti Del Sole Napoleone, Scognamiglio Ciro,
Migliorato Massimo e Mellone Vincenzo, sono stati ritenuti responsabili del reato
di concorso in tentata estorsione pluriaggravata di cui al capo A) della
imputazione, commessa ai danni dei congiunti De Rosa Luigi e Cacciuottolo Rita,
che costringevano, con minacce aggravate dal metodo mafioso e per agevolare il
predetto sodalizio criminale, a versare loro la somma di un indennizzo
assicurativo spettante alla Cacciuottolo, non riuscendovi

perché il De Rosa

aveva denunciato i fatti.
Il Del Sole Napoleone, nel frattempo divenuto collaboratore di giustizia, è stato,
inoltre, ritenuto responsabile di ulteriori reati (quelli di cui ai capi B), C), E), F) e
G), quest’ultimo – trattasi di estorsione consumata pluriaggravata – commesso in
concorso con il ricorrente De Felice Ciro.
3. Avverso la sentenza e per il suo annullamento ricorrono in questa sede gli
imputati, con distinti atti.
3.1. Del Sole Napoleone, a mezzo del suo difensore, deduce violazione di legge
per non avere la Corte riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, la
massima diminuzione di pena per la circostanza attenuante della collaborazione
di cui all’art. 8 Legge n. 203/1991 ed una pena più mite.
3.2. e 3.3. Migliorato Massimo e Mellone Vincenzo, a mezzo del loro comune
difensore e con unico atto deducono:
1) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilità per il reato estorsivo di cui al capo A), affermata dalla Corte di
Appello senza tenere conto di prove decisive, sottolineate con i motivi di appello,
idonee ad indebolire l’attendibilità delle persone offese ed a fornire un’alternativa
ricostruzione della vicenda.
Segnatamente ed in sintesi, tale ricostruzione mirerebbe a dimostrare la liceità
del credito vantato dal Migliorato Massimo verso la Cacciuottolo ed il De Rosa,
per essersi il ricorrente occupato – su incarico di un legale – della pratica
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rispettivamente ascritti e riconnessi alle dinamiche criminali di una articolazione

assicurativa per l’incidente stradale subito dalla Cacciuottolo in relazione al quale
egli pretendeva il pagamento dei compensi e la restituzione della somma di 2000
euro inizialmente corrisposta alla persona offesa a titolo di prestito personale. A
tale scopo, il Migliorato avrebbe coinvolto il coimputato Mellone, soggetto
lontano da ambienti criminali, che si sarebbe intromesso solo a titolo amichevole
e senza proferire alcuna minaccia nei confronti di chicchessia.
I due ricorrenti, nella loro prospettiva e secondo le loro stesse dichiarazioni e
quelle del collaborante Del Sole, non avrebbero preso parte a tutte le successive

Sole, che essi non negano ma che riconducono ad una autonoma e successiva
iniziativa dei componenti di quella articolazione territoriale della camorra,
finalizzata a rimarcare la capacità di controllo del territorio e delle vicende che in
esso accadevano, ivi compresa quella per cui è processo.
A conferma di questa diversa ricostruzione, militerebbero alcuni elementi di
prova che la Corte di Appello avrebbe pretermesso e che sarebbero dimostrativi
dell’inaffidabilità delle persone offese e dei soggetti informati dei fatti a loro
vicine.
Uno di questi decisivi elementi sarebbe costituito dalle dichiarazioni della
direttrice di banca Castaldi, che avrebbe sconfessato il racconto della parte
offesa De Rosa, a proposito del fatto che il Migliorato si sarebbe appropriato del
libretto bancario nel quale era stata depositata la somma riveniente dalla
liquidazione del danno effettuata dalla compagnia assicuratrice.
Sulla base di questa emergenza, peraltro, fin dalla fase cautelare il reato era
stato declassato a livello di tentativo, non prestandosi fede all’iniziale racconto
del De Rosa.
Un altro elemento che condurrebbe nel senso auspicato dalla difesa sarebbe
costituito dall’interruzione della condotta ben tre mesi prima del provvedimento
di fermo a carico degli indagati, a documentare una desistenza volontaria da
parte del duo Migliorato-Mellone, vittime del comportamento truffaldino delle
persone offese nei loro confronti più che soggetti attivi del reato estorsivo, come
sarebbe emerso anche dal fatto che il Migliorato era stato picchiato da Tizzano
Rosario, amico del De Rosa che era intervenuto nella vicenda a favore di
quest’ultimo, il quale aveva taciuto tale decisiva circostanza.
Altre decisive incongruenze, segnalate in ricorso, atterrebbero alle dichiarazioni
dei testi Porpora Maddalena, coniuge del De Rosa e di Tizzano Rosario; mentre le
dichiarazioni del collaborante Del Sole confermerebbero la tesi difensiva
dell’uscita di scena del duo Migliorato-Mellone rispetto alle condotte del gruppo
criminale facente capo allo stesso Del Sole;

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condotte poste in essere dal gruppo camorristico facente capo allo stesso Del

2) violazione di legge e vizio della motivazione per non avere la Corte di Appello
qualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sulla base
dell’alternativa ricostruzione della vicenda delineata con il primo motivo di
ricorso;
3) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art 7 D.L. 152/91 e di quella delle più persone riunite.
I ricorrenti, a sostegno delle loro critiche, muovono sempre dalla alternativa
ricostruzione dei fatti offerta con il primo motivo di ricorso, idonea a consentire

quali sarebbero riferibili le indicate aggravanti;
4)

violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al diniego delle

circostanze attenuanti generiche ed alla attribuzione di una provvisionale alle
parti civili.
3.4. Scognamiglio Ciro, a mezzo del suo difensore, deduce:
1) vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per l’estorsione di
cui al capo A), cui la Corte sarebbe giunta senza una adeguata valutazione
dell’attendibilità delle persone offese, non fornendo congrue spiegazioni a tutte le
critiche difensive volte a rappresentare il mendacio in cui esse sarebbero incorse
nella descrizione di alcuni aspetti della vicenda;
2) violazione di legge per non avere la Corte qualificato il fatto come esercizio
arbitrario delle proprie ragioni;
3) violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui
all’art. 7 D.L. 152/91.
3.5. Il ricorrente De Felice Ciro, nel suo stesso interesse, deduce violazione di
legge e vizio della motivazione per non avere la Corte riconosciuto le circostanze
attenuanti generiche come prevalenti rispetto all’aggravante di cui all’estorsione
sub capo G), nonché per non avere riconosciuto la circostanza attenuante di cui
all’art. 8 D.L. 152/91 e la continuazione con altro reato precedentemente
giudicato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di Del Sole Napoleone è manifestamente infondato.
1. La sentenza impugnata, ai fgg. 19 e 20, offre congrua motivazione in ordine al
diniego delle circostanze attenuanti generiche, alla mancata applicazione
dell’attenuante di cui all’art. 8 D.L. 152/91 nella sua massima estensione, alla
determinazione della pena.
Richiamando la gravità dei fatti, la loro reiterazione, la negativa personalità
dell’imputato, l’intensità del dolo.
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di separare le loro posizioni da quelle degli altri coimputati, solo alle condotte dei

Ciò, pur valorizzando la successiva collaborazione con la giustizia intrapresa dal
ricorrente ed idonea a supportare il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art.
8 D.L. 152/91 e, con esso, il mancato e cospicuo aumento di pena per
l’aggravante di cui all’art. 7 stesso decreto, contestata con riguardo a tutti i reati
per i quali è intervenuta condanna, peraltro fissando la pena al di sotto della
media edittale del reato di rapina aggravata di cui al capo C).
Dovendosi rammentare che la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal
Collegio, ritiene che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti

nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la
pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad
una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia
frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente
motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario; Sez. 3 n. 1182 del
17/10/2007 dep. 2008, Cilia, rv. 238851).
Inoltre, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti
eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale
di cui all’art. 125, comma 3, cod. pen., anche ove adoperi espressioni come
“pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità
del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri,
Rv.237402).
Infine, con riguardo alla concessione o al diniego delle circostanze attenuanti
generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a
determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che
attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di
esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti
medesime. (Cass. Sez. 2″ sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv
204768).
2. E’ infondato il ricorso di Migliorato Massimo e Mellone Vincenzo.
2.1. I ricorrenti sono stati condannati in entrambi i gradi di merito con conforme
giudizio.
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni
della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda,
confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso
fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i
giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con
criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti
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ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra

riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della
decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2^, n. 1309 del 22 novembre
1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. 3^, n. 13926
del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).
Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna
dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in
cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dai ricorrenti.

dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme,
sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo
giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del
merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in
termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di
entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel
contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n.
44765 del 22/10/2013, Buonfine).
Ancora, secondo la sempre efficace decisione delle Sezioni Unite di questa Corte,
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
“ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi
di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (Cass.
Sez. Un. sent. n. 24 del 24.11.1999 dep. 16.12.1999 rv 214794).
2.2. Fatte queste necessarie premesse, deve rilevarsi che la motivazione delle
due sentenze di merito, offre una ragionata ricostruzione della vicenda
processuale sottesa alla condanna per il reato di tentata estorsione di cui al capo
A), esente da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede, essendosi valorizzati
alcuni decisivi elementi sui quali i ricorrenti sorvolano e che rendono
inconsistenti i tentativi di ricostruire alternativamente i fatti attraverso
l’indicazione di presunti travisamenti della prova o la mancata valutazione di dati
favorevoli agli imputati da parte dei giudici di primo e secondo grado.
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E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere

Ed il dato decisivo, del tutto genericamente richiamato a fg. 15 del ricorso, è
quello valorizzato a fg.12 della sentenza impugnata.
Il narrato della persona offesa De Rosa Luigi, oltre che attraverso le dichiarazioni
della di lui moglie Porpora e dell’amico Tizzano, era stato corroborato dal fatto
che al coimputato Del Sole era stata ritrovata, dopo la segnalazione della
vittima, la scrittura privata intervenuta tra il Migliorato e la Cacciuottolo, avente
ad oggetto, come emerge a fg. 25 della sentenza di primo grado, l’attestazione
della persona offesa di ricevere la somma di 2000 euro dal Migliorato a titolo di

potuto pretendere rispetto alla somma ulteriore di 10.500 euro poi liquidata dalla
compagnia assicurativa e della quale si pretendeva la consegna da parte dei due
ricorrenti.
I quali, nonostante il ponderoso ricorso, glissano del tutto sulla circostanza che
tale scrittura privata fosse pervenuta al Del Sole per mezzo del Loffredo Biagio,
cognato del collaborante, a lui legato nel gruppo camorristico, separatamente
giudicato e condannato per essere anch’egli intervenuto a minacciare la vittima.
Al quale Loffredo la scrittura era stata consegnata dal ricorrente Mellone, che
non poteva averla avuta che dal Migliorato.
Per il che, i giudici di primo e secondo grado, sulla base di queste decisive
quanto elementari emergenze, confortate dalle successive dichiarazioni del Del
Sole, ne hanno tratto le dovute ineccepibili conseguenze: i ricorrenti avevano
consapevolmente attivato, per mezzo di Loffredo Biagio – soggetto noto al
Mellone per come dichiarato dal collaborante Del Sole – esponenti del clan
camorristico in quel periodo capeggiato dal collaboratore di giustizia, affinché
intervenissero presso il De Rosa per convincerlo ad onorare l’impegno con il
Migliorato, dopo che l’intervento del solo Loffredo, sollecitato dal Mellone, non
era andato a buon fine per l’opposizione della vittima che andava domata con
interventi ancora più cruenti.
Dal che, ne era conseguita quella escalation di gravissime minacce – nei confronti
in particolare del De Rosa ma anche del suo amico Tizzano – poste in essere dal
gruppo criminale del Del Sole, confermate da quest’ultimo, ad ulteriore
dimostrazione dell’attendibilità della vittima e peraltro neanche negate dai
ricorrenti.
Tali dati travolgono inesorabilmente, nel giudizio di merito, la tesi difensiva che i
ricorrenti, dopo le richieste asseritamente lecite alle persone offese, fossero
usciti di scena; fossero, cioè, rimasti estranei alle successive minacce commesse
dal clan camorristico contro la vittima, avendovi invece dato corso
personalmente nel senso indicato dalle sentenze di condanna, rendendo

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risarcimento totale per il sinistro occorsole, in modo che ella nulla avrebbe

ininfluente il rilievo che essi non avessero posto in essere direttamente
particolari minacce contro le persone offese.
Il tenore della scrittura, sopra richiamato, rende evanescente, come si ricava
dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, l’ulteriore tesi difensiva del
Migliorato, che aveva sostenuto nel suo interrogatorio di avere prestato i soldi
alla Cacciuottolo sulla base di una causale personale diversa dalla questione del
sinistro stradale.
Risulta ancora, dalla scansione temporale degli avvenimenti, sottolineata nelle

25 luglio del 2014, un giorno dopo l’ultima minaccia al De Rosa; cosicché, la tesi
della desistenza volontaria e della estraneità dei ricorrenti al disegno criminale
dei loro correi non ha alcun pregio logico.
A fronte di questi dati, le circostanze valorizzate in ricorso, oltre che di puro
merito, si rivelano evanescenti e, come tali, non meritavano alcun commento da
parte della Corte di Appello, essendo peraltro state adeguatamente affrontate e
risolte dal giudice di primo grado.
È giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della
sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di
tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le
risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una
valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e
adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di
aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi
implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (in questo
senso v. Cass. Sez. 4 sent. n. 1149 del 24.10.2005 dep. 13.1.2006 rv 233187).
2.3. La disamina che precede, consente di ritenere infondato anche il secondo
motivo di ricorso, avendo la Corte escluso, con ineccepibile consequenzialità
logica rispetto alla conclamata partecipazione morale dei ricorrenti alle minacce
perpetrate contro le vittime dal gruppo camorristico del Del Sole, che la condotta
degli imputati potesse essere qualificata come esercizio arbitrario delle proprie
ragioni.
Tenuto anche conto di quanto sottolineato a fg. 13 della sentenza impugnata, a
proposito della illegittimità della pretesa del Migliorato di ottenere tutta la
somma riscossa a seguito del sinistro stradale occorso alla Cacciuottolo e sulla
straordinaria mole di gravissime minacce effettuate sul De Rosa dal gruppo
criminale, sostanzialmente non contestate.
Deve rammentarsi che, secondo l’ormai consolidata e più recente giurisprudenza
di questa Corte, cui si aderisce in questa sede, integra il delitto di estorsione e
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motivazioni delle sentenze, che il Del Sole era stato sottoposto a perquisizione il

non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa che
si estrinsechi in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni
ragionevole intento di far valere un preteso diritto, con la conseguenza che la
coartazione dell’altrui volontà assume di per sé i caratteri dell’ingiustizia,
trasformandosi in una condotta estorsiva (Sez. 2, n. 33712 del 08/06/2017,
Michelini, Rv. 270425; Sez. 6, n. 11823 del 07/02/2017, Maisto, Rv. 270024).
Qui si aggiunge, che tale diversa qualificazione del fatto, non potrebbe mai
essere fatta valere, neanche in linea di principio, dal ricorrente Mellone, essendo

Sul punto, da ultimo, Sez. 2, n. 45300 del 28/10/2015, Immordino, rv.
264967;Sez.5, n. 52241 del 20/06/2014, D’Ambrosio; Sez. 5, n. 22003 del
07/03/2013, Accarino, rv.255651.
2.4. E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso, poiché la sussistenza
dell’aggravante del metodo e dell’agevolazione mafiosa, nonché quella delle più
persone riunite, sono state tratte dalla Corte di Appello a seguito
dell’accoglimento della tesi accusatoria, come si è visto esente da vizi, che i
ricorrenti avessero concorso nell’azione intimidatoria contro le vittime agita dal
gruppo camorristico che loro stessi avevano attivato con le modalità prima
descritte.
Dovendosi ricordare che, nel reato di estorsione commesso nell’interesse di
un’associazione di tipo mafioso, la simultanea presenza di non meno di due
persone, necessaria a configurare la circostanza aggravante delle più persone
riunite, deve essere individuata in relazione ai plurimi momenti in cui viene
effettuata la richiesta estorsiva ed alla pluralità dei soggetti che interviene a
contattare la persona offesa, esplicitando la natura collettiva della richiesta
proveniente da più soggetti appartenenti al gruppo criminale (Sez. 2, n. 6272 del
19/01/2017, Corigliano, Rv. 269295).
I ricorrenti non contestano che il Del Sole, come dal medesimo dichiarato a
conforto delle affermazioni del De Rosa, avesse agito contro la persona offesa
con il contestuale ausilio di complici, tra i quali, in una occasione, il ricorrente
Scognamiglio (fg. 13 della sentenza impugnata).
2.5. E’ infondato anche l’ultimo motivo.
Le circostanze attenuanti generiche, non sono state concesse dalla Corte di
Appello avuto riguardo alla gravità dei fatti ed al ruolo assunto dai ricorrenti (fg.
15 della sentenza impugnata).
Per il che, trovano applicazione, sul punto, le regole interpretative fissate dalla
giurisprudenza di questa Corte e richiamate a proposito del ricorrente Del Sole.
Quanto alla censura che investe la liquidazione di una provvisionale
immediatamente esecutiva alle parti civili De Rosa, Cacciuottolo e Porpora, deve
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costui un terzo rispetto al rapporto obbligatorio tra il Migliorato e la vittima.

ricordarsi che il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare
condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una
somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per
cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e
destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento
(Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; Sez. 6, n. 50746 del
14/10/2014, G., Rv. 261536).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle

3. E’ manifestamente infondato il ricorso di Scognamiglio Ciro.
Le censure in ordine all’affermazione di responsabilità del ricorrente, sono
alquanto generiche e risultano superate da quanto osservato in questa sede a
proposito dei ricorrenti Migliorato e Mellone, sia con riguardo all’attendibilità delle
persone offese, che con riguardo alla invocata diversa qualificazione giuridica del
fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non deducibile dal ricorrente,
a tacer d’altro, per le stesse ragioni espresse a proposito del coimputato Mellone.
Dovendosi ricordare, in proposito ed anche con riguardo alla sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 152/91, che lo Scognamiglio, secondo le
concordi dichiarazioni del De Rosa e del coimputato Del Sole, aveva
accompagnato quest’ultimo armato di pistola a minacciare di morte la persona
offesa se non avesse onorato l’impegno con il Migliorato, secondo quanto
indicato a fg. 13 della sentenza impugnata.
Ciò esclude in radice, come correttamente ricavabile dalla sentenza impugnata,
che il ricorrente potesse non essere accomunato agli altri esponenti del clan
camorristico almeno con riguardo alla commissione dell’estorsione in discorso,
avendone condiviso il metodo e le finalità.
4. E manifestamente infondato anche il ricorso di De Felice Ciro.
4.1. La Corte ha negato la circostanza attenuante di cui all’art. 8 D.L. 152/91
sulla base di una valutazione di merito, non sindacabile in questa sede, secondo
cui l’apporto collaborativo del ricorrente si era limitato ai fatti oggetto del
presente processo, non utili per lo sviluppo di indagini a più ampio spettro.
Le deduzioni del ricorrente, in proposito, si rivelano del tutto generiche.
4.2. Quanto al bilanciamento tra circostanze, la Corte ha offerto congrua
motivazione a fg. 18 della sentenza impugnata, rimarcando la gravità dei fatti e
la pervicacia dimostrata dal ricorrente nel commetterli, elementi che sono stati
soppesati adeguatamente con l’intervenuta confessione.
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, concorde nel ritenere che in tema di
bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il
giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di
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spese processuali.

avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma
dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi (Sez. 2, n. 3610, del
15/01/2014, Manzari).
La Corte ha, poi, valutato, congrua la pena inflitta dal GUP in misura di gran
lunga inferiore alla media edittale.
Nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai
minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125,
comma 3, cod. pen., anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena

personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402).
4.3. E’ manifestamente infondata anche la censura del ricorrente sul diniego
della continuazione tra il reato per cui si procede ed altro oggetto di precedente
condanna.
Il ricorso, sotto questo profilo, non supera le obiezioni di genericità già messe
in risalto dalla Corte di merito a proposito dei motivi di appello, non essendo,
peraltro, autosufficiente in quanto non è allegata la sentenza relativa al reato
che si vorrebbe porre in continuazione e che, sulla base di quello che emerge
dalla sentenza di primo grado a fg. 66, non era stato ritenuto idoneo a
giustificare l’applicazione dell’istituto.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi dei ricorrenti Del Sole Napoleone,
Scognamiglio Ciro e De Felice Ciro, consegue la condanna dei medesimi al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno alla
Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi
ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di Migliorato Massimo e Mellone Vincenzo, che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Del Sole Napoleone, Scognamiglio Ciro e De
Felice Ciro, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 29.03.2018.
Il Consigliere estensore
Giuseppe Sgadari

Il Presidente
2
[ :,

menico Gallo
…9.-……-.<__S5' --.-C-2 o equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla

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