Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16057 del 28/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 16057 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: CIANFROCCA PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
Nigro Salvatore, nato a Roma il 30.7.1975,
contro la sentenza della Corte di Appello di Roma del 12.9.2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Pierluigi Cianfrocca;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Pietro Molino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’Avv. Daniele Cannerota, in difesa dell’imputato, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14.7.2015 il GUP del Tribunale di Velletri aveva
ritenuto Salvatore Nigro (e, nell’occasione, Luca Romani) responsabile dei delitti
di rapina aggravata e sequestro di persona commessi in Frascati il 5.5.2014 in
danno di Daniela Andrei e, di conseguenza, per quel che qui interessa, esclusa la
aggravante di cui all’art. 628, comma 2 n. 3 cod. pen., riuniti i fatti nel vincolo
della continuazione, ritenuta la contestata recidiva ed applicata la diminuente per
la scelta del rito abbreviato, aveva condannato l’odierno ricorrente alla pena di
anni 4 e mesi 10 di reclusione ed Euro 1.800 di multa con interdizione dai
pubblici uffici per la durata di 5 anni;
2. con sentenza del 12.9.2016 la Corte di Appello di Roma riduceva la
pena inflitta in primo grado portandola ad anni 4 e mesi 4 di reclusione ed Euro
1.200 di multa, confermando nel resto la decisione del GUP;

Data Udienza: 28/03/2018

3. ricorre per Cassazione, tramite il difensore, Salvatore Nigro,
lamentando:
3.1 inosservanza ed erronea applicazione di norme processuali poste a
pena di nullità, con riferimento all’art. 441 cod. proc. pen. in relazione agli artt.
442 e 529 cod. proc. pen.; rileva di aver sollevato, in appello, l’eccezione di
inutilizzabilità della informativa di PG del 5.6.2015 acquisita dal GUP ai sensi
dell’art. 441 comma 5 cod. proc. pen., eccezione che era stata respinta dalla
Corte romana invocando un orientamento di legittimità a suo dire non univoco e

anziché pronunciare la sentenza, aveva disposto un rinvio mandando per la
acquisizione della predetta informativa; insiste, quindi, nel ribadire la illegittimità
di tale iniziativa rilevando come la stessa collocazione della norma suggerisca
che il potere di integrazione probatoria possa essere esercitato soltanto prima
della discussione;
3.2 inosservanza di norme processuali poste a pena di nullità in relazione
all’art. 603 cod. proc. pen. quale conseguenza della mancata acquisizione della
relazione medico-legale e dei relativi allegati prodotti dalla difesa e della
mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale sul punto della imputabilità
dell’imputato; rileva, a tal proposito, come la struttura del giudizio abbreviato
non sia affatto incompatibile con la rinnovazione della istruttoria in appello
aggiungendo che, nel caso di specie, la richiesta era stata fondata su elementi
acquisiti successivamente alla proposizione del gravame; riporta, quindi, le
conclusioni della relazione a firma del dott. Stefano Petrucciani in ordine alla
insussistente ovvero alla gravemente menomata capacità di intendere e di volere
del prevenuto al momento del fatto di cui si discute;
3.3 inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale con
riferimento all’art. 628 cod. pen.; osserva, in proposito, che la Corte di Appello
ha respinto I motivo di gravame articolato sulla qualificazione del fatto
confermandone l’inquadramento nel delitto di rapina non tenendo conto che lo
stesso atteggiamento psicologico dei protagonisti, i quali avevano agito fingendo
di essere carabinieri e, quindi, con l’inganno, escludeva di per sé l’intenzione di
minacciare o usare violenza nei confronti della vittima la quale, sul punto, aveva
reso dichiarazioni diverse da quelle a tal fine valorizzate dal GUP;
3.4 difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione al motivo
di appello in ordine al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche e, comunque, sulla riduzione della pena al minimo edittale; rileva che,
sul punto, la Corte di Appello non ha in alcun modo motivato in risposta con il
motivo di gravame.

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consolidato; ricorda che, nel corso del giudizio, esaurita la discussione, il GUP,

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato e, per altro
verso, concernente censure non consentite in questa sede.
1. Manifestamente infondato è, infatti, il primo motivo con il quale il
ricorrente deduce la nullità della sentenza resa dal GUP il quale, all’esito della
discussione, e dopo essersi ritirato in camera di consiglio, anziché definire il
giudizio con sentenza, ha disposto, con ordinanza, la acquisizione della
informativa di PG del 5.6.2015 differendo quindi per la sua materiale allegazione

A detta del ricorrente, infatti, una volta esaurita la discussione, non vi
sarebbe più alcuna possibilità, per il GUP, di attivare i propri poteri di
integrazione probatoria aggiungendo che tale preclusione si evince dalla stessa
collocazione e successione delle norme dedicate allo svolgimento del giudizio con
rito abbreviato e che, in ogni caso, la diversa soluzione percorsa nel caso di
specie sarebbe in netta contraddizione con lo spirito e la funzione del giudizio
“allo stato degli atti”.
L’inammissibilità del motivo di ricorso deriva, in primo luogo e,
comunque, in maniera già di per sé totalmente assorbente, dalla sua stessa
carenza strutturale; è noto, infatti, che, quando con il ricorso per cassazione si
lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve
illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale
eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”,
in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed
ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino
sufficienti a giustificare l’identico convincimento (cfr., tra le tante, Cass. Pen, 2,
18.11.2016 n. 7.986, La Gumina; Cass. Pen., 3, 2.10.2014 n. 3.207, Calabrese;
Cass. Pen., 6, 5.2.2014 n. 18.764, Barilari; Cass. Pen., 2, 11.5.2017 n. 30.271,
De Matteis).
Nulla ha dedotto sul punto il ricorrente che si è invece limitato ad una
censura di carattere “teorico” omettendo ogni riferimento al contenuto della
informativa a suo avviso illegittimamente acquisita dal GUP e, per altro verso,
sulla sua effettiva incidenza sull’economia della decisione.
In ogni caso, poi, il Collegio deve ribadire quanto già più volte sottolineato
dalla giurisprudenza di questa Corte, ovvero che l’esercizio del potere di
integrazione probatoria del GUP in sede di giudizio abbreviato non è suscettibile
di sindacato in Cassazione, trattandosi di valutazione ampiamente discrezionale

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agli atti e per la decisione.

(cfr., Cass. Pen., 6, 18.11.2015 n. 49.469, V D M.; Cass. Pen., 6, 23.1.2009 n.
11.558, Trentadue).

Né, sotto altro profilo, come pure si è abbondantemente chiarito, è
rilevante il “momento” in cui il GUP abbia ritenuto di esercitare tale facoltà, che
può intervenire anche successivamente al termine della discussione e, quindi,
anche dopo che il giudice si è già ritirato in camera di consiglio per la decisione
(cfr., Cass. Pen., 2, 14.5.2015 n. 24.995, P.G. in proc. Rechichi; Cass. Pen., 1,

2. Inammissibile è anche il secondo motivo del ricorso con cui la difesa
del Nigro denunzia inosservanza di norme processuali in relazione alla mancata
acquisizione della relazione medico-legale ed ai relativi allegati prodotti dalla
difesa e per non aver disposto la rinnovazione della istruttoria dibattimentale sul
punto della imputabilità dell’imputato; in particolare, il ricorrente osserva, per un
verso, che la struttura del giudizio abbreviato non sia affatto incompatibile con la
possibilità della rinnovazione della istruttoria in appello e che, per altro verso,
l’istanza istruttoria era stata fondata su elementi acquisiti successivamente alla
proposizione del gravame.

Va premesso, innanzitutto, che la mancata rinnovazione della istruttoria
in appello, pur non incompatibile con il rito abbreviato (sia pure “secco”), non
può essere dedotta quale vizio di “nullità” della sentenza di secondo grado che
può essere censurata, per questa ragione, qualora si dimostri l’esistenza,
nell’apparato motivazionale, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo
del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali
sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla
riassunzione di determinate prove in appello (cfr., Cass. Pen., 2, 19.4.2017 n.
40.885, P.G. in proc. Giampà; Cass. Pen., 2, 15.9.2015 n. 48.630, Pircher; Cass.
Pen., 6, 28.11.2013 n. 1.256, Cozzetto; Cass. Pen., 2, 22.10.2014 n. 1.400,
PR).

In altri termini, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello
(art. 603 cod. proc. pen.) è bensì compatibile con il rito abbreviato “non
condizionato”, ma il mancato esercizio di poteri istruttori da parte del giudice,
benché sollecitato dall’imputato, non costituisce vizio deducibile mediante ricorso
per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen.,
attesa la esclusione del diritto di chi ha optato per la definizione del processo
nelle forme del procedimento speciale “allo stato degli atti” a richiedere alcuna
integrazione; l’unica attività d’integrazione probatoria consentita è dunque quella

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18.6.2015 n. 47.710, Bostiog).

esercitabile officiosamente e non è configurabile un vero e proprio diritto alla
prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte
alla prova contraria, con la conseguenza che il mancato esercizio da parte del
giudice d’appello dei poteri officiosi di integrazione probatoria non può mai
integrare il vizio di cui all’art. 606, comma primo, lett. d) cod. proc. pen. (cfr.,
Cass. Pen., 1, 18.6.2014 n. 37.588, Amaniera; Cass. Pen., 2, 24.3.2017 n.
17.103, A., che ha avuto modo di chiarire come le parti siano titolari di una mera
facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal

comma terzo, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi
alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più
ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado;
Cass. Pen., 5, 23.11.2015 n. 11.908, Rallo).

In particolare, questa stessa Sezione ha ribadito tale principio in una
fattispecie relativa a richiesta intempestiva di perizia psichiatrica avanzata
dall’imputato in primo grado e ritenuta non necessaria sia dal giudice di primo
grado, sia da quello di appello (cfr., così., Cass. Pen., 2, 17.6.2010 n. 35.987,
Melillo;

Fatta questa premessa di ordine processuale, va detto che, nel caso di
specie, la sentenza di primo grado era stata impugnata con l’atto di appello a
firma dell’Avv. Cannerota (estensore del ricorso in Cassazione) con motivi
analoghi a quelli riproposti con il ricorso in Cassazione; in quella sede non era
stata tuttavia nemmeno dedotta la questione della (in)capacità di intendere e di
volere dell’imputato; né, nel ricorso, vengono allegate le ragioni per le quali la
prova di cui si discute dovrebbe ritenersi “sopravvenuta”, non essendo
evidentemente sufficiente, a tal fine, la circostanza che la relazione medico
legale allegata sia stata stilata in data successiva alla proposizione dell’atto di
appello atteso che la condizione mentale dell’imputato, se tale, era
necessariamente una questione nota sin dalla data di introduzione del giudizio
abbreviato; in ogni caso, non sono indicati i motivi per i quali il difensore non era
stato in grado di introdurre il tema con gli atti di appello.

3. Manifestamente infondato, ancora, è il terzo motivo, con cui il
ricorrente denunzia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale
segnalando che la Corte di Appello ha respinto la censura articolata sulla
qualificazione del fatto confermandone l’inquadramento nel delitto di rapina non
tenendo tuttavia in debito conto l’atteggiamento psicologico dei protagonisti, i
quali avevano agito fingendo di essere carabinieri e, quindi, con l’inganno,

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giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603,

circostanza che a suo avviso portava ad escludere che essi avessero intenzione
di minacciare o usare violenza nei confronti della vittima.

Le due sentenze di merito hanno conformemente ricostruito i fatti nel
modo seguente: nel pomeriggio del 6.5.2014 Daniela Andrei aveva ricevuto una
telefonata proveniente da una utenza “anonima” con cui uno sconosciuto le
aveva chiesto un appuntamento per la sera di quello stesso giorno quando, alle
19.45, l’uomo la aveva richiamata e lei le aveva dato indicazioni per raggiungere
la sua abitazione non senza essersi sincerata che egli fosse solo; se non ché,

distintivo asserendo di essere un carabiniere e chiamando al cellulare un
“collega” insieme al quale, le aveva detto, doveva eseguire una perquisizione
mirata alla ricerca di sostanze stupefacenti; entrato anche il secondo uomo
nell’appartamento, la Andrei, insospettitasi circa la identità dei due, aveva
cercato di protestare ma era stata a quel punto strattonata e rimproverata del
suo atteggiamento irriguardoso nei confronti delle forze dell’ordine; i due erano
stati quindi raggiunti da un terzo uomo che, insieme al primo, e mentre il
secondo impediva alla donna di muoversi, aveva messo a soqquadro
l’appartamento impossessandosi di numerosi gioielli in oro, di quattro apparecchi
cellulari e della somma di 100 Euro in contanti; i tre, infine, erano usciti
chiudendo la porta a chiave dall’esterno.
Alla luce di questa ricostruzione, operata dai giudici merito sulla scorta
degli elementi di prova acquisiti e di cui il Tribunale aveva dato puntualmente
conto, deve concludersi nel senso della manifesta infondatezza della tesi
difensiva in merito all’atteggiamento psicologico dei tre imputati e sulla quale la
Corte d’Appello aveva correttamente motivato (cfr., pag. 7) in coerenza con il
principio, più volte ribadito anche da questa Sezione, secondo cui l’elemento
psicologico specifico del delitto di rapina può essere integrato anche dal
cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, non essendo necessario che, sin
dall’inizio, la condotta diretta all’impossessamento fosse sorretta dalla volontà di
esercitare violenza o minaccia nei confronti della vittima (cfr., Cass. Pen., 2,
2.1.2016 n. 3.116, Paolicchi).
4. Inammissibile è, infine, il quarto motivo, con cui la difesa del ricorrente
deduce difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione al motivo di
appello in ordine al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche
e, comunque, sulla riduzione della pena al minimo edittale.

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raggiunto l’appartamento della donna, lo sconosciuto le aveva mostrato un

È sufficiente, infatti, osservare che la pena detentiva prevista per la
rapina “semplice” era, all’epoca, quella da tre a dieci anni di reclusione; quella
per la rapina aggravata, da quattro anni e sei mesi a vent’anni di reclusione; la
Corte di Appello, pur ribadendo l’esistenza degli elementi costitutivi della
aggravante di cui al capoverso dell’art. 628 cod. pen. (del fatto commesso da più
persone riunite), ha diminuito la pena base partendo da quella di anni 4 e mesi 4
di reclusione, addirittura inferiore al minimo edittale, applicando l’aumento per la
recidiva (su cui alcuna censura risulta essere stata articolata dal ricorrente) e per

abbreviato.

In ogni caso, con l’atto di appello a firma dell’Avv. Camerota era stato
sollecitato un giudizio di “prevalenza” delle circostanze attenuanti senza alcun
riferimento alle situazioni ed ai fatti che avrebbero giustificato nel caso di specie
il riconoscimento delle attenuanti generiche il che, pertanto, esimeva la Corte di
Appello da uno specifico obbligo di motivazione sul punto avendo tuttavia i
giudici romani richiamato i precedenti penali del Nigro di per sé in grado di
giustificarne il diniego in termini congrui e con motivazione adeguata ed idonea
(cfr., Cass. Pen., 4, 30.1.2015 n. 5.875, Nargiso; Cass. Pen., 4, 27.9.1989,
Amarante).

5. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al
pagamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, non
ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 2.000 a favore
della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2018

Il Consi ere este\nsore

Il Presidente
Pierca • illo Davigo

la continuazione oltre che, infine, la riduzione per effetto della scelta del rito

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