Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16053 del 11/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16053 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ABELLO SERGIQN. IL 16/12/1968
avverso l’ordinanza n. 5112/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
PALERMO, del 11/12/2014
sentitaylazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI ,
lette/se ite le conclusioni del PG,Dott.

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49.99-g2if;

Uditi dif sor Avv.;

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Data Udienza: 11/02/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di
Palermo rigettava il reclamo proposto da Abello Sergio avverso quella del
Magistrato di Sorveglianza che aveva respinto l’istanza di concessione della
liberazione anticipata speciale per essere il reclamante condannato per un delitto
di cui all’art. 4 bis ord. pen.
Secondo il Tribunale, non poteva procedersi allo scorporo delle pene inflitte

liberazione anticipata speciale non era assimilabile al trattamento rieducativo
individualizzato, ma aveva natura emergenziale.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Sergio Abello, deducendo violazione
di legge e vizio di motivazione.
Il ricorrente contesta l’efficacia retroattiva dell’emendamento approvato con
la legge di conversione n. 10 del 2014, ne denuncia la portata discriminatoria e il
suo contrasto con gli artt. 3, 32 e 27 della Costituzione, producendo la norma
una palese disparità di trattamento, un serio pregiudizio al diritto alla salute dei
detenuti e un annullamento del principio rieducativo della pena; sottolinea che il
provvedimento aveva dato atto della partecipazione del detenuto all’opera di
rieducazione; conclude perché la Corte sollevi questione di legittimità
costituzionale della norma e comunque annulli l’ordinanza impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, ha concluso per

l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le considerazioni svolte dal ricorrente sono infondate.

Questa Corte ha affermato che la disposizione di cui all’art. 4 del D.L. 23
dicembre 2013, n. 146, non recepita dalla legge di conversione 21 febbraio
2014, n. 10, nella parte in cui prevede un trattamento più favorevole per il
condannato per uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975,
n. 354, in relazione ai comportamenti pregressi alla sua pubblicazione, e
consistente in una maggiore detrazione di pena ai fini della liberazione
anticipata, non ha efficacia ultrattiva, neppure se apparentemente vigente al
tempo della domanda di concessione del beneficio, sia perché alla materia in
questione, in quanto estranea al diritto penale sostanziale, non è applicabile il

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ad Abello anche per reati diversi da quelli ostativi, atteso che l’istituto della

principio di irretroattività della legge più sfavorevole, sia perché, in generale, le
regole attinenti al fenomeno della successione di leggi nel tempo non si
attagliano alla vicenda relativa alla sorte delle disposizioni di decreti-legge non
recepite nella legge di conversione.

Inoltre, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale del comma quarto dell’art. 4 D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, nel
testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di conversione

i reati di cui all’art. 416 bis cod. pen. dalla disciplina di maggiore favore in tema
di entità della detrazione di pena per semestre ai fini della liberazione anticipata
stabilita, in generale, per gli altri condannati, in riferimento agli artt. 3, 27 e 117
Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 CEDU, in quanto la disposizione
censurata prefigura un regime speciale che, siccome amplia gli effetti di favore
conseguibili da tutti i soggetti in espiazione di pena, può essere legittimamente
sottoposto dal legislatore a limiti determinati da situazioni cui si collega una
connotazione di immanente e peculiare pericolosità, e, di per sé, non è causa
generatrice di trattamenti inumani o degradanti (Sez. 1, n. 1650 del 22/12/2014
– dep. 14/01/2015, Mollace, Rv. 261879 e 261880).

2. Peraltro, l’ordinanza deve essere annullata con riferimento all’affermata
inscindibilità del cumulo.
Questa Corte, infatti, ha affermato il principio opposto, ritenendo che in
presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti è legittimo nel
corso dell’esecuzione lo scioglimento del cumulo, quando occorre procedere al
giudizio sull’ammissibilità della domanda di concessione della liberazione
anticipata speciale, ostacolata dalla circostanza che nel cumulo è compreso un
titolo di reato rientrante nel novero di quelli elencati nell’art. 4 bis L. n. 354 del
1975, sempre che il condannato abbia espiato la parte di pena relativa al delitto
ostativo (Sez. 1, n. 1655 del 22/12/2014 – dep. 14/01/2015, Uccello, Rv.
261986; Sez. 1, n. 53781 del 22/12/2014 – dep. 30/12/2014, Ciriello, Rv.
261582): in effetti, la disciplina dell’art. 4 bis legge 26 luglio 1975, n. 354, non
ha creato uno status di detenuto pericoloso che permea di sé l’intero rapporto
esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna concretamente in
esecuzione (Sez. 1, n. 3130 del 19/12/2014 – dep. 22/01/2015, Moretti, Rv.
262062).
L’art. 663 cod. proc. pen., nell’attribuire al Pubblico ministero il potere
(dovere) di determinare la pena da eseguire in osservanza delle norme sul
concorso di pene, allorché la stessa persona sia stata condannata con più

(legge 21 febbraio 2014, n. 10), laddove prevede l’esclusione dei condannati per

sentenze o decreti penali per reati diversi, dà attuazione all’art. 80 cod. pen.
nella parte in cui dispone che l’applicazione delle norme sul concorso delle pene
avviene in fase esecutiva se non si è provveduto con le sentenze di merito. I casi
in cui si pronunzi condanna per reati diversi con una sola sentenza o con
sentenze diverse, devono avere, dunque, ai fini penali ed esecutivi, identico
trattamento, a prescindere dal momento in cui emerga l’esistenza di condanne
per fatti diversi da eseguire.
È indubbio, quindi, che per le pene temporanee il codice penale vigente ha

adottando invece, secondo il principio tot crimina tot poenae,

il criterio del

cumulo materiale, sia pure temperato attraverso la fissazione di limiti massimi di
pena (in assoluto o in rapporto alla pena più grave, ex art. 78 cod. pen.), per
evitare le possibili esorbitanze derivanti dalla addizione aritmetica, ovvero la
trasformazione in pena a durata illimitata, e quindi di fatto perpetua, di pene che
dovrebbero avere durata temporanea.
La ratio del sistema istituito dall’ultima proposizione dell’art. 80 cod. pen. e
dall’art. 663 cod. proc. pen.) è perciò di garantire che non si producano disparità
dipendenti esclusivamente dalla casualità del momento in cui interviene il
giudicato o l’esecuzione (fermo il principio che la pena non può in nessun caso
precedere il delitto e che perciò il momento cui occorre riferirsi per la formazione
del cumulo va fissato esclusivamente in riferimento alla data di consumazione
dell’ultimo reato commesso prima dell’inizio dell’esecuzione di una qualsiasi delle
pene considerate ai fini dell’esecuzione concorrente).
Ne consegue che la regola secondo cui le pene della stessa specie,
concorrenti a norma dell’art. 73 cod. pen., si considerano come pena unica per
ogni effetto giuridico (art. 76, comma 1 cod. pen.), non può in nessun caso
condurre a ingiustificate diversità di trattamento a seconda dell’eventualità, del
tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un
cumulo materiale ai sensi dell’art. 663 cod. proc. pen., anziché di distinte
esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.
Sarebbe davvero irragionevole, infatti, che chi è stato condannato per
diversi reati, ostativi e non ostativi ai benefici penitenziari, si trovasse a patire,
in relazione alle condanne per i reati non ostativi, di un trattamento equivalente
a coloro i quali sono stati condannati solo per reati ostativi; e di un trattamento
deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia per delitti
ostativi che per reati non ostativi, ha tempestivamente e separatamente
scontato ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili e
poste in esecuzione più tempestivamente.
Il rischio di una irragionevole disparità collegata a circostanze meramente

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abbandonato sia il sistema dell’assorbimento sia quello del cumulo giuridico,

casuali è stato, d’altronde, già segnalato da C. cost. n. 361 del 1994.
Dichiarando non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4 bis ord. pen. nella parte in cui rendeva la
condanna per alcuno dei delitti ivi enumerati ostativa alla concessione di misura
alternativa, la Corte ha posto a base della propria decisione il rilievo che,
diversamente da quanto affermato in talune sentenze della Cassazione che
individuano la ratio del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di
“pericolosità soggettiva” del detenuto derivante dalla condanna per un reato

disciplina recata dall’art. 4 bis abbia creato una sorta di status di “detenuto
pericoloso” che permei di sé l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo
specifico di condanna”; e che, al contrario, proprio l’articolazione della disciplina
sulle misure alternative “in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i
quali è stata pronunciata condanna la cui pena è in esecuzione” impone di
valorizzare il tradizionale insegnamento giurisprudenziale “della necessità dello
scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità,
richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative
pene”.
A non diverse conclusioni dovrebbe giungersi, per altro, anche nell’ipotesi di
cumulo giuridico. Non solo la citata sentenza della Corte costituzionale non fa
distinzione tra le due ipotesi, ma, come ha osservato Sez. U, n. 14 del
30/6/1999, Ronga, in caso di continuazione “l’unificazione delle pene, ancorché
destinata a temperare l’asprezza del cumulo materiale, produrrebbe il
paradossale effetto negativo di assegnare alla quantità di pena riferita al titolo di
reato ostativo una sorta di efficacia innpeditiva permanente agli effetti dei
benefici penitenziari, giacché, nell’ipotesi in cui il corrispondente periodo sia
stato già espiato, la preclusione di che trattasi permarrebbe per l’intera durata
delle pene cumulate, anche dopo il concreto “esaurimento” della condanna
ostativa”. Con la conclusione che nel corso dell’esecuzione della pena il vincolo
della continuazione tra reati deve sempre ritenersi scindibile al fine di consentire
la valutazione della sussistenza, o meno, di ostacolo veniente dalla tipologia di
un dato reato giudicato in continuazione, alla concessione dei benefici
penitenziari ex art. 4 bis cit.

4. L’ordinanza impugnata, quindi, deve essere annullata con rinvio al
Tribunale di Sorveglianza di Palermo che verificherà, previo scioglimento del
cumulo, se il ricorrente ha già espiato la pena relativa al reato ostativo.

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“ostativo”, “non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Sorveglianza di Palermo.

Così deciso 1’11 febbraio 2016

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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