Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16045 del 22/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16045 Anno 2018
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pispicia Mosè, nato a Messina il 14/02/1964

avverso la sentenza del 27/02/2017 della Corte di appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta
Marinelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente al
trattamento sanzionatorio ed il rigetto, nel resto, del ricorso.

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 febbraio 2017, la Corte d’appello di Firenze ha
confermato la sentenza con cui, all’esito del giudizio abbreviato, il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Firenze aveva condannato l’odierno
ricorrente Mosè Pispicia per il reato continuato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309 per aver detenuto a fini spaccio gr. 153 lordi di sostanza
stupefacente del tipo cocaina e per aver in più occasioni ceduto a tale Fabio

2.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore

dell’imputato deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc.
pen.

3. Con un primo motivo si lamenta violazione degli artt. 110 cod. pen., 73
T.0 stup. e 192 cod. proc. pen. per essere stata ritenuta la responsabilità del
ricorrente quanto alla detenzione di sostanza di cui egli non aveva invece la
disponibilità e quanto ad asserite cessioni di stupefacente al Pavanati in assenza
di prova.

4. Con un secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione alle
medesime statuizioni, essendo stata la responsabilità penale argomentata sulla
base di indizi non idonei ad eliminare il ragionevole dubbio, di mere congetture,
delle inattendibili dichiarazioni del Pavanati. Ci si duole, inoltre, del fatto che la
Corte territoriale non avrebbe risposto alle censure sollevate nell’atto d’appello
limitandosi a riproporre le stesse considerazioni contenute nella sentenza di
primo grado e fatte oggetto di gravame.

5. Con urr terzo motivo si deducono la violazione dell’art. 133 cod. pen. e
l’apparenza della motivazione con riguardo al mancato accoglimento dei motivi
d’appello sul trattamento sanzionatorio, essendosi senza ragione negate sia la
riduzione dell’eccessiva pena irrogata, sia la riconduzione dei fatti all’ipotesi di
lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990.

2

Pavanati singole dosi della stessa sostanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, il Collegio dà atto che il procedimento è stato
regolarmente trattato benché il difensore dell’imputato, avv. Luca Cianferoni,
avesse richiesto il rinvio dell’udienza adducendo un concomitante impegno
professionale che gli avrebbe impedito di partecipare all’udienza del 22 febbraio
2018. Non ricorrono, di fatti, i presupposti richiesti dall’art. 420 ter, comma 5,
cod. proc. pen. – disposizione richiamata dall’art. 484, comma

2-bis, cod. proc.

pen. e ritenuta applicabile anche nel giudizio di cassazione per il rinvio operato

legittimo impedimento dovuto ad assoluta impossibilità di comparire.
Ed invero, deve richiamarsi il principio – che il Collegio condivide secondo cui l’impegno professionale del difensore in altro procedimento
costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a
comparire, ai sensi dell’art. 420 ter, comma 5, cod. proc. pen., a condizione che
il difensore: a) prospetti l’impedimento non appena conosciuta la
contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che
rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo; c)
rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa
validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un
sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende
partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio (Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015,
Caputi, Rv. 263395). Nel caso di specie difetta il requisito di cui supra, sub c),
posto che l’istante non allega di essere l’unico difensore del sig. Domenico
Centonze nel procedimento pendente avanti alla Corte d’assise d’appello di
Palermo la cui udienza sarebbe stata fissata per il giorno 22 febbraio 2018. Deve
inoltre rilevarsi che tale concomitante impegno non è stato in alcun modo
documentate, avendo l’avv. Cianferoni dichiarato, nell’istanza, di riservare di
produrre il verbale di udienza dell’altro procedimento e non avendolo tuttavia
fatto prima dell’udienza, con ciò impedendo altresì a questa Corte di effettuare
quella valutazione comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le
esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se fosse
effettivamente prevalente l’impegno privilegiato dal difensore per le ragioni
rappresentate nell’istanza e da riferire alla particolare natura dell’attività cui
occorre presenziare, oltreché, come detto, alla mancanza o assenza di un
codifensore (cfr. Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244109).

2. Venendo al merito, reputa il Collegio che i primi due motivi di ricorso
siano inammissibili perché generici e manifestamente infondati.

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dall’art. 614, comma 1, cod. proc. pen. – per ritenere la sussistenza di un

Con motivazione tutt’altro che illogica, ma accurata e assolutamente
convincente, la Corte territoriale ha confermato la sussistenza della penale
responsabilità del ricorrente – già ritenuta in primo grado con conforme giudizio
– sulla base di elementi di prova di sicura concludenza, essendo stato il Pispicia
sorpreso dai Carabinieri, nel proprio ufficio di gestore di un circolo privato,
mentre cercava di sbarazzarsi della droga che ivi custodiva, gettandola dalla
finestra. Con un sistema di telecamere interne che, dal suo ufficio, gli consentiva
di vedere cosa accadeva nei locali del circolo aperti al pubblico, Pispicia aveva

l’intera struttura. Unitamente allo stupefacente – poi quantificato in 153 gr. lordi
di cocaina – nell’ufficio del ricorrente furono rinvenuti strumenti ed oggetti atti al
confezionamento di dosi di stupefacente (ritagli di cellophane, due bilancini,
sostanza da taglio), elementi tutti che hanno indotto il giudice di merito a
ritenere provata la destinazione dello stupefacente allo spaccio, confortata dalle
dichiarazioni, ritenute assolutamente attendibili, di Pavanati Fabio, che aveva
dichiarato di aver più volte acquistato cocaina anche dal Pispicia (oltre che da
tale Stiljano Agalliu, il quale lavorava nel circolo).
Il ricorso non si confronta in alcun modo con la ricostruzione del fatto
operata dal giudice d’appello e sopra riassunta, limitandosi ad affermare – in
modo all’evidenza contraddittorio – che l’imputato non aveva la disponibilità dello
stupefacente e che si era recato nel suo ufficio per prepararsi una dose di
cocaina, avendo gettato la sostanza della finestra per paura di essere incolpato
di un’attività illecita non sua. Del pari aspecifica è la doglianza secondo cui il
Pavanati avrebbe dimostrato di essere teste non attendibile, non essendo stato
addotto alcun concreto elemento di valutazione a sostegno di tale assunto.

3. Il ricorso è inammissibile anche in relazione alle generiche doglianze
rassegnate nel terzo motivo e relative al trattamento sanzionatorio ed al
mancato riconoscimento dell’ipotesi del fatto lieve prevista dall’art. 73, comma 5,
d.P.R. 309 del 1990.
Quanto a quest’ultimo profilo – logicamente pregiudiziale – la Corte d’appello
ha rilevato che il fatto non poteva ritenersi di lieve entità tenuto conto della
qualità e quantità dello stupefacente e delle modalità della condotta, indicative
dello svolgimento, nel circolo gestito dal Pispicia di un traffico continuato, di
cocaina. La motivazione, non specificamente censurata nel generico motivo di
doglianza, non appare manifestamente illogica ed è aderente al consolidato
principio di diritto – affermato sin da quando l’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del
1990 configurava, con gli stessi presupposti contenuti nella norma oggi vigente,
una circostanza attenuante – che la fattispecie del fatto di lieve entità può essere

4

infatti visto arrivare i Carabinieri e compreso che gli stessi avrebbero perquisito

riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile
sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla
disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che,
ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene
irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000,
Primavera e aa., Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv.
247911; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610; Sez. 3, n. 32695
del 27/03/2015, Genco e aa., Rv. 264491). Ne deriva che l’ipotesi del fatto di

impeditivi, se il quantitativo di sostanza supera un ragionevole limite, tale da
configurare pericolo di accumulo della sostanza (Sez. 6, n. 39931 del
16/10/2008, Zagnoli, Rv. 242247), ciò che nella specie è stato non illogicamente
ritenuto tenendo conto del fatto che si trattava di 153 gr. lordi.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il motivo è nuovamente generico,
tenendo conto del fatto che la pena base (anni sei di reclusione e 27.000 Euro di
multa) è sostanzialmente pari al minimo edittale, che sono state concesse le
circostanze attenuanti generiche nella massima estensione e che l’aumento per
la continuazione per il reato continuato di spaccio di cocaina nei confronti di
Fabio Pavanati è stato contenuto in mesi sei di reclusione e 3.000 Euro di multa,
aumento ritenuto congruo dalla Corte d’appello in considerazione della qualità
della sostanza e della pluralità delle cessioni. Questa motivazione, assolutamente
adeguata, va esente da censure, tenuto anche conto del consolidato principio
secondo cui, «in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non
sussiste obbligo di specifica motivazione per gli aumenti relativi ai reati satellite,
essendo sufficienti a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della
pena-base» (Sez. 2, n. 18944 del 22/03/2017, Innocenti e a., Rv. 270361; Sez.
4, sent. n. 23074/2017 del 22/11/2016, Paternoster e a., Rv. 270197; Sez. 2, n.
50987 del 06/10/2016, Aquila, Rv. 268731).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza
Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non
sussistono elementi per ritenere ch e la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del
procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende
della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

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lieve entità non può trovare applicazione, pur in assenza di altri elementi

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 22/02/2018.

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