Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16036 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16036 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DELL’OLMO ANTONIO, nato a Aversa il 07/08/1993
DELL’OLMO GIUSEPPE nato a Aversa il 11/02/1995

avverso la sentenza del 15/02/2017 della Corte di appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 15/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14.7.2016 del Tribunale di Napoli Nord, emessa a seguito
di giudizio abbreviato, Dell’Olmo Antonio e Dell’Olmo Giuseppe venivano dichiarati
responsabili del reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente del tipo
hashish e marijuana e condannati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione
ed euro 4.000,00 di multa ciascuno.
Con sentenza del 15/02/2017, la Corte di appello di Napoli, in riforma della

pena a Dell’Olmo Giuseppe e confermava nel resto.
2.

Avverso tale sentenza hanno proposto personalmente ricorso per

cassazione gli imputati articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deducono nullità della sentenza per vizio di motivazione,
lamentando che la Corte territoriale aveva confermato la sentenza di condanna
mediante richiamo delle argomentazioni del primo giudice e senza prendere in
considerazione i motivi di gravame, che ricostruivano la vicenda in maniera
alternativa sostenendo che lo stupefacente era detenuto da Dell’Olmo Antonio per
esclusivo uso personale.
Con il secondo motivo deducono nullità della sentenza per erronea
applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 e correlato vizio di
motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva denegato la configurabilità
del fatto di lieve entità dando rilievo ostativo al solo dato ponderale della sostanza
stupefacente, di non rilevante quantità, ed alla somma, di modesta entità,
rinvenuta nella disponibilità del ricorrente.
Con il terzo motivo deducono nullità della sentenza per vizio di motivazione
in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche,
lamentando che la Corte territoriale non aveva indicato il criterio posto a
fondamento della decisione né aveva considerato la condotta processuale tenuta
dai ricorrenti.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché aspecifico.
E’ pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come
debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del

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predetta sentenza, concedeva il beneficio della sospensione condizionale della

gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità
del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa
come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che
conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla
inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011,

255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del
15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv.
236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497
del 22.2.2002, Palma, rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte di legittimità
ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi
motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per
l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate,
sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente
denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del
18.7.2014, Cariolo e altri, rv. 260608).
Va, poi, evidenziato che ci si trova di fronte ad una “doppia conforme”
affermazione di responsabilità e che, legittimamente, in tale caso, è pienamente
ammissibile la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della
sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione
impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati
e disattesi.
E’, infatti, giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza
appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola
entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal
primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 1, 22/11/19934/2/1994, n. 1309, Albergamo, riv. 197250; Sez. 3, 14/2- 23/4/1994, n. 4700,
Scauri, riv. 197497; Sez. 2, 2/3- 4/5/1994, n. 5112, Palazzotto, riv. 198487; Sez.
2, 13/11-5/12/1997, n. 11220, Ambrosino, riv. 209145; Sez. 6, 20/113/3/2003,
n. 224079). Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme
a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella
ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo
soltanto rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate

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Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv.

dall’appellante. In questo caso il controllo del giudice di legittimità si estenderà
alla verifica della congruità e logicità delle risposte fornite alle predette censure.
Nella specie, le motivazioni delle due sentenze si saldano fornendo un’unica e
complessa trama argonnentativa, non scalfita dalle censure mosse dai ricorrenti
che ripropongono gli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti
in secondo grado.
La Corte di Appello di Napoli non si è limitata a richiamare la sentenza di primo
grado, ma ha risposto specificamente alla doglianza oggi riproposta con

In particolare, la Corte di merito ha adeguatamente chiarito che la
destinazione della sostanza stupefacente detenuta alla cessione a terzi era provata
dalla diretta osservazione dei militari che avevano proceduto all’arresto, i quali
avevano assistito al tentativo di cessione di una dose in favore degli occupanti
dell’autovettura Ford Fiesta, Mazza Vincenzo e Carla Papa, che si era affiancata al
ciclomotore sul quale prendevano posto i due imputati.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la fattispecie di cui al D.P.R. n.
309 del 1990, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo nell’ipotesi di minima
offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo,
sia dqgli altri parametri espressamente richiamati dalla disposizione (mezzi,
modalità, circostanze dell’azione) con la conseguenza che, ove venga a mancare
anche uno solo degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale
presenza degli altri e deve escludersi l’applicazione dell’ipotesi lieve e con la
precisazione che la questione dell’applicabilità o meno della norma suddetta deve
trovare soluzione caso per caso, tenuto conto di volta in volta di tutte le specifiche
e concrete circostanze

(ex plurimis,

sez. un., 24 giugno 2010, n 35737,

Rv.247911; Sez.4, n.6732 del 22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3,
n. 23945 del 29/04/2015, Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015,Rv.264490;
Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264491); ed è stato affermato che, in tema di
detenzione illecita di sostanze stupefacenti, qualora il dato ponderale sia, in sé,
compatibile tanto con le previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 73 d.P.R. n. 309
del 1990 quanto con quella autonoma, “lieve”, di cui al comma quinto del
medesimo articolo, il giudice deve in motivazione specificare quali altri elementi
consentano di qualificare il fatto nell’una o nell’altra ipotesi di reato (Sez.6,
n.45694 del 28/09/2016, Rv.268293).
La Corte di merito ha escluso la configurabilità del “fatto lieve” rimarcando
che assumevano rilievo ostativo non solo il dato ponderale (20 gr di hashish e un
grammo di marijuana) ma soprattutto le modalità della condotta, le quali
denotavano lo svolgimento in maniera stabile ed organizzata dell’attività di spaccio
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argomentazioni adeguate e logiche e, quindi, esenti da censure in questa sede.

nonché la diffusività della stessa in un ampio ambito territoriale, in quanto diretta
a clientela non limitata al comune di residenza degli imputati ma estesa anche ai
comuni limitrofi; sulla base di tali considerazione è stato, quindi, ritenuto che la
condotta non consentiva di ritenere minima l’offesa al bene giuridico protetto dalla
norma, che si connette al rischio di diffusività delle sostanze stupefacenti.
Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e, pertanto,
si sottraggono al sindacato di legittimità.
Del resto questa Corte ha affermato che è legittimo il mancato riconoscimento

accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e
comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, nè
occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività
della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta
ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni
aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (Sez.3, n.6871 del 08/07/2016,
dep.14/02/2017,Rv.269149; Sez.4, n.40720 del 26/04/2017, Rv.270767).
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza
di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi
di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione
delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di
circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza
delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529
del 22/09/1993, Rv. 195339; sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro,
Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Ed è stato affermato che il mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di
elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica
dell’art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con
modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della
concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza
dell’imputato (Sez.3, n.44071 del 25/09/2014, Rv.260610; Sez. 1,n.39566 del
16/02/2017, Rv.270986).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il Giudice, nel
motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve
necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o

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della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non

superati tutti gli altri da tale valutazione , individuando, tra gli elementi di cui
all’art.133 cod.pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa
della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899;
Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv.
230691).
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica ed in linea
con i suesposti principi di diritto, ha negato la concessione delle circostanze
attenuanti generiche, ritenendo irrilevante lo stato di incensuratezza ed elemento

criminale.
3. Consegue il rigetto dei ricorsi e, in base al disposto dell’art. 616
cod.proc.pen, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 15/02/2018

di rilievo ostativo e decisivo le modalità del fatto espressive di significativa capacità

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