Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16034 del 15/02/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 16034 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Davide Versienti, nato a San Pietro Vernotico il 01/08/1989

avverso la sentenza del 15/03/2017 della Corte di appello di Lecce

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione’ svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Pasquale Rizzo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

Data Udienza: 15/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza del 15 marzo 2017, la Corte d’appello di Lecce ha

parzialmente accolto, riducendo soltanto la pena, il gravame proposto
dall’odierno ricorrente Davide Versienti, confermando per il resto la sentenza con
cui il Tribunale di Brindisi lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 73,
comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per aver detenuto a fini spaccio gr. 24,1
di sostanza stupefacente tipo hashish, da cui erano ricavabili 48 dosi medie

2.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore

dell’imputato, deducendo con unico motivo la violazione di legge ed il vizio di
motivazione della sentenza per essere statq, esclusa la detenzione per fini
personali sulla base di argomentazioni non idonee a consentire, al di là di ogni
ragionevole dubbio, l’affermazione di penale responsabilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di sostanze
stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l’eventuale
superamento dei limiti tabellari oggi indicati nell’art. 75, comma 1-bis , lett. a),
del d.P.R. n. 309 del 1990 non determina alcuna presunzione di destinazione
della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente,
anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato
quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero
delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze
dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della
detenzione (Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salannan, Rv. 260991; Sez. 6, n.
39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256611; Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009,
Delugan, Rv. 242923).
Nel caso di specie, la Corte d’appello, oltre a valutare il non marginale
superamento del limite massimo detenibile in forza del d.m. 11 aprile 2006 (val
a dire 0,5 gr. di principio attivo, pari a 20 dosi medie singole), ha considerato
che l’imputato deteneva sostanze eterogenee, dunque frutto di ripetuti acquisti,
che non aveva lavoro regolare e, nell’interrogatorio, aveva dichiarato di vivere in
condizioni economiche precarie (sicché non aveva la capacità economica per farsi
una sia pur modesta scorta), non aveva neppure dimostrato (avendolo solo
dichiarato) di essere tossicodipendente, era in possesso di un bilancino di

singole.

precisione, aveva in casa più di un coltello con tracce di stupefacente sulle lame.
Da tali indizi ha dunque ricavato la prova della destinazione allo spaccio dello
stupefacente detenuto.
Diversamente da quanto allegato dal ricorrente, la motivazione non appare
manifestamente illogica e non è dunque censurabile in sede di legittimità.

2. Ed invero, il controllo sul vizio di motivazione di cui all’art. 606 comma 1,
lett.

e) ,

cod. proc. pen., non concerne né la ricostruzione dei fatti, né

l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo

significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo e non
meramente apparente (cioè idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante
ha posto a base della decisione adottata), che nella motivazione non siano
riscontrabili contraddizioni, né illogicità evidenti (cfr. Sez. 1, n. 41738 del
19/10/2011, Longo, Rv. 251516).
Quanto alla illogicità della motivazione come vizio denunciabile, la
menzionata disposizione vuole che essa sia manifesta, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu ocull, restando ininfluenti le minime incongruenze e
dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643).
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione
limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza
della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre
nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del
14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Alla Corte di cassazione, invero, sono
precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati
di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del
merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
E’ invece deducibile il vizio di travisamento della prova, che ricorre quando
nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel
processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva (Sez. 2, n.
47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il vizio deve tuttavia risultare
dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti processuali
specificamente indicati nei motivi di gravame ed è ravvisabile ed efficace solo se

dell’atto impugnato contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente

l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio,
rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato
processuale/probatorio travisato od omesso (Sez. 6, n. 5146/2015 del
16/01/2014, Del Gaudio e a., Rv. 258774). Quanto al primo dei cennati profili, il
relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere
coerente e logica rispetto agli elementi di prova in essa rappresentati ed alla
conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura
soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi
della logica. Sotto il secondo profilo, la motivazione non deve risultare

dal ricorrente nei motivi del suo ricorso (c.d. autosufficienza), in termini tali da
risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr. Sez. 2, n.
38800 del 01/10/2008, Gagliardo e a., Rv. 241449).
Quando – come nella specie – ci si trovi di fronte ad una “doppia
conforme”, cioè a due pronunce di merito di eguale segno (nel nostro caso, di
condanna), ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura
giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per
formare un unico complessivo corpo argomentativo, laddove i giudici del
gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a
quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico
giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli
elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del
16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). In tali casi, peraltro, il vizio di
travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo se il
ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio
asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di
valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Di fatti, il
vizio di travisamento della prova può essere fatto valere nell’ipotesi in cui
l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel
caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del c.d. “devolutum” con recuperi
in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla
critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non
esaminati dal primo giudice (Sez. 2, n. 7986/2017 del 18/11/2016, La Gumina e
a., Rv. 269217; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza
Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non
sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a

4

incompatibile con altri atti del processo indicati in modo specifico ed esaustivo

norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del
procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende
della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C. 2.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso il 15/02/2018.

Ammende.

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