Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 16 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 16 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) ROMOLA ANTONIO N. IL 05/07/1956
avverso il decreto n. 24/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 07/10/2011
sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott. FRANCVSCO
SILVIO BONITO;
lette/seMite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv. ;

Data Udienza: 27/11/2012

3

1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con provvedimento del 7
ottobre 210, rigettava gli appelli proposti da Romola Antonio e dal
suo difensore avverso il decreto con il quale, il 15 febbraio 2010, il
tribunale reggino aveva rigettato l’istanza di revoca della confisca
di un appezzamento di terreno posto in Palmi e del fabbricato ivi
insistente, confisca a suo tempo disposta in quanto solo
formalmente intestato all’appellante il bene oggetto del
provvedimento ablatorio, in realtà di proprietà di Romola Rocco e
Romola Tiberino, condannati per associazione per delinquere di
stampo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
A sostegno della decisione la corte distrettuale poneva il disposto
dell’art. 7, co. H, L. 1423/1956 e l’assenza di prove nuove
sopravvenute alla conclusione del procedimento idonee a
giustificare la rivedibilità del giudicato ormai consolidatosi sul
provvedimento oggetto della domanda di revoca.
2. Ricorre avverso detto provvedimento Romola Antonio,
personalmente e con atto affidato al difensore di fiducia,
sostanzialmente sovrapponibili, denunciandone l’illegittimità per
violazione del!’ art. 4 commi, 10 ed 11, L. 1423/1956 in relazione
all’art. 7, co 2, stessa legge, e degli artt. 125 e 630, co. 1 lett. c),
c.p.p., in particolare deducendo:
il decreto reiettivo del gravame vanificherebbe le finalità e la ratio
dell’istituto della revoca, che sono quelle di dare priorità alle
esigenze di giustizia sostanziale;
con esso infatti si conferma l’applicazione della confisca fondata su
due circostanze rivelatesi entrambe erronee, e cioè che i Romola,
cugini del ricorrente, erano finanziatori di una associazione per
delinquere di stampo mafioso, mentre in realtà la sentenza di
condanna ha limitato il loro ruolo a quello di semplici partecipi, e
che Romola Antonio, il ricorrente, non godesse di redditi
sufficienti;
l’edificazione del fabbricato, inoltre, conclusasi nel 1991, era
iniziata nel 1985, epoca antecedente alla consumazione del reato
associativo;
di qui l’invalidità genetica del provvedimento di confisca oggetto
della presente richiesta di revoca, e di qui altresì la legittimità della
domanda, negata sul presupposto, errato, dell’assenza di prove
nuove e sopravvenute alla conclusione del procedimento;

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

l’insegnamento giurisprudenziale è nel senso che per prove nuove
ai fini dell’ammissibilità della richiesta formulata ai sensi dell’art.
630 co. 1 lett. c) c.p.p., devono intendersi non solo quelle
sopravvenute, ma anche quelle non acquisite nel precedente
procedimento ovvero non valutate ancorchè acquisite;
_ su tale presupposto teorico, nel caso in esame, avrebbero carattere
di novità la sentenza emessa a carico di Romola Rocco dalla Corte
di appello di Torino in epoca successiva alla chiusura del
procedimento di prevenzione, e le indagini difensive volte alla
dimostrazione dell’originaria insussistenza dei presupposti
giustificativi del decreto di confisca (prove testimoniali, elaborati
tecnici e documenti provenienti da enti pubblici);
tali elementi di novità dimostrerebbero un valore della res
confiscata minore di quello stimato al momento della confisca, una
minor spesa di realizzazione del manufatto perché eseguito in
economia, la capacità reddituale del ricorrente per l’acquisto,
l’assenza di rapporti di convivenza con il prevenuto Romola
Tiberino e rapporti lontani con il padre Romola Rocco.
3. 11 ricorso è infondato.
3.1 Richiama il Collegio l’insegnamento di questa corte di
legittimità, la quale, nella sua composizione più autorevole, ha
avuto modo di affermare che “la misura di prevenzione della
confisca è soggetta soltanto alla revoca ex tunc per il caso in cui si
accerti, sulla base di elementi nuovi intervenuti, l’invalidità genetica
del provvedimento. In questi limiti deve ritenersi applicabile l’art. 7,
comma 2, della legge n. 1423 del 1956, identificandosi nella revoca
un mezzo predisposto dal legislatore per adempiere all’obbligo
riparatorio prefigurato dall’ultimo comma dell’art. 24 Cost.” (Cass.,
Sez. Unite, 19/12/2006, n. 57, rv. 234955/6).
La stessa sentenza non manca poi di rimarcare che, riferendosi la
revoca ad un provvedimento definitivo, devono ritenersi precluse
rivalutazioni di elementi già considerati nel procedimento di
prevenzione ovvero in esso deducibili.
I principi appena sintetizzati hanno trovato reiterata conferma nelle
successive pronunce della Corte (crf. Sez. 1, 14.5.2008, n. 21369,
rv. 240094; idem 30.3.2010, n. 20318;idem 26.1.2011, n. 25841).
3.2 Orbene, in applicazione della esposta lezione ermeneutica,
peraltro confermata dallo stesso legislatore, fors’anche in termini di
maggiore rigore, nel recente d. lgs. antimafia (n. 159/2011, art. 28

2

4.11 ricorso va dichiarato pertanto inammissibile ed alla declaratoria
di inammissibilità, consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., sia la
condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al
pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende,
somma che si stima equo determinare in euro 1000,00.
P. Q. M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00
in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2012.

Capo III, Tit. II, libro I) va qui ribadito il carattere straordinario del
rimedio utilizzato dal ricorrente, incompatibile con il mero riesame
degli stessi elementi fattuali già delibati al momento della confisca
ed in contrasto insanabile con la domanda legittimamente rigettata
in danno del Romola e con le tesi giuridiche illustrate a sostegno.
Tanto premesso va qui ribadito, conclusivamente, che le allegazioni
prospettate difensivamente ed innanzi sintetizzate non integrano
prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di
prevenzione, non si appalesano caratterizzate da contenuti di
decisività ed erano, con esclusione della sentenza della Corte di
appello torinese, sicuramente deducibili in sede di procedimento
principale.

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