Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15984 del 07/01/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 15984 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MARI ALBERTO N. IL 08/04/1961
avverso la sentenza n. 2523/2013 CORTE APPELLO di GENOVA, del 20/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/01/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI
DIOTALLEVI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DI NARDO MARILIA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. SPERANDEI CINZIA del foro di TERNI in difesa di MARI ALBERTO che si
riporta ai motivi di ricorso.

Data Udienza: 07/01/2016

CONSIDERATO IN FATTO
Con sentenza emessa dal Tribunale di Sanremo in data 7 novembre 2012, Mari Alberto è stato
condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il reato di
ricettazione di un assegno bancario dell’importo di Euro 907,00 rubato.
Su appello proposto dal difensore, la Corte d’appello di Genova, con sentenza emessa in data
20 dicembre 2013, ha confermato la sentenza di primo grado.

a) La mancanza di prove effettive sulla colpevolezza, poiché nessuno dei testimoni compresa la p.o. Mangano – avrebbe mai visto e conosciuto il Mari; ha chiesto pertanto
l’assoluzione per non avere commesso il fatto.
b) L’ incompetenza territoriale del giudice di primo grado.
Il ricorrente ha precisato che, a seguito della denuncia di smarrimento di un carnet di
assegni avvenuta in località Terni, lo stesso è stato indiziato ex art. 648 c.p. a seguito
della illecita negoziazione dei suddetti assegni. Il relativo processo, all’esito del quale il
Mari è stato assolto per non aver commesso il fatto, si è svolto dinanzi al Tribunale di
Terni, considerato competente, dal momento che il reato era stato ivi accertato. Alla
luce delle suesposte precisazioni l’imputato, ribadendo altresì di non aver mai negoziato
assegni in località Sanremo, ha dedotto l’incompetenza del Tribunale di Sanremo, in
quanto la competenza territoriale in merito al reato di cui all’art. 648 sarebbe da
attribuirsi al Tribunale di Terni.
c) In subordine, ha lamentato l’eccessività della pena inflitta – anni 2 di reclusione – in
considerazione della lieve entità del danno.
Con un secondo ricorso il Mari ha dedotto:
a) Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 178 c.p.p.;
Il ricorrente deduce la nullità della sentenza derivante, da un lato, dall’essere stata la
querela proposta da soggetto non legittimato e, dall’altro, per mancata citazione a
giudizio della persona offesa; lamenta altresì che il querelante Mangano, direttore della
struttura alberghiera presso cui si sarebbe tentato l’incasso dell’assegno, non potrebbe
essere qualificato come persona offesa in quanto detta qualifica dovrebbe attribuirsi,
invece, alla società Paoletta srl, la quale gestiva l’hotel in questione. Si deduce altresì
grave insufficienza della motivazione sul punto.
b) Violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 526 comma 1 e 191 c.p.p.
Il ricorrente censura il giudice d’appello in quanto lo stesso avrebbe ritenuto provato
con la testimonianza dell’unico teste che non aveva assistito ai fatti – il Mangano – il
periodo durante il quale l’imputato avrebbe soggiornato presso l’hotel in questione,
l’avvenuto pagamento a mezzo dell’assegno oggetto di denuncia, la identificazione
dell’imputato che avrebbe soggiornato in albergo esibendo un documento d’identità.
Lamenta inoltre la difesa l’ inesistenza di una prova documentale decisiva, in quanto la
Corte d’appello ha fondato il suo convincimento su un documento di identità mai
acquisito agli atti. Si deduce altresì grave insufficienza della motivazione sul punto.
c)

Mancanza di prova del corpo del reato,

Avverso detta sentenza Mari Alberto ricorre per Cassazione, deducendo con un primo ricorso:

Il ricorrente lamenta che non sia dstato acquisito il titolo originale, ma solo una
fotocopia dello stesso, con conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 234 e
235 c.p.p., nonché violazione degli artt. 526 comma 1 e 191 c.p.p. e 24 Cost.
d) Violazione e falsa applicazione dell’art. 648 c.p. per mancata applicazione
dell’attenuante di cui al capoverso dello stesso articolo; carenza assoluta di motivazione
sul punto.

RITENUTO IN DIRITTO

Quanto al ricorso presentato dal Mari personalmente, nessuna delle censure prospettate merita
accoglimento.
Con riferimento alla prima censura, osserva la Corte che correttamente i giudici dell’appello
hanno ritenuto provata la colpevolezza dell’imputato in quanto, sebbene la p.o. Mangano non
fosse presente al momento del fatto, risultano documentalmente provati tutti gli elementi
contestati al Mari (si veda il riferimento – a pag. 2 della sentenza impugnata – alla presenza,
nel periodo di tempo considerato, di un cliente registratosi presso la struttura alberghiera con
le generalità dell’imputato, tratte dal documento di identità; si vedano altresì le precise
indicazioni degli estremi dell’assegno con cui il conto veniva saldato, nonchè del conto corrente
da cui lo stesso risultava tratto, dati peraltro coincidenti con quelli di un carnet di assegni
oggetto di precedente denuncia di smarrimento).
Quanto alla censura relativa all’incompetenza territoriale del Tribunale di Sanremo, osserva la
Corte che la stessa è tardiva, non essendo stata Cell sollevata né in primo grado né in grado
d’ appello. Questa Corte ha già avuto modo di osservare che l’accertamento per la prima volta
della costituzione delle parti determina, nel giudizio, il momento oltre il quale le questioni
relative alla competenza territoriale non possono più essere sollevate, neppure se i presupposti
per porre le stesse emergono nel corso del dibattimento, fatta eccezione per il solo caso in cui
la questione, ritualmente proposta o rilevata, non sia stata ancora decisa.

(Sez. 2, Sentenza n. 24736 del 26/03/2010)
Con riferimento all’ultima censura prospettata dal Mari, e cioè quella in punto di trattamento
sanzionatorio, correttamente la Corte d’appello ha applicato i criteri di dosimetria della pena di
cui all’art. 133 c.p.p. (si veda il riferimento, a pag. 4 della impugnata sentenza, alla spiccata
capacità a delinquere del reo).
Il ricorso è inoltre privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591
lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal giudice d’appello, che non risultano viziate
da illogicità;
Questa corte ha stabilito che “La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti
dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivi- rende l’atto
medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli
effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di
inammissibilità”. (Cass. pen., sez 1, 22.4.97, Pace, 207648);
Non meritevoli di accoglimento appaiono anche le censure prospettate nel secondo ricorso.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, ritiene la corte che correttamente è stata
riconosciuta la qualità di persona offesa al direttore della struttura alberghiera, Mangano, da
parte dei giudici di merito. Infatti ai fini della procedibilità di un furto commesso all’interno di
un supermercato deve ritenersi che il direttore dell’esercizio sia legittimato a proporre querela,
anche quando non sia munito dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare di

I ricorsi sono manifestamente infondati.

Quanto alla seconda censura, osserva la Corte che la difesa prospetta, in questa sede,
esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice
d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti
difensivi attualmente riproposti (valgono, sul punto, le suesposte considerazioni in merito alla
ritenuta provata colpevolezza dell’imputato). Le valutazioni di merito sono insindacabili nel
giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez.
un., 24 novembre 1999, Spina, 214794). Il motivo in esame è inoltre privo della specificità,
prescritta dall’art. 581, lett. c) in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p..
Con riferimento alla censure prospettate dalla difesa nel terzo motivo di ricorso, la Corte
condivide le argomentazioni svolte dal giudice dell’appello in merito all’efficacia probatoria della
copia fotostatica (si veda la pag. 2 della impugnata sentenza) e, conseguentemente, non si
ritiene sussistente alcuna violazione del diritto di difesa.
Non meritano accoglimento neppure le censure di cui al quarto ed ultimo motivo, inerenti al
mancato riconoscimento, da parte dei giudici di merito, delle circostanze attenuanti generiche.
Valgono sul punto le considerazioni che questa Corte ha già avuto modo di operare con
riferimento alle censure prospettate dall’imputato in punto di trattamento sanzionatorio.
Alla luce delle suesposte considerazioni, vanno dichiarate inammissibili le impugnazioni.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorso, si determina equitativamente in Euro
1000,00.
PQM
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Roma 7 nnaio 2016
Il Con
e estensore
D’otallevi

Il Presidente
FF1Fiqdan se

una posizione di detenzione qualificata della cosa che è compresa nel bene giuridico protetto
dalla norma incriminatrice. (Sez. 4, Sentenza n. 8094 del 29/01/2014)

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