Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15958 del 15/12/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 15958 Anno 2016
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1)Buffa Eleonora, n. a Erice il 13/10/1991;
2)Buffa Luigi, n. a Erice il 31/8/1990;
3)Buzzanca Giovanni, n. a Lodi il 14/5/1983;
4)Conigliaro Agostino, n. a Palermo il 7/10/1987;
5)Di Pietro Orazio, n. a Gela il 10/10/1980;
6)Provenzano Massimiliano, n. a Milano il 25/2/1975;

avverso la sentenza del 6/2/2015 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità dei
ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 15/12/2015

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma di quella emessa
all’esito del giudizio abbreviato dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale
di Lodi e con la diminuente del rito abbreviato, sono stati condannati:
– Buffa Eleonora, alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 16.000,00
di multa, ritenute le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti
sulle aggravanti contestate e ritenuta, altresì, la continuazione interna al capo
a) e la continuazione con i rimanenti reati ascrittile;
– Buffa Luigi, alla pena di anni quattro, mesi quattro di reclusione ed euro

equivalenza alla contestata aggravante di cui al capo a) e ritenuta la
continuazione interna al capo a);
– Buzzanca Giovanni, ritenuta la recidiva e la continuazione tra i reati come
ritenuti e con i fatti di cui alla sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data
20/7/2012 (irr. il 16/10/2012), questi ultimi ritenuti più gravi, alla pena
complessiva di anni sette, mesi dieci di reclusione ed euro 36.000,00 di multa, di
cui anni uno di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per i presenti fatti;
– Conigliaro Agostino, concessegli le circostanze attenuanti generiche con
giudizio di equivalenza all’aggravante contestata al capo a), ritenuta la
continuazione interna, alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed
euro 20.000,00 di multa;
– Di Pietro Orazio, con la contestata recidiva, alla pena di anni due, giorni
venti di reclusione ed euro 4.200,00 di multa ritenuta l’ipotesi attenuata di cui al
comma 5, art. 73 d.P.R. 309/1990 e la continuazione interna;
– Provenzano Massimiliano, con la contestata recidiva e ritenuta la
continuazione fra i fatti del presente procedimento e i fatti di cui alla sentenza
del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 7/11/2013 (irr. il
28/2/2014), ritenuto reato più grave quello di cui al capo 1) della sentenza
irrevocabile, alla pena finale di anni diciassette di reclusione ed euro 94.000,00
di multa, pena determinata, per i fatti del presente procedimento, in quella di
anni sette di reclusione ed euro 34.000,00 di multa
I predetti imputati venivano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per anni
cinque e il Buzzanca e Provenzano dichiarati in stato di interdizione legale
durante l’esecuzione della pena.
Gli imputati sono stati ritenuti colpevoli:
– Buffa Eleonora, del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 73,
commi 1, 1 bis e 6, d.P.R. 309/1990 ascrittole al capo a) e dei reati di cui agli
artt. 110, 628, comma primo e terzo, n. 1 e 61 n. 5 cod. pen. ( capo j) e artt.
110, 582, 585 in rel. all’art. 576, comma primo, n. 1) cod. pen. (capo k);

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ventimila di multa, concessegli le circostanze attenuanti generiche con giudizio di

- Buffa Luigi, del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 73, commi 1,
1 bis e 6, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo a);
– Buzzanca Giovanni, del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 73,
commi 1, 1 bis, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo e); del reato di cui agli artt.
81 cpv., 110, cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo f); del
reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 73, commi 1, 1 bis, d.P.R.
309/1990 ascrittogli al capo g);

commi 1, 1 bis e 6, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo A);
– Di Pietro Orazio, del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 73,
comma 5, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo o) così ritenuto;
– Provenzano Massimiliano, del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen.,
73, commi 1, 1 bis e 6, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo a); del reato di cui
agli artt. 110, cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 ascrittogli al capo c);
dei reati di cui agli artt. 110, 628, comma primo e terzo, n. 1 e 61 n. 5 cod. pen.
( capo j) e artt. 110, 582, 585 in rel. all’art. 576, comma primo, n. 1) cod. pen.
(capo k).
Dalla lettura della sentenza impugnata, e da quella di primo grado alla quale
questa rinvia, si evince che le fonti di prova a carico degli odierni ricorrenti sono
costituiti dai risultati delle operazioni di intercettazione telefonica, condotte per
oltre un anno su utenze telefoniche cellulari, fisse ed ambientali (installate in
particolare presso il negozio ad insegna Max Tatto° ove, peraltro, a poco più di
un mese dall’inizio delle operazioni venivano rinvenute dagli imputati alcune
microspie) e a bordo delle autovetture in uso ad alcuni degli odierni ricorrenti (
ed utilizzate indifferentemente dagli uni e dagli altri); dagli esiti delle ulteriori
attività investigative, tra le quali l’esame di alcuni acquirenti di sostanze
stupefacenti; dai servizi di osservazione e controllo che conducevano all’arresto
in flagranza del reato di detenzione di non modesti quantitativi di sostanze
stupefacenti dei ricorrenti Buzzanca Giovanni, arrestato il 3.7.2012 perché
trovato in possesso di ca. 500 gr. di cocaina; e Provenzano Massimiliano,
arrestato il 27.11.2012. Le indagine disvelavano, e ve ne è traccia nella
descrizione della condotta di reato sub a), la esistenza di un vero e proprio
gruppo che svolgeva una ben rodata attività di acquisto, custodia e smercio di
sostanze stupefacenti, gruppo che aveva sede operativa nell’ esercizio
commerciale innanzi indicato, in Sant’Angelo Lodigiano, gruppo in cui un ruolo
primario era svolto dal Provenzano e che era composto, tra gli altri, da Buffa
Eleonora, Buffa Luigi, Conigliaro Agostino ( oltre che Saponaro Italo, Barile
Giuseppe e Calà Pittignano Arcangela, quindi in numero di persone superiore a
sei), tutti a vario titolo e con compiti specifici incaricati dal Provenzano della
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– Conigliaro Agostino, del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, cod. pen., 73,

custodia e dello smercio al dettaglio di sostanze stupefacenti in favore di una
vasta rete di acquirenti e consumatori della provincia lodigiana ed alla tenuta
della contabilità e della cassa, con perfetta intercambiabilità dei ruoli visto che
l’attività illecita dei singoli permaneva anche dopo l’arresto del Provenzano fino
all’esecuzione ( nel luglio 2013) delle misure cautelari adottate a carico dei
singoli componenti. Le indagini rivelavano che il Provenzano era il perno del
gruppo; che era in grado di mantenere i contatti con vari canali di rifornimento

intermediazione di tale Ventura Giovanni, che, insieme al fratello Santino,
costituiva l’anello di congiunzione fra i due gruppi. Le indagini tecniche
consentivano, infine, di ricostruire ulteriori attività illecite, per reati contro il
patrimonio, quali furti e rapine, attraverso i quali venivano finanziate le attività
illecite oggi all’attenzione e che, ne è traccia nella ritenuta recidiva a carico del
Provenzano e Buzzanca, costituiscono la prosecuzione di attività illecite nel
settore degli stupefacenti, che avevano condotto, nella seconda metà degli anni
duemila, alla condanna dei predetti.

2. Avvero la sentenza hanno proposto ricorso Buffa Eleonora, Buffa Luigi,
Buzzanca Giovanni, Conigliaro Agostino, Di Pietro Orazio e Provenzano
Massimiliano, con motivi di ricorso di seguito sintetizzati, ai sensi dell’art. 173
disp. att. Cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari ai fini della
motivazione.
2.1 Buffa Eleonora deduce:
– 2.1.1 vizio di violazione di legge per carenza assoluta di motivazione,
risultante dal testo del provvedimento impugnato, circa un motivo oggetto di
specifica doglianza in appello afferente la mancanza di responsabilità
dell’imputata in merito ai reati di rapina e lesioni contestati ai capi j) e k). Si
assume che la ricorrente, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva
semplicemente ammesso di avere indicato l’accesso all’abitazione della persona
offesa e che, comunque, avesse intuito che ivi potevasi perpetrare un furto e che
la sua responsabilità di concorso nei reati era stata erroneamente tratta, sulla
scorta di una scarna motivazione, dando per dimostrato che autore della
condotta illecita fosse stato il Pali, la cui responsabilità era ancora sub iudice, e
contraddicendo lo stesso tenore della informativa di polizia, dalla quale
emergeva che nel corso dell’intercettazione ambientale del 23 ottobre 2012 si
stesse parlando del luogo nel quale doveva essere commesso il furto,
trascurando che l’evoluzione di un furto può dare luogo a molteplici eventi e che
nessun ulteriore elemento di prova è rinvenibile agli atti idoneo a dimostrare
contatti ulteriori tra gli imputati in merito alla commissione del fatto;
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della droga e fra questi con il gruppo capeggiato da Nacchia Rosario attraverso la

- 2.1.2 carenza assoluta di motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato, circa il motivo oggetto di specifica doglianza afferente
il diniego, nella massima estensione, delle pur concesse circostanze attenuanti
generiche. Allega la difesa che non sono stati valorizzati dalla Corte, investita di
specifico motivo di appello, la incensuratezza della Buffa; la sua giovane età ed il
fatto che sia madre di un figlia in tenerissima età e l’ammissione degli addebiti
fin dalla fase delle indagini preliminari.

Il Buffa, a propria firma, ha prodotto due distinti atti di ricorso.
2.2.1 Nel ricorso del 18 giugno 2015, con unico motivo, lamenta la carenza
assoluta di motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, circa
il motivo oggetto di specifica doglianza afferente il diniego, nella massima
estensione, delle pur concesse circostanze attenuanti generiche che andavano
riconosciute con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata.
2.2.2. Nell’atto di impugnazione, consegnato il 18.6.2015 alle ore 10:00,
lamenta il vizio di motivazione della sentenza di appello che ha escluso la
configurabilità, in ordine al reato ascrittogli, dell’ipotesi lieve di cui al comma 5
dell’art. 73 d.P.R. 309/1990. Secondo il ricorrente la Corte di merito ha ritenuto
che egli avesse svolto attività di spaccio fin dall’anno 2011 e non per un più
circoscritto periodo temporale cioè a partire da marzo 2012, travisando le
dichiarazioni rese da Como Andrea – che lo dava presente nell’esercizio

Max

Tatto fin dall’inizio del 2011, cioè da quando il Provenzano lo aveva rilevato -. La
Corte non aveva, invece, valutato le dichiarazioni rese da Buffa Eleonora,
secondo la quale il fratello aveva iniziato a spacciare per il Provenzano a seguito
dell’infortunio occorsogli e della conseguente perdita dell’attività lavorativa a
partire dal mese di febbraio -marzo 2012. Evidenzia, sempre quale vizio di
motivazione della decisione di diniego, di essere stato solo uno degli incaricati
allo spaccio per conto del Provenzano; la indeterminatezza delle dichiarazioni
rese da Brunetti Riccardo circa il periodo in cui avrebbe acquistato droga dal
Buffa, in alternativa al Saponaro e Conigliaro e in loro assenza, cessioni delle
quali si ignora il principio attivo; la inattendibilità delle dichiarazioni del
Faggiano, che parimenti lo ha indicato come suo fornitore, potendo le
dichiarazioni del teste essere determinate da risentimento poiché veniva, in
un’occasione, minacciato dal Conigliaro per il mancato pagamento del debito
contratto laddove, per le captazioni che rimandano alle sue dirette attività di
smercio; infine allega che trattasi di cessioni di modica quantità, per dosi delle
quali non è accertato il principio attivo e protrattesi per un periodo temporale
circoscritto. 2.2.3 Oltre a proporre le medesime censure di cui al motivo sub 1

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2.2 Buffa Luigi

dell’atto 18.6.2015, allega il richiamato vizio di motivazione con riferimento
all’entità dell’aumento di pena praticato in sede di continuazione.
2.3 Buzzanca Giovanni
Nei motivi, sottoscritti dal difensore di fiducia, si deduce: 2.3.1 Mancanza e
manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento
dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 in relazione ai fatti
contestati al capo e) dell’imputazione. Allega il difensore che la valutazione

fattispecie incriminatrice denotano come si sia in presenza di un fatto di lieve
entità. Gli elementi di prova a carico del Buzzanca, si ricavano esclusivamente
dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali e dalle dichiarazioni rese dagli
acquirenti che, nelle dichiarazioni rese ai Carabinieri, riferiscono di acquisti
settimanali, nell’ordine di 1.2 grammi di cocaina o al massimo di 5 gr. di
hashish; mentre dalle ulteriori conversazioni, anche con acquirenti non
identificati, emergono contatti per l’acquisto di sostanze stupefacenti di quantità
imprecisata, comunque modesti. Non è mai stata sequestrata droga e i risultati
della analisi, illustrati in sentenza, si riferiscono al capo di imputazione sub c) per
il quale è intervenuto a carico del Buzzanca, sentenza in separato giudizio: si
tratta, infatti, della detenzione di 500 gr. di cocaina per la quale è intervenuto
l’arresto in flagranza del Buzzanca, Il breve periodo di spaccio; la vendita in
favore di consumatori che talvolta consumavano la droga insieme con il
Buzzanca; i modestissimi quantitativi venduti e i limitato giro di affarinumerose sono infatti le conversazioni dalle quali si evincono le difficoltà
economiche del Buzzanca- il basso principio attivo della droga venduta,
comunque mai accertato, avrebbe dovuto indurre alla qualificazione del fatto
come ipotesi di cui al 5 comma art. 73 d.P.R. 309/1990 e ss. mod.. 2.3.2
Deduce, inoltre, che non è stata individuata, tra le condotte di cui all’art. 73 co.
1 e bis d.P.R. 309/1990 oggetto di contestazione al capo e), la violazione più
grave, poi unificata ex art. 81 cpv. cod. proc. pen. al reato per il quale era
intervenuta la condanna irrevocabile del Buzzanca, in violazione dei principi
dettati in materia dalla Corte di Cassazione che impongono, anche in presenza di
reato continuato punito con la medesima pena edittale la individuazione del
reato più grave.
2.4 . Conigliaro Agostino
Con il ricorso, sottoscritto personalmente dal Conigliaro, si denuncia: 2.4.1
la mancanza, contradditorietà manifesta illogicità della motivazione della
sentenza e violazione di legge, art. 192 e 533 cod. pen., circa la sussistenza del
reato contestato in ragione del mancato reperimento di sostanza stupefacente
vedendosi esclusivamente in ipotesi di droga cd. parlata. Tenuto conto dell’esito
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globale della condotta ascritta al Buzzanca e di tutti gli elementi descritti nella

negativo della perquisizione domiciliare eseguita presso l’abitazione del
Conigliaro e del contenuto delle intercettazioni – nelle quali non si fa riferimento
diretto a sostanze stupefacenti- le dichiarazioni rese dagli acquirenti non sono
sufficienti a ritenere integrata la condotta di reato, che involge il rinvenimento di
sostanza stupefacente la cui natura la Corte di merito ha ritenuto comprovata
dalla circostanza che gli acquirenti non si erano mai lamentati delle
caratteristiche della merce acquistata. Le condotte di cessione neppure possono

spiegazione nelle dichiarazioni rese dagli acquirenti delle sostanze. 2.4.2
mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione sulla
riconducibilità della condotta alla fattispecie autonoma di cui al comma 5 dell’art.
73 d.P.R. 309/1990 e ss. mod.. Rileva il ricorrente che la Corte di merito non ha
valutato il ruolo indiretto del Conigliaro nell’attività di smercio, configurandolo
come mera intercambiabilità dei ruoli, e che, tenuto conto dell’ammontare delle
dosi mensili smerciate – indicate dal P.M. in ca.400 al mese- solo un numero
infinitesimale, nemmeno due a settimana erano effettivamente riconducibili al
Conigliaro che neppure partecipava alle attività di taglio e confezionamento della
droga, pure descritte nella imputazione. Non vi è prova, alla luce delle
conversazioni intercettate per lungo periodo di tempo, che il Conigliaro abbia
collaborato con il Provenzano nell’attività di spaccio e in altre attività illecite
collaterali del gruppo, e, anzi, lo stesso giudice ha evidenziato che in ben due
occasioni il Conigliaro aveva mostrato ritrosia ad entrare in azione per la
commissione di rapine, cosi fallite né il giudice di merito, richiamandole solo
genericamente, ha fatto riferimento ad ulteriori conversazioni telefoniche con gli
acquirenti di sostanze stupefacenti; 2.4.3 mancanza, contraddittorietà e illogicità
della motivazione per il mancato giudizio di prevalenza delle concesse
circostanze attenuanti generiche sull’aggravante del numero delle persone,
contestata al capo a). La Corte di merito, non ha valorizzato la giovane età del
Conigliaro; la condotta impeditiva dell’imputato, che aveva fatto fallire due
rapine ed espressiva della sua volontà di non aderire alla scelta criminale, scelta
confermata dalla prestazione di attività lavorativa autorizzata fin dalla fase delle
indagini preliminari; l’attenuata percezione della illiceità della condotta perché
assuntore di sostanze stupefacenti e il numero ridottissimo di episodi illeciti nei
quali è coinvolto, dovevano condurre ad un giudizio di prevalenza delle
circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen..
2.5.Di Pietro Orazio
2.5.1 Con unico motivo di ricorso il difensore del Di Pietro denuncia il difetto
di motivazione della sentenza e violazione di legge per l’erronea applicazione del
disposto di cui all’art. 192 cod. proc. pen. La sentenza impugnata, infatti, difetta
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ritenersi comprovate dal tenore delle intercettazioni il cui contenuto non trova

di un idoneo apparato argomentativo in ordine alla credibilità di Zizzari Mirko
poiché le sue dichiarazioni non sono apprezzabili per spontaneità, disinteresse e
precisione, posto che più volte gli inquirenti hanno dovuto ammonirlo avendo
questi inizialmente dichiarato di avere acquistato droga solo dal Saponaro ed
ammettendo, infine, di avere acquistato dall’imputato per un brevissimo tempo
dal momento che poi tra i due sarebbe insorto un violento litigio. Né sono stati
acquisiti validi riscontri esterni individualizzanti alla chiamata in reità tali non

vaso a casa del Di Pietro in occasione dell’esecuzione della misure nel presente
procedimento né le dichiarazioni rese dal Colombo Tommaso, Maiorani Marco e
Matera Francesco che nulla riferiscono in relazione ad acquisti di stupefacenti
effettuati dal Di Pietro essendosi il Matera limitato a riferire di essere stato
indirizzato al Di Pietro dal Conigliaro ma di non avere effettuato alcun acquisto.
2.6 Provenzano Massimiliano
I difensori del Provenzano denunciano i vizi di violazione di legge e
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla
condanna del ricorrente per i reati di rapina e lesioni contestati ai capi j) e k). Si
assume che il ricorrente ha fornito una logica e plausibile spiegazione della
conversazione ambientale del 23 ottobre 2012 durante la quale egli progettava
di commettere un furto che, tuttavia, non era mai stato portato a termine e che
gli elementi indiziari valorizzati nella sentenza impugnata – che, cioè, autore
della condotta in danno della signora Lucini sia stato il Pali – non possiedono i
necessari requisiti di gravità sia perché il Pali non è stato riconosciuto dalla
vittima sia perché alla conversazione intercettata non hanno fatto seguito, nella
settimana trascorsa tra questa e la commissione del reato- altre conversazioni o
contatti tra il Provenzano – monitorato costantemente, anche attraverso le cimici
installate a bordo dell’autovettura utilizzata- ed il Pali e tenuto conto dell’alto
tasso di di criminalità di stranieri nella zona.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi son manifestamente infondati e devono essere dichiarati
inammissibili con conseguente condanna di ciascuno dei ricorrenti, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre che al pagamento processuali, al pagamento
della somma di euro mille ciascuno in favore della cassa della ammende,
essendo imputabile a colpa di ciascuno dei ricorrenti la determinazione della
causa di inammissibilità.

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potendo considerarsi né il rinvenimento di una pianta di marijuana coltivata in

2. Il Collegio ritiene opportuno, avuto riguardo ai motivi di ricorso, alle
comuni argomentazioni sottese a ciascuno di essi e ai principi di diritto ai quali
deve rapportarsi nella valutazione dei ricorsi, procedere alla comune trattazione
dei motivi di ricorso proposti da Buffa Eleonora e Provenzano Massimiliano in
relazione alla condanna per i reati di cui ai capi j) e k) – cioè il concorso nei
delitti di rapina e lesioni in danno Lucini Gerolama, reati commessi nella notte
del 1 novembre 2012; saranno poi esaminati i motivi di ricorso relativi alla
condanna a carico di Conigliaro Agostino e Di Pietro Orazio in ordine al reato di

i motivi di ricorso che attengono al mancato riconoscimento della lieve entità del
fatto di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 e ss. mod., proposti da Buffa
Luigi, Buzzanca Giovanni e Conigliaro Agostino; al mancato giudizio di
prevalenza delle circostanze attenuanti generiche,

con riguardo ai motivi

proposti Buffa Luigi, Conigliaro Agostino; alla mancata estensione, nella misura
consentita, delle circostanze attenuanti generiche riconosciute alla Buffa; alla
determinazione dell’aumento di pena ex art. 81 cpv. cod. pen., con riguardo ai
motivi proposti da Buffa Luigi e Buzzanca Giovanni.

3. Buffa Eleonora e Provenzano Massimiliano, con riguardo alla
condanna per i reati di cui ai capi j) e k).

3.1 Manifesta

è la genericità delle censure sollevate dai ricorrenti in

relazione alla motivazione della decisione di condanna. Premesso che la sentenza
di appello rimanda a quella di primo grado venendo, così, a creare con essa un
unicum sotto il profilo motivazionale, è, all’evidenza, privo di fondamento il
motivo con il quale si deduce la mancanza di motivazione con riguardo alle
censure sollevate dai difensori con i motivi di appello, poiché la Corte di merito
(a pag. 62, per quanto concerne Buffa Eleonora ed a pag. 56 per il Provenzano)
ha esaminato le dichiarazioni difensive rese dalla Buffa, ha analizzato l’apporto
concorsuale e l’elemento psicologico dei reati ascritti ai ricorrenti, sviluppando
considerazioni critiche nella disamina delle censure difensive e pervenendo a
conclusioni logiche e in linea con i principi evincibili dalla giurisprudenza di
legittimità in materia di cd. concorso anomalo.
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che la Buffa ha svolto un
ruolo essenziale nella programmazione del furto in danno della Lucini, avendo
indicato al Provenzano – al quale era legata sentimentalmente – ed al Pali,
l’abitazione della vittima, a lei ben nota, abitazione della quale aveva descritto ai
correi la distribuzione interna, indicando con precisione il luogo nel quale la
proprietaria, custodiva i gioielli e le sue abitudini, trattandosi di persona che
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cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990, rispettivamente contestato ai capi a) e o); infine,

viveva sola. Nella sentenza di primo grado (pag. 173) si dà atto che le
indicazioni della Buffa venivano fornite ai complici Provenzano e Pali nel corso del
sopralluogo eseguito il 23 ottobre 2012, e, dunque, pochi giorni prima della
esecuzione del programmato furto, poi effettivamente consumato la notte del 1
novembre 2012. Risulta, dunque, tutt’altro che illogica la conclusione alla quale
sono pervenuti i giudici di merito che hanno ritenuto inverosimile che a
commettere il furto possano essere state persone diverse da quelle che lo
avevano programmato, procedendo ad accurato sopralluogo, solo pochi giorni

non sia stato riconosciuto dalla vittima del reato e la circostanza, enfatizzata
dalla difesa, che, nella settimana seguita al sopralluogo, il Provenzano non abbia
avuto ulteriori contatti con il Pali, contatti che, per vero, risultavano del tutto
superflui attesa la tipologia di reato e la paventata facilità dell’azione, in
relazione alle circostanze di fatto ed alle caratteristiche della vittima, trattandosi
di persona che viveva da sola.

3.2 Con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, ricostruita nelle
sentenze di merito sub specie di concorso anomalo ex art. 116 cod. pen. nel
reato di rapina in cui è trasmodata la condotta dell’esecutore materiale per
effetto della violenta reazione in danno della Lucini, le conclusioni dei giudici di
merito sono in linea con i principi in materia. La giurisprudenza di legittimità ha
affermato, che è del tutto prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad
atti di violenza o minaccia nei confronti della vittima o di terzi, per assicurarsi il
profitto del furto ovvero conseguire l’impunità, violenza e/o minaccia che fanno
progredire la sottrazione della cosa mobile altrui in rapina, responsabilità che va,
invece, esclusa soltanto se il diverso e più grave reato, realizzato dai
compartecipi, costituisca un fatto anormale, eccezionale e, quindi, non
prevedibile ( da ultimo cfr. Sez. 6, n. 9952 del 22/1/2003, Fanti, Rv. 224042 e
massime ivi richiamate). Si è inoltre precisato che W necessario rapporto di
causa ed effetto tra il reato di furto, inizialmente programmato, e quello di
rapina, commesso successivamente, prescinde dalla previsione in concreto
dell’evento più grave quando l’agente avrebbe potuto rappresentarselo come
sviluppo logicamente prevedibile dell’azione convenuta, facendo uso, in relazione
a tutte le circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (Sez. 1, n. 4330
del 15/11/2012 (dep. 2013), Cako, Rv. 251849). Nel caso in esame i giudici di
merito, dando atto della intervenuta confessione della Buffa che aveva ammesso
di avere partecipato al sopralluogo indicando ai complici l’abitazione della Lucini,
con ciò confessando la sua partecipazione alla programmazione di un furto,
secondo gli elementi peraltro evincibili dalle intercettazioni in atti, hanno ritenuto

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prima. La valenza probatoria di tale dato rende del tutto irrilevante che il Pali

logico e prevedibile sviluppo dell’azione programmata (il furto) la rapina
commessa dall’esecutore materiale, che dopo avere picchiato e minacciato la
vittima si era impossessato, prima di fuggire degli orecchini della donna facendo,
pertanto, corretta applicazione della regola di giudizio innanzi indicata.

4.Conigliaro Massimiliano e Di Pietro Orazio, con riguardo alle

4.1 Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso proposti da Conigliaro
Agostino in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 73 d.P.R.
309/1990, motivi con i quali vengono, in buona sostanza, sollevate censure che
concernono la valutazione degli elementi di prova compiuta dai giudici di merito
– anche per la posizione del Conigliaro ci si trova in presenza di doppia conforme
– valutazione che esula dai poteri di controllo della Corte di legittimità alla quale
sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati nel
provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv.
265482) potendo, viceversa, verificare se il provvedimento impugnato contenga
la esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato
e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo della decisione, sulla scorta di una ricostruzione completa
delle evidenze di prova raccolte.
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che la Corte di appello,
esaminando i rilievi critici della difesa del Conigliaro oggi riproposti come motivo
di ricorso per cassazione, senza alcun confronto critico con le specifiche
motivazioni sviluppate nella sentenza impugnata, è pervenuta alla conferma del
giudizio di colpevolezza del Conigliaro analizzando la convergenza di una pluralità
di elementi di prova desumibili dal contenuto e dal tenore delle conversazioni
intercettate, nelle quali l’imputato faceva espresso riferimento a sostanze
stupefacenti (come illustrato a pag. 75), sottolineando che, in risposta ad una
cliente che gli chiedeva “della bianca” il ricorrente rispondeva “nera ti faccio
diventare, pure tu parli così al telefono”; esaminando le dichiarazioni rese, sul
punto dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti svolta dal Conigliaro, da
numerosi acquirenti che indicavano agli inquirenti sia il tipo di droga acquistata,
per lo più cocaina ma anche hashish e marijuana, sia la quantità e frequenza
degli acquisti ovvero altri comportamenti del ricorrente – come l’intervento
minaccioso del ricorrente in danno del Faggiano per il ritardato pagamento –

11

condanne di cui ai capi a) e o).

elementi di varia provenienza che inequivocabilmente si saldano fra loro e che
denotano l’inserimento del Conigliaro nel contesto dell’attività di spaccio gestita
dal Provenzano. A questo proposito la Corte territoriale ha richiamato le
conversazioni che direttamente documentano la partecipazione del ricorrente ai
conteggi di denaro dovuti ai coimputati; all’osservazione dei luoghi nei quali si
svolgeva l’attività di smercio; il ritiro presso i correi di appunti e promemoria
scritti necessari per le operazioni di contabilità delle vendite; le discussioni con

(espressamente indicati in trenta grammi) ovvero, alle somme per il pagamento
di un debito ascendente a quindicimila euro, e chiaramente riferibile alla merce
che tra loro veniva trattata e, cioè, droga.
Ritiene, conclusivamente il Collegio che i giudici di merito, hanno motivato il
giudizio di colpevolezza del ricorrente.
Ad analoga conclusione, di manifesta infondatezza, deve pervenirsi con
riguardo ai motivi di ricorso sviluppati dal difensore di Di Pietro Orazio in ordine
al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990.
4.2.

Agevolmente rilevabile è la mancanza di specificità dei motivi di

ricorso che non si confrontano con le ragioni argomentate della decisione
impugnata, che si caratterizza per la completezza della disamina degli elementi
di prova a carico del Di Pietro, costituiti dalle conversazioni intercettate e dalle
dichiarazioni rese dallo Speziali e dal Maiorani. La Corte territoriale ha
esaminato la questione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dallo Speziali
evidenziandone, a riscontro, le dichiarazioni rese dal Maiorani, specifiche quanto
alla individuazione dell’odierno ricorrente nella persona dello spacciatore indicato
come Orazio e alla luce della vicenda relativa al trattenimento in “pegno” del
cellulare lasciato da Speziali al venditore della droga poiché non poteva
corrispondergli il prezzo della dose acquistata ( trattenimento documentato
anche questo da un’intercettazione con la quale il Maiorani chiedeva l’intervento
del Saponaro su Di Pietro per la restituzione). Le conversazioni intercettate
documentano gli acquisti di droga e i diverbi con il ricorrente per il mancato
pagamento quanto a Zizzari Mirko pervenendo, all’esito di un percorso
argomentativo rispettoso dei criteri di valutazione della prova a conclusioni
logicamente ineccepibili sulla colpevolezza del Di Pietro in ordine al reato
ascrittog li.

5. La mancata qualificazione del fatto nell’ipotesi lieve di cui all’art.
73, comma 5 d.P.R. 309/1990.

12

Buffa Luigi e Saponaro Italo che fanno riferimento a quantitativi certi di droga

5.1 Sono manifestamente infondati i motivi di ricorso che attengono al
mancato riconoscimento della lieve entità del fatto di cui al comma 5 dell’art. 73
d.P.R. 309/1990 e ss. mod., proposti da Buffa Luigi, Buzzanca Giovanni e
Conigliaro Agostino. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa
Corte il principio secondo il quale, ai fini della concedibilità o del diniego della
circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, cit.
d.P.R., il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi

e circostanze della stessa), che quelli che attengono all’oggetto materiale del
reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta
criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento
dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che
la lesione del bene giuridico protetto sia di ‘lieve entità” (così, ex plurimis, Sez.
4, n. 6732/12 del 22/12/2011, Sabatino, Rv. 251942; Sez. 4, n. 43399 del
12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, n. 38879 del 29/09/2005, Frank,
Rv. 232428). Di tale regula iuris la Corte di appello ha fatto corretta applicazione
chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono riconoscibili lacune o
vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non censurabili in questa sede,
che le condotte rispettivamente ascritte a Buffa Luigi, Buzzanca Giovanni e
Conigliaro Agostino, proprio per le caratteristiche e le modalità della condotta
loro ascritte e per l’oggetto, non possono considerarsi di scarso allarme sociale
ovvero di ridotta offensività sociale. Quanto al Conigliaro (v. pag. 78), la Corte di
merito ha valorizzato il ruolo avuto nel gruppo organizzato edito allo spaccio; il
rapporto fiduciario che lo legava al Provenzano; la consistenza delle cessioni di
droga (documentate dalle intercettazioni telefoniche), elementi che ne denotano
la capacità di fornire sistematicamente sia droghe cd. leggere che pesanti.
Quanto al Buzzanca (v. pag. 70), ha descritto il giro di affari del ricorrente,
tutt’altro che modesto, quale emerge dalle intercettazioni telefoniche e la
sistematicità delle condotte di approvvigionamento e smercio di sostanze
stupefacenti che avevano condotto, in occasione del controllo eseguito il 3 luglio
2012, al suo arresto mentre era in possesso di ca. 500 gr.di cocaina e che, nel
mese di giugno precedente, aveva anche procurato a tale Gioia Alfredo quasi un
etto di hashish, sostanze che, in entrambi i casi, sottoposte ad analisi,
risultavano contenere un elevato principio atti, pari quasi al doppio delle cd.dosi
da strada. Infine, con riguardo al Buffa, la Corte ha sottolineato la protrazione
nel tempo delle condotte illecite, risalenti fin dall’anno 2011, secondo le
convergenti dichiarazioni rese dal Faggiano e dal Brunetti; l’inserimento
nell’attività di spaccio svolta in stretto collegamento con il Provenzano che ne
3—).
attestano la frenetica attività di smercio tanto che, in un’occasione, il Buffa

13

normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità

doveva procedere, aiutata° dalla sorella Eleonaora, al conteggio delle cessioni (
pag. 67 della sentenza) temendo ammanchi della sostanza.
5.2 Trattasi di connotati dell’attività di spaccio, per ciascuno dei ricorrenti,
tali da escludere che si versi in ipotesi piccolo spaccio – caratterizzato per una
complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore edei suoi eventuali
complici, con una ridotta circolazione di merce e denaro – e da rendere del tutto
irrilevante la circostanza che non sia mai accertato il grado di purezza delle dosi
cedute che, ragionevolmente, la Corte di merito ritiene non inferiori a quelle

6. Bilanciamento delle circostanze; riduzione e aumenti di pena.

6.1 Ai fini del mancato giudizio di prevalenza delle concesse circostanze
attenuanti generiche e del praticato aumento in sede continuazione la Corte di
merito ha evidenziato, quanto a Buffa Luigi ( pag. 67) l’ampiezza dell’attività di
spaccio svolta, il ruolo direttivo nei confronti della sorella e l’assenza di segni di
ravvedimento quali indici che con maggiore pregnanza connotano un negativo
giudizio di personalità del ricorrente rispetto alla giovane età, alla incensuratezza
ed alla perdita di lavoro allegati dalla difesa a supporto della richiesta,
richiamando, altresì, ai fini del disposto aumento a titolo di continuazione contenuto in mesi sei di reclusione ed euro quattromila di multa- la pluralità delle
condotte si cessione ascrittegli. Quanto al Conigliaro ( pag. 79) l’assenza di segni
di ravvedimento sottolineando che a giovane età del ricorrente e la sua
subordinazione al Provenzano gli erano già valsi il riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche. Ritiene, pertanto, il Collegio che siano
manifestamente infondate le censure difensive sul punto del mancato giudizio di
prevalenza, della minore estensione della diminuzione praticata e dell’aumento
per la continuazione, in quanto prospettano una diversa ed alternativa
valutazione degli elementi di giudizio che, in presenza di adeguata motivazione,
con analitica esposizione dei criteri di valutazione seguiti e con specifico richiamo
alla personalità degli imputati ed al ruolo da essi rivestito, non può costituire
oggetto di ricorso per cassazione.
6.2 Con riferimento alla censura relativa alla omessa indicazione del reato
più grave e della pena base e degli aumenti per i singoli episodi di cui alla
contestazione sub e) ascritta a Buzzanca Giovanni, premesso che si è in
presenza di reati per i quali è prevista una medesima pena editale nel minimo e
nel massimo, questa Corte si è già espressa, affermando che in tema di reato
continuato il giudice non è tenuto ad indicare, al fine della determinazione della
pena base, il reato ritenuto più grave nell’ipotesi di pari gravità e di eguale
14

reperibili sul mercato in mancanza di lamentele sul punto degli acquirenti.

intensità dolosa (Sez. 2, 16 novembre 1981, dep. 1982, n. 4333; Sez. 6, 14
marzo 1989, dep. 1989, n. 10370). Ne consegue la manifesta infondatezza del
motivo sollevato dal ricorrente tenuto anche conto della irrilevanza della
questione dedotta.

P.Q.M.

spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro mille in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 15 dicembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

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