Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1594 del 20/11/2012
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1594 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) TORCASIO ANTONIO N. IL 29/09/1967
avverso l’ordinanza n. 370/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di
TRENTO, del 05/12/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;
Data Udienza: 20/11/2012
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza deliberata il 5 dicembre 2011 il Tribunale di sorveglianza
di Trento ha respinto l’appello di Torcasio Antonio avverso la sentenza del
Tribunale di Trenta, in data 25 novembre 2010, che aveva disposto a suo
carico l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni
due, ai sensi degli artt. 110 e 115, comma 2, cod. pen., in relazione all’art.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Torcasio personalmente, il quale deduce il vizio di inosservanza o erronea
applicazione della legge penale.
CONSIDERATO in DIRITTO
Il ricorso, al di là del titolo dato ai motivi proposti, postula una
rivisitazione nel merito del provvedimento impugnato che, contrariamente
all’assunto del ricorrente, con motivazione diffusa e coerente, immune da
vizi logici e giuridici, ha ritenuto integrati i presupposti legittimanti
l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per
partecipazione del Torcasio, imprenditore e dichiaratosi creditore della
somma di euro 100.000 nei confronti di Mazzola Giovanni, all’accordo con il
cognato Lamine Majid e con tale Ghadfi Abdessamad, per costringere il
presunto debitore, da sottoporre a breve sequestro di persona, a
corrispondere la somma pretesa dallo stesso Torcasio, come da
comunicazioni telefoniche intercettate tra i protagonisti della vicenda
nell’ambito di diverso procedimento per associazione per delinquere, truffa
e falso, acquisite, col consenso dell’interessato, in quello attuale.
La formulazione di censure non consentite nel giudizio di legittimità
impone la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, cui segue, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo e il massimo previsti dalla norma, in euro mille.
P.Q.M.
630 dello stesso codice.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, Il 20 novembre 2012.