Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15939 del 19/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 15939 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALCU BAYRAM N. IL 11/04/1972
HANSU MUZAFFER N. IL 28/04/1970
avverso la sentenza n. 1298/2008 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
11/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO B iONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ,›
che ha concluso per o /
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. A«

Data Udienza: 19/03/2013

1. Con sentenza del primo marzo 2007 il Tribunale di Trieste
condannava Alcu Bayram alla pena di anni due e mesi nove di
reclusione ed euro 21.000,00 di multa ed Hansu Muzaffer alla pena
di anni due mesi otto e giorni 15 di reclusione ed euro 20.500,00 di
multa perché giudicati colpevoli, ai sensi degli artt. 110 c.p. e 12 co.
3 d. lgs 286/1998, con la continuazione, di concorso nel
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in favore di
cittadini curdi provenienti dalla Turchia: tali Hisan Mehmet e Basak
Mehemet Hayri (capo A della rubrica), tali Alakus Feyzullah ed
Anacur Ahmet, i quali venivano comunque respinti alla frontiera
(capo D) della rubrica, ed il solo Alcu Bayram, di analogo
favoreggiamento in favore del fratello Alcu Nevzat (Capo B) della
rubrica); In Trieste, tra l’aprile e l’ottobre 2004.
La sentenza di prime cure veniva riformata in data 11 ottobre 2011
dalla Corte di appello di Trieste, la quale assolveva Jansu Muzaffer
dal delitto di cui al capo D) riducendo la pena inflittagli ad anni due
e mesi otto di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, confermando
nel resto la pronuncia appellata.
A sostegno delle condanne i giudici di merito ponevano gli esiti di
una serie numerosissima di intercettazioni telefoniche,
puntualmente riportate nella sentenza di primo e secondo grado, le
dichiarazioni testimoniali del m.11o dei CC. del R.O.N.O. di Trieste,
le ammissioni dell’imputato Alcu e quelle di Basak Mehemet Hayri,
uno dei clandestini di cui al capo A) della imputazione.
La corte distrettuale inoltre rigettava le tesi difensive in ordine alla
derubricazione delle condotte accertate nell’ipotesi di cui al primo
comma della norma incriminatrice, alla insussistenza di un profitto,
ancorchè indiretto, perseguito dai prevenuti, all’applicazione nelle
fattispecie contestate della scriminante di cui all’art. 54 c.p.. La
Corte territoriale, inoltre, dichiarava irrilevante la circostanza che
Hisan Mehmet e Basak Mehemet Hayri (capo A della rubrica) dopo
il loro ingresso clandestino in Italia siano stati dichiarati rifugiati
politici e che a tale status, quanto meno nelle forme dell’asilo
politico, aspirassero Alakus Feyzullah ed Anacur Ahmet (capo D)
della rubrica, dappoichè non riconosciuti tali e respinti alla
frontiera.
2. Ricorrono per cassazione avverso la sentenza di secondo grado
entrambi gli imputati, con l’assistenza del comune difensore di

La Corte ritenuto in fatto e considerato in diritto

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fiducia, il quale, nel loro interesse, sviluppa ed argomenta tre motivi
di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di
motivazione e violazione di legge in relazione alla norma
incriminatrice, alla direttiva europea 2003/09/CE (attuata in Italia
con d.lgs. 140/2005) sull’accoglienza dei richiedenti asilo negli
Stati membri dell’Unione, alla Convenzione di Ginevra del 28
luglio 1951, esecutiva in Italia, ed all’art. 10 co. III della Cost., in
particolare deducendo: la vicenda in esame ha riguardato solo e
sempre richiedenti asilo e rifugiati politici in relazione ai quali deve
ritenersi scriminata la condotta degli imputati; erroneamente ed
illogicamente la corte di merito ha contrastato tale tesi difensiva
affermando che l’accoglimento della richiesta di asilo politico non
scrimina la precedente attività di favoreggiamento del loro ingresso
irregolare in Italia avvenuto in un momento precedente; detta
motivazione contrasta con l’art. 10 della Cost., immediatamente
precettivo per le ss.uu. della suprema corte (cfr. sent. n. 4674/1997);
il richiedente asilo non può essere considerato clandestino come
evincibile dal disposto dell’art. 19 co. I d. Igs. in parola; il diritto di
asilo, secondo Cass. 25028/2005, comprende il diritto dello
straniero ad entrare nel territorio nazionale al fine di presentare la
relativa domanda; la Convenzione di Ginevra del 1951 stabilisce
che non possono essere sottoposti a sanzione penale i rifugiati che
per ragioni umanitarie entrano illegalmente nei Paesi aderenti; erra
pertanto la corte distrettuale là dove non considera scriminante la
concessione dell’asilo politico e là dove non considera come
richiedenti asilo le persone poi espulse.
2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente
violazione della norma incriminatrice in relazione alla mancata
derubricazione della ipotesi contestata nell’ambito del primo
comma e quanto alla interpretazione della nozione di profitto
indiretto, in particolare osservando ed argomentando: la nozione di
profitto indiretto ha dilatato la fattispecie penale, peraltro rendendo
non poco incerto l’ambito della rilevanza penale e con questo
minando il principio di offensività; la corte non ha motivato su
quale sia stato il profitto del imputati; secondo la corte di merito,
pur essendo certo che i prevenuti non appartengono ad alcuna
organizzazione criminale dedita all’immigrazione clandestina,
cionondimeno con la loro azione ne hanno favorito le finalità
delittuose; nel caso in esame gli imputati, a tutto concedere, hanno

3. E’ fondato il secondo motivo di ricorso, di per sé assorbente di
ogni altra doglianza.
Va innanzitutto chiarito che le condotte contestate agli imputati
risalgono ai mesi di aprile, giugno ed ottobre 2004, di guisa che ad
esse trova applicazione la disciplina dell’art. 12 d. lgs. 286/1998
vigente all’epoca, di maggior favore per gli imputati rispetto a
quella attualmente in vigore in seguito alle novelle di cui alla L. 15
luglio 2009, n. 94 ed alla L. n. 189 del 2002. Tanto in applicazione
dei principi generali in tema di successione di leggi penali nel
tempo codificati all’art. 2 c.p., co. 4.
Orbene, il delitto di cui al terzo comma della norma incriminatrice
vigente al momento dei fatti, quello appunto contestato ai prevenuti,
descrive condotte punibili se consumate col fine di trarre profitto
anche indiretto, fine questo non integrante una mera circostanza
aggravante del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina, ma costitutivo ormai, in seguito alle modifiche
apportate alla norma dalla L. 189 del 2002, di un requisito della
volontà, il dolo specifico, idoneo a configurare una ipotesi di reato
autonoma rispetto a quella di cui al primo comma, ove detto fine (e
la conseguente tipologia di dolo) non compare (Cass., Sez. 1,
22/01/2008, n. 7157; Cass., Sez. 1,25/01/2006, n. 11578).
Ai fini di causa pertanto, per accertare quale ipotesi delittuosa sia
correttamente riferibile alla fattispecie concreta dedotta in giudizio,
deve essere correttamente interpretato il concetto giuridico di
profitto indiretto, il quale, ad avviso del Collegio, deve intendersi,
nell’ambito della disposizione in esame, come aspettativa di
arricchimento non necessariamente di stretta natura economica, ma
comunque identificabile in un vantaggio apprezzabile che, in

aiutato parenti e compaesani nella loro stessa condizione di
perseguitati politici nel Paese di origine per ragioni razziali;
l’assenza di un profitto indiretto, attese le ragioni umanitarie
dell’azione degli imputati, esclude la configurabilità del terzo
comma della norma incriminatrice in favore, tutt’al più, del primo
comma.
2.3 Col terzo ed ultimo motivo di ricorso denuncia la difesa
ricorrente violazione dell’art. 12 co. II d. lgs. 286/1998, sul rilievo
che la scriminante speciale ivi contemplata è stata erroneamente
interpretata dappoichè ristretta ad ipotesi limite, come quella
dell’aiuto in mare ad una nave di naufraghi.

quanto indiretto, non deve necessariamente connettersi all’ingresso
“contra ius” dello straniero favorito.
Tanto premesso giova sottolineare che nel caso in esame sono
circostanze fattuali non contestate che gli imputati sono del tutto
estranei alle organizzazioni criminali promotrici dei viaggi
clandestini, che gli stessi non hanno lucrato alcuna somma di
denaro per le condotte giudicate di cui alle imputazioni, che i
clandestini coinvolti nella vicenda per cui è causa sono cittadini
curdi provenienti dalla Turchia, tre dei quali hanno avuto il
riconoscimento di rifugiati politici mentre gli altri due (quelli di cui
al capo D) sono stati respinti alla frontiera senza che se ne valutasse
la condizione di richiedenti asilo, che gli imputati, anch’essi
cittadini curdi, godono del riconoscimento di rifugiati politici.
La motivazione ispiratrice delle condotte incriminate si appalesa
pertanto all’evidenza di natura solidaristica, dappoichè volto l’agire
dei prevenuti a sottrarre gli stranieri “favoriti”, tutti, come già
precisato, di etnia curda provenienti dalla Turchia, da situazioni
politiche di elevata criticità, circostanza questa comprovata dal dato
oggettivo che gli imputati, giova ribadirlo, godono entrambi dello
status di rifugiati politici e che analogo status hanno conseguito i
tre stranieri di cui ai capi A) e B) della rubrica dopo il loro ingresso
illegale nel nostro Paese.
Di qui la conclusione che non vi fu in capo agli imputati alcun dolo
speciale di profitto, in tale nozione non potendosi ricomprendere la
volontà di agevolare l’ingresso in Italia di non aventi diritto in
violazione delle disposizioni nazionali al solo fine di sottrarli a
pericoli di discriminazioni razziali, di guisa che a carico dei
ricorrenti è stato irritualmente contestato il reato di cui al terzo
comma in luogo del delitto di cui al primo comma, la cui
tipizzazione non conteneva e non contiene, come è noto, alcun
riferimento alla finalità di indiretto profitto.
I giudici territoriali hanno pertanto ritenuto erroneamente ricorrente
nella fattispecie, a carico degli imputati, il fine di profitto, ancorchè
nelle forme indirette, riconoscendolo nel vantaggio comunque dato
alle organizzazioni criminali che hanno consentito, dietro
pagamento di laute somme, l’ingresso in Italia ed il raggiungimento
delle frontiere nazionali ai cinque cittadini curdi di cui ai capi di
imputazione.
Al riguardo è appena il caso di osservare infatti che il vantaggio
perseguito dagli imputati non era certo quello di produrre utili per le

P.T.M.
la Corte, riqualificato il fatto come reato di cui all’art. 12 primo
comma d. 1gs. 286/1998, annulla senza rinvio la sentenza impugnata
perché il reato stesso è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, addì 19 marzo 2013
Il cons. est.
11 Presidente

organizzazioni criminali, dappoichè strumento, queste, per
conseguire il vero fine della loro condotta, direttamente ai medesimi
riferibile, di aiutare persone della loro stessa etnia ad abbandonare
luoghi ostili, mentre il vantaggio valorizzato dai giudici di merito è
agli imputati del tutto estraneo.
Alla stregua delle esposte considerazioni il reato contestato deve
pertanto essere riqualificato ai sensi dell’art. 12 co. 1 della L.
286/1998, delitto questo il quale, all’epoca dei fatti, nel 2004 cioè,
era punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa fino
a 15.000 euro, reato in relazione al quale, pertanto, deve essere
dichiarata l’estinzione per prescrizione ai sensi dell’art. 157 c.p.
vigente, applicabile alla fattispecie in forza della disciplina
transitoria di cui all’art. 10 commi 2 e 3 L. 5.12.2005, n. 251.
Applicando infatti i termini massimi richiamati, pari ad anni sette e
mesi sei, al reato meno risalente, quello di cui al capo D),
commesso 1’8 ottobre 2004, si perviene all’8 aprile 2012, momento
questo in cui è maturata la richiamata causa estintiva del reato.
In conclusione la sentenza impugnata, previa riqualificazione del
fatto contestato, deve essere annullata senza rinvio perchè estinto il
reato per prescrizione.

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